Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Clipperton, quanta “Pasiòn” su quell’Atollo

Un puntino sperduto nell’Oceano Pacifico, teatro attraverso i secoli di aspre contese – politiche ed economiche – tra francesi, messicani, americani e persino filibustieri. L’unica ricchezza? L’estrazione del guano. E una “storia” tutta da raccontare

Un puntino nel Pacifico
Un puntino nel Pacifico

Poco attratto dalle spiagge arcifamose, e pertanto già note perché rivoltate come un calzino in occasione dei soliti patinati servizi fotografici e ancor meno attirato dai mega falansteri turistici “all inclusive”, sia se affollati da famigliole italiane assaltanti il banco dei gelati all’ora della merenda dei piccoli, sia se infestati da torme di Yankees affaccendati a inciucchirsi intorno al bar della piscina, lo scrivano si aggirava sconsolato sul Lungo Pacifico della messicana Puerto Vallarta.

Nella fattispecie non lo interessava un sopralluogo alla spiaggia (Playa Mismaloya) resa celebre dal film “La notte dell’Iguana” (John Huston, Elizabeth Taylor e Richard Burton, 1963) e tantomeno lo sfruculiava una minicrociera con ascendente alcolico (appunto “all inclusive” o “free bar” che dir si voglia) nella Baia Banderas con meta finale un posticcio “Covo di Pirati” illuminato dal Neon e lardellato di turisti Usa-Canada, “Cuba Libre as many as you like”, à gogò.

In Messico, il “museo” della memoria
Naval Museum
Naval Museum

Ecco pertanto lo scrivano infilarsi in un museo della “Armada” (che in spagnolo altro non vuol dire che la Marina Militare) messicana, dalle dimensioni davvero minime che però (non si diceva anni fa che piccolo è bello?) potevano contenere oggetti e memorabilia intriganti e atti a rispondere a domande e curiosità. E interessante, la visita del minimuseo, lo fu davvero, a tal punto da permettere all’insofferente, atipico viaggiatore “antiturismo” (ma i veri viaggiatori lo sono tutti) una per lui fantastica scoperta geografica, laddove si fa riferimento a un minimo puntino sperduto nel Pacifico, vieppiù eccezionale perché ricco di vicende storiche dall’importanza inversamente proporzionale alle sue lillipuziane dimensioni.

Lontana migliaia di miglia da ogni terra emersa
Clipperton, quanta "Pasiòn" su quell'Atollo

Per farla breve eccoci a Clipperton (e – se non esperto geografo – l’allegro lettore non burli dicendo che già ne conosceva l’esistenza, perché, questo posticino è davvero ubicato – se è concessa la “iniuria” della volgarità – nel “buco del sedere del mondo”).
O se si preferisce il primitivo nome in versione castigliana (fosse solo per far contenti i messicani che tuttora continuano a rivendicarne la proprietà, vedi Falkland e Malvinas) eccoci nella “Isla de la Pasiòn”. Che poi Isla (isola) non è, trattandosi di un atollo oltretutto così minuscolo da non poter quasi contenere i ben due nomi di cui si fregia. Oltretutto (evento raro nella geografia del pianeta) l’atollo è solo soletto, sperduto, come se nessun altro suo simile avesse accettato di risiedere in un’area così anonima e poco invitante.

Si fa riferimento al Pacifico nord-orientale, per la precisione 109° 12’ di longitudine ovest, 10° 17’ di latitudine nord e a completamento di questi dati si precisa che Clipperton possiede una circonferenza di dodici chilometri, contornante una laguna di poco più di sette chilometri quadrati. Si aggiunga poi, come se non ci fosse limite al peggio, che nelle acque stagnanti (a metà del XIX secolo i due passaggi furono chiusi da tempeste o altri fenomeni naturali) un processo di eutrofizzazione provocò la sparizione del corallo e contribuì alla formazione di uno specchio d’acqua atipico per un atollo, con buche profonde più di venti metri – una raggiunge i novanta – dispensatrici di tanto, maleodorante idrogeno solforato. In condizioni così difficili persino l’immancabile Cousteau incontrò problemi nelle esplorazioni scientifiche.

Una “Storia” con la S maiuscola
(Foto: National Geographic)
(Foto: National Geographic)

Ciò nonostante, Clipperton, un fazzoletto di terra (un chilometro e settecento metri quadrati, ancor più piccolo della nostra Giannutri) ritrovatosi incolpevolmente in quel balordo punto del più grande oceano del mondo, ha assistito a vicende che terre ben più grandi non possono vantare; è stato testimone o oggetto di avvenimenti citati nella Storia con la S maiuscola: scoperte geografiche, eventi bellici, interessi economici, politica e diritto internazionale, ricerche scientifiche, tragedie umane.
Non solo: l’atollo è stato pure “star cinematografica”, come puntualmente informa il citato, bel minimuseo della “Armada” a Puerto Vallarta. E non è tutto.

