Trieste: “Mediterranea e insieme nordica, i colori smorzati come sul Baltico ma d’improvviso sfavillanti più che nel sud; scogliosa, ventosa, selvatica”. Così nel 1958 Guido Piovene la descriveva nel suo Viaggio in Italia. La “scontrosa grazia” è invece definizione dovuta al triestino Umberto Saba. Trieste di oggi è l’estremo nord-est che non ha nulla dei ritmi del “nord est produttivo” e già si protende verso Oriente. Est e ovest si sfiorano, si ignorano, si attraggono portando con sé inevitabili contraddizioni: lo si vede nel dialetto, nel cibo, nell’architettura, nella letteratura ma soprattutto nel carattere della gente, plasmato dal vento e dal mare.
Il Castello degli Asburgo
Per arrivare a Trieste non c’è entrata migliore che la Strada Costiera, a strapiombo sul golfo talvolta calmo, talvolta tormentato da quel vento freddo per il quale la città è rinomata: la Bora, con i suoi “réfoli” che non di rado ingrossano e possono raggiungere i cento ottanta chilometri all’ora di velocità.
La Costiera offre la prima irrinunciabile tappa: Miramare, un castello di pietra bianca a picco sull’acqua che sembra ritagliato nel cartoncino da un bambino e del bambino pare possedere la stessa semplicità: se ne sta ad ammirare l’orizzonte, resistendo imperterrito alle onde, come i bimbi di Trieste giocano a stare in equilibrio sfidando la bora. Casa da sogno di Massimiliano d’Asburgo e Carlotta, divenne prigione per la giovane moglie che qui, impazzita, fu rinchiusa quando lui venne fucilato in Messico. Amato da sempre dai triestini, il Castello è uno dei simboli della città, opera d’arte tra le più visitate del Bel Paese; eppure rappresenta la dominazione austro-ungarica, prima avversata dagli irredentisti, poi divenuta mito nostalgico con il passare degli anni. “Se stava mejo co’ se stava pezo” si sente dire da qualche “vecio triestìn”; non a caso il detto “viva là e po’ bon” non è solo un motto di scanzonata rassegnazione: significa anche “viva l’Austria e po’ bon” (e si scrive dunque: viva L’A. e po’ bon).
A Bàrcola “si va al bagno”
Nel parco del Castello si intravede un’ultima spiaggetta di sabbia immacolata, riserva marina del WWF: da qui comincia la costa rocciosa che continua fino in Dalmazia. Inizia anche il lungomare di Bàrcola, sei chilometri di “stabilimento balneare” gratuito, dove gli alberi fanno da ombrelloni e le macchine posteggiate da cabine: ci sono anche docce, bagnini e scalette di accesso al mare, che quasi nessuno usa perché i più amano tuffarsi dagli scogli. Un lungomare in pavé, separato recentemente dalla strada da una fila di oleandri, per evitare quei piccoli tamponamenti dovuti alla distrazione di guidatori attratti dalla vista di qualche mula (ragazza) in bikini. “Ma cossa, no lavora nisùn in ‘sta cità?” è il commento di chi rientra per la Costiera: sembra che tutta Trieste sia lì, a prendere il sole e “andare al bagno” (termine con cui i triestini intendono dire “andare al mare”, forse perché ogni occasione è buona per fare un tuffo e il mare è davvero sotto casa).
Capitale mitteleuropea? Oggi non più
Seguendo la costa, il mare si porta nel cuore della città: l’acqua lambisce Piazza Unità d’Italia (chiamata così nel ‘18 quando Trieste divenne italiana): diciassettemila metri quadri pavimentati con pietre d’Istria, dove fan mostra di sé lussuosi palazzi dell’Ottocento dal gusto mitteleuropeo. Fare due passi in piazza è uno dei passatempi più amati: le mamme vi portano i bimbi, i “veci” siedono sulle panchine mentre uomini d’affari discutono davanti ad una tazza di caffè (Illy, naturalmente) a due passi dal Palazzo Comunale, del Governo e della Giunta regionale (ex palazzo del Lloyd Triestino, la più antica compagnia di navigazione istituita nella nostra penisola nel 1830). A Trieste nascono altre importanti assicurazioni: le Generali, la RAS e il Lloyd Adriatico, che oggi ha sede in un moderno palazzo con pareti a specchio, testimonianza di una città che non vuol restare imbrigliata nel cliché di capitale mitteleuropea, nemmeno dal punto di vista architettonico.
Spiagge per nudisti e sole donne
Guardare come i triestini si rapportano al mare è un buon modo per capire l’anima della città: innanzitutto è una delle fonti primarie di lavoro (è di Trieste il più antico istituto nautico del Mediterraneo e il suo porto nel 2007 ha movimentato quarantasei milioni di tonnellate di merci). Contemporaneamente regala un inconfondibile tratto godereccio, del tutto estraneo ai corregionali. L’estate inizia presto: il primo maggio si fa il tuffo che apre la stagione; ma anche d’inverno i pensionati siedono sulle panchine del lungomare leggendo Il Piccolo, quotidiano della città. Due “istituzioni” uniche caratterizzano poi il mare di Trieste: la Costa dei Barbari, spiaggia (libera) nudista di lunga tradizione, dove gente di tutte le età si gode la costa selvaggia; e La Lanterna, stabilimento in cui uomini e donne sono divisi letteralmente da un muro che continua per una ventina di metri nel mare. Costruito nel 1890 su richiesta delle triestine che volevano prendere il sole indisturbate (ma questa volta in costume) è un esempio unico in Europa, una sorta di harem d’origine asburgica.