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Clipperton intriga con ulteriori, curiosi dati geografici e ambientali: il suolo ghiaioso composto da sabbia corallina e guano, una “montagna”, meglio dire una roccia vulcanica alta ventinove metri, sufficienti per innalzarvi un faro, le ben centoquindici specie di pesci (squali e tonni) nelle circostanti acque tropicali, mosse da correnti equatoriali che favoriscono uragani tra maggio e ottobre (ma i forti venti non mancano mai, sbarcarvi è un problema).

L’isola dei granchi arancioni
Un granchio rosso
Un granchio rosso

Attualmente l’atollo è disabitato e privo di vegetazione, ma nel passato non mancò qualche ciuffo d’erba alimentante alcuni maiali importati dagli operai addetti all’estrazione del guano. Scherzi di madre natura, la sparizione dei suini favorì una copiosa riproduzione degli attuali, unici abitanti: centodiecimila uccelli e dodici milioni di granchi “arancioni”, i Gecarcinus Planatus. E stupiscono anche le distanze dal resto del mondo.

L’isola scoperta a Puerto Vallarta dallo scrivano è situata a: novecentocinquanta chilometri da Socorro, uno sperduto isolotto delle Revillagigedo, arcipelago messicano a sud della Baja California; milleduecentoottanta chilometri da Acapulco; duemilanovecentosessantatre chilometri dalle coste del Nicaragua; tremila e diciotto chilometri da San Diego, California.
E considerato che nella “querelle” franco-messicana, più avanti descritta, i francesi giustificarono le pretese sull’atollo con la sua “vicinanza” ai loro possedimenti polinesiani, non si tiene per il Messico precisando che Nuku Hiva, isole Marchesi, dista quattromila e diciotto chilometri! Né il discorso si rasserena raccontandone le inquietanti vicende ivi accadute nel tempo.

Pasiòn per i messicani, Possession per i francesi
Clipperton, quanta "Pasiòn" su quell'Atollo

Si comincia nel 1521, anno della “probabile” scoperta da parte di Magellano. Altri ritardano l’evento al 1711; una disparità di giudizi curiosamente relativa all’anno ma non al giorno e al mese; entrambe le fonti storiche garantiscono infatti che la scoperta avvenne il 2 aprile, un venerdì santo, giorno della Passione; ne consegue che almeno sul primigenio nome “castigliano” dell’isola non esistono dubbi.

Se non “valesse” la scoperta del 1521, la storia di Clipperton comincia dunque nel già citato anno di grazia 1711, con l’arrivo dei francesi Martin de Chassarion e Michel du Bocage, comandanti delle fregate La Dècouverte e La Princesse (per la solita precisione vi è anche chi data al 1708 la visita dei vascelli francesi e invece di Ile de la Passion fa riferimento a una Ile de la Possession). Poco dopo, nel 1712 il pirata e naturalista inglese John Clipperton (o Clippington) passa “da quelle parti” e traccia una mappa dell’atollo che da lui prenderà il nome. Siamo nell’epoca e nei mari della pirateria e non stupisce pertanto che anche Clipperton diviene l’ennesima Isola del Tesoro (leggenda infatti vuole che il filibustiere britannico vi sbarcò con una ciurma di ventun bucanieri e vi nascose un malloppo, peraltro mai trovato dai successivi viaggiatori).

Nel 1725 M. Bocage, il già citato comandante della Princesse, torna a Clipperton alla testa di una spedizione scientifica e si sofferma alcuni mesi (guadagnandosi pertanto ampiamente, viste le elencate amenità dell’isola, lo stipendio elargitogli dal re di Francia). Trascorso un secolo, nel 1848, scopertosi che a Clipperton abbondava il guano, la statunitense Oceanic Phosphate Company entra in disputa con il Messico per il monopolio dell’estrazione e sei anni dopo un’altra Company, la American Guano Mining, per dimostrare la sovranità Usa esibisce un “Guano Islands Act”. Un documento forse farlocco, al quale i messicani preferiscono un più diplomatico “Treaty of Guano” per concedere lo sfruttamento del ricco concime marino ai poco amati Yanquis.

Per dirimere le dispute? Incaricato il re d’Italia!
L'Isla de la Pasiòn
L’Isla de la Pasiòn

Ma la Francia (1857) nonostante le proteste degli Usa, dichiara Clipperton “parte di Tahiti” (alla faccia della accennata, enorme distanza tra le due località) e l’anno successivo la annette formalmente all’Impero francese.

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Quarant’anni dopo è il turno del Messico, che proclama (13 dicembre 1897) la sovranità sulla (per loro) Isla de la Pasiòn; procede all’occupazione militare e prosegue nello sfruttamento del guano (destinato a durare fino al 1917). Soltanto un anno dopo, scoppiata la Guerra Ispano Americana i Marines, incuranti dei litigi tra Francia e Messico, occupano Clipperton. Giunto il XX secolo, dopo le lunghe, accennate dispute sulla sovranità dell’atollo, Francesi e Messicani decidono di chiedere un arbitrato al Vaticano. Che però se ne lava le mani e passa la “pratica” a Vittorio Emanuele III re d’Italia (!).

Nel frattempo (1906) è la volta della British Pacific Island Company a estrarre il guano (si accenna persino, ma non esiste certezza, alla “presenza di sessanta operai italiani”) in coabitazione con la guarnigione messicana, ulteriormente rinforzata mediante l’invio del capitano Ramòn Arnaud, alla testa di un centinaio di uomini, donne e bambini. Questa non scarna colonia, tenuto conto delle dimensioni dell’atollo, è rifornita ogni due mesi da una nave in arrivo da Acapulco (e affinché il bastimento non si perda nel Pacifico viene costruito un faro, guardiano il señor Victoriano Alvarez, la cui vita si concluderà tragicamente sull’isola).

Il 1910 è l’anno della Rivoluzione Messicana e con l’andar del tempo nell’incasinata capitale (Pancho Villa, Zapata & C.) si “scordano” dei poveretti spediti sull’isola, ormai destinati a divenire i “dimenticati di Clipperton”. Il 26 giugno del 1914 la nave “Cleveland” passa a rilevare gli operai della British addetti al Guano e “offre un passaggio” a quanto resta della sofferente guarnigione del capitano Arnaud, ma l’incauto declina militarmente l’invito “in assenza di ordini superiori dalla madrepatria”.

Orribile fine degli isolani
Clipperton, quanta "Pasiòn" su quell'Atollo

Si accenna poi a un’altra nave, la “Lexington”, che un anno dopo propose “ai dimenticati” il ritorno in Messico ma anche questa proposta di salvezza è respinta dal cocciuto ufficiale.

E così, mentre il mondo è sconvolto dalla prima Guerra mondiale e il Messico è dilaniato dalla Rivoluzione, nella remota Clipperton, matura la tragedia di una trentina di esseri, sottoposti a un sole sferzante, tempeste tropicali, vessati dalla fame (impossibile l’indigesta carne di granchio, insufficienti le uova di uccelli, rare le noci di cocco, totale l’assenza di pesci nella laguna eutrofizzata).
Ma non c’è limite al peggio. Ben certo che lo scorbuto non darà scampo ai “dimenticati”, avvistata una nave di passaggio il capitano Arnaud parte con gli ultimi soldati alla ricerca di aiuto, ma la barca si rovescia poco oltre la barriera corallina e da terra donne e bambini vedono annegare i famigliari, quando non divorati dagli squali.

Alvarez, guardiano del faro, ucciso dalle donne superstiti
Clipperton, quanta "Pasiòn" su quell'Atollo

Finalmente, in un giorno del 1917, in missione di pattugliamento (si temeva che la Marina tedesca vi avesse allestito una base logistica) il comandante Perril della U.S. “Yorktown” sbarca a Clipperton e incontra con orrore quel che è rimasto della guarnigione: tre donne e otto bambini. E non è tutto. Nel dramma si inserisce una tragedia shakespeariana. Poco prima dell’arrivo della cannoniera americana, Victoriano Alvarez, il guardiano del faro, ultimo uomo sopravvissuto, proclamatosi “Re di Clipperton” veniva accoppato dalle donne, capeggiate dalla vedova del capitano Arnaud, disperate per le violenze e le vessazioni subite dal folle. Frattanto, dopo lungo sabaudo meditare, il 28 gennaio 1927, Vittorio Emanuele III decise (finalmente) che l’atollo del contendere spettava alla Francia (ça va sans dire, meglio accontentare un amico piuttosto che un Paese non potente e così distante). Pertanto, otto anni dopo, la Francia, grazie alla decisione del re d’Italia, rioccupa la ex ‘Ile de la Passion’.