Unità d’Italia, una piazza per la Storia
Tornando a piazza Unità, i ragazzi vi si trovano per bere un aperitivo mentre faretti a scomparsa – tanto discussi dai triestini – “spuntano”, la sera, dalla nuova pavimentazione illuminandola di blu. Una piazza vissuta, ma anche carica di significati simbolici: qui approdarono, il 3 novembre 1918, i bersaglieri e una statua ricorda il loro arrivo (anche il nome del Molo Audace che si estende nel mare di fronte alla piazza è un omaggio alla nave che li portò a Trieste). Persa con la Seconda Guerra mondiale, Trieste è tornata all’Italia nel Cinquantaquattro, dopo esser passata sotto le occupazioni nazista, titina e anglo-americana. I confini, definitivamente delineati dal trattato di Osimo del Settantacinque, sono caduti il 20 dicembre del 2007 con l’entrata della Slovenia in Europa . Con l’allargamento dell’Unione Europea, Trieste (la provincia più piccola d’Italia: una striscia di terra larga dai due ai dieci chilometri e lunga trenta, stretta tra il Carso e il mare) si trova di nuovo al centro d’Europa e ha ritrovato l’entroterra perduto. Non a caso è a Trieste la sede della Central European Initiative che si occupa, appunto, dell’allargamento europeo.
Prossima a San Giusto, l’antica Tergeste
Dal 1876 su tutto ciò vegliano, scandendo il tempo dalla torretta del Municipio, “Mìkeze e Jàkeze” che sulla campana “i bati le ore” (si tratta di copie: i veri sono in pensione, nel castello di San Giusto, dopo novantasei anni di ininterrotto lavoro). Per andar a trovare Mìkeze e Jàkeze e raggiungere San Giusto ci si può arrampicare per le viuzze di Cittavecchia, cuore medievale sorto sopra i resti romani e rivitalizzato da eleganti restauri. Restano antiquari e rigattieri a testimoniarne l’anima antica e anche i gatti, da sempre padroni della zona, dove le macchine neppure oggi si vedono circolare. Dall’alto del colle di San Giusto, sul quale nel 178 a.C. furono posate le prime pietre della Tergeste romana, un altro castello domina la città: fu residenza del Capitano dell’Impero austriaco. Restaurato, è stato riaperto al pubblico nel 2008. Vicino sorge la Cattedrale, semplice e curiosa al tempo stesso, con la facciata asimmetrica, risultato della fusione di due antiche chiese adiacenti e di epoca diversa. Poco distante la medioevale Tor Cucherna, ricordo della mura trecentesche, che deriva il suo nome da “cucàr”, spiare.
Svevo, Joyce e Saba immortalati nel bronzo
Vicino a San Giusto, testimonianza di una comunità molto forte, si trovano il museo e la scuola ebraica. Poi il Museo del Mare, sulla navigazione triestina dalle origini all’Ottocento e i musei dedicati a Italo Svevo e James Joyce, amato a Trieste quasi fosse uno della città; non solo perché qui scrisse parte dell’Ulisse, ma soprattutto perché – si racconta – con il suo amico Italo Svevo si divertiva a raccontare barzellette, rigorosamente in triestino. I due sono stati recentemente ricordati da statue bronzee a grandezza naturale, sistemate in luoghi della città dove erano soliti passeggiare: almeno una volta, a tutti, è capitato di scambiarle per un vero passante… Svevo, vicino al suo museo in piazza Hortis, “cammina” con l’aria di chi ha impegni urgenti da sbrigare; il Joyce bronzeo “passeggia” invece vicino al Canal Grande dove un tempo si sentivano le voci delle “venderigole” gridare i prezzi di frutta e verdura. Oggi ci sono ancora le bancarelle, ma sono quelle dei senegalesi, che sorprendono chiunque con un colorito dialetto triestino. Anche Umberto Saba ha la sua statua: vicino alla libreria antiquaria che porta il suo nome, gestita dal 1919 dallo stesso scrittore. Ancora oggi la libreria appare com’era, con i volumi antichi sparsi dappertutto, il pavimento che scricchiola e gli interni bui. Sembra di sentire la sua voce: “Mulerìa, cossa volè? Andè via, che gò de lavorar!”
Una terra di scrittori
Il Saba di bronzo aveva anche la pipa, che il Comune ha deciso di non mettere più, dato che molte volte è stata rubata. Ci ha pensato il medico legale Galvano (personaggio del libro “Danza Macabra” di Veit Heinichen, uscito a luglio del 2008) ad offrire una sigaretta al vecchio scrittore, infilandola nelle labbra di bronzo. Tutti i bestseller dell’autore tedesco, a Trieste dal 1997, sono ambientati in questa città che è la vera protagonista delle sue storie: città vista attraverso gli occhi del Commissario Laurenti, salernitano trapiantato a Trieste. Partecipando ad una visita guidata sulle orme del Commissario