Gli Usa, però, in previsione di una guerra con il Giappone, vogliono rafforzare la presenza nel Pacifico; ne consegue, nel 1938, una doppia visita a Clippertton del presidente F. D. Roosevelt; vuole farne un U.S. Territory e trasformarla in base aerea transpacifica.

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Alla fine, Clipperton torna alla Francia
Un francobollo del 1895
Un francobollo del 1895

Più pacificamente, siamo nel 1941, in Messico è proiettato un film, “starring” Pedro Armendariz, che racconta il malessere e le minacce di ammutinamento di alcuni soldati abbandonati su un’isola remota. Il nome del film: “La Isla de la Pasiòn”.

Scoppiata poi la Seconda Guerra Mondiale, su ordine di Roosevelt la U.S. Air Force con una operazione “top secret” occupa l’atollo (1944) e dopo averlo livellato (e aperto un passaggio nella laguna, poi richiuso) vi costruisce (se ne occupa l’ammiraglio Byrd, grande esploratore polare) l’aeroporto tuttora utilizzato.

Un anno dopo il ministro degli Esteri francese, Bidault, chiede agli Usa la restituzione dell’atollo e viene accontentato (la Francia ha sempre tenuto molto a questo puntino nel Pacifico, fino a dedicargli una rara serie di francobolli, tra cui l’introvabile “gambero nero di Clipperton”). E dai francesi, nel dopoguerra, il tormentato fazzoletto di terra viene scelto per fare la stessa fine delle polinesiane Bikini ed Eniwetak (sconvolte da test atomici) ma Parigi cambia idea motivando l’eccessiva distanza (precedenti esperimenti si erano svolti in Algeria) e l’instabilità del tempo. Scampato il pericolo di ospitare scoppi nucleari, dal 1966 Clipperton diventa sede di più nobili iniziative, ospitando le missioni scientifiche “Bougainville” della Marina francese, aventi per oggetto la fauna e l’idrobiologia.

Cousteau esplora i fondali dell’isola
(Foto: National Geographic)
(Foto: National Geographic)

Successivamente apparirà sull’atollo l’onnipresente comandante Cousteau (che sicuramente, ma non si ha documentazione, come in tante altre occasioni avrà definito il mare di Clipperton “il più bello del mondo”). Negli anni Ottanta l’Accademia Francese delle Scienze d’Oltremare si dedica al business e crea in quest’angolo del Pacifico nord-orientale una base per la pesca, resa ancor più produttiva mediante la riapertura della laguna. Grazie all’intervento dell’Accademia e a una successiva Convenzione Internazionale sui Diritti del Mare, la Francia può pertanto controllare la pesca e l’esportazione di pesce in un’area del Pacifico vasta una volta e mezza l’Italia. In sede amministrativa, dopo lo status di “Stabilimento francese dell’Oceania” eppoi “della Polinesia francese”, l’atollo è annoverato (1986) tra i “possedimenti marittimi pubblici dello Stato Francese” e non tra i “Tom”, territori di oltremare.

Una dozzina di anni dopo la ex “Isla de la Pasiòn” è visitata, per indagini e una mappatura, da una missione mista di Francesi e “usurpati” Messicani (che pertanto tornano, seppur brevemente e stranieri, sul luogo della tragedia accaduta ottant’anni prima).

Isla de la Pasiòn. Sopravvive il mito
(Foto: National Geographic)
(Foto: National Geographic)

Ma scienza e tecnologie prevalgono ormai sulle umane vicende, anche a Clipperton, che in questo breve inizio di secolo diviene stazione di una sonda geologica, ospita l’esploratore Jean-Louis Etienne che procede all’inventario degli animali presenti (e derattizza l’atollo) è visitata almeno una volta all’anno dalla Marina francese (giusto per cambiare la bandiera e dare una lucidata a una targa attestante la sovranità, non si sa mai….).

L’anno scorso, infine, appare nelle librerie messicane il romanzo di storia e fiction “Isla de Bobos”, di Ana Garcia Bergua. Nel libro è narrata la vicenda di un soldato che, per punizione, viene spedito su un’isola remota e lì trova la morte. Fin qui la fiction. Nella quale si inserisce la (vera) storia di una anziana signora che lottò a lungo per ottenere una pensione dal governo del presidente Venustiano Carranza. Era la vedova sopravvissuta a una tragedia (in cui vide morire il marito, ufficiale dell’esercito messicano) accaduta nel 1917 su una minuscola isola “chissà dove” nell’oceano Pacifico. La “Isla de la Pasiòn”.

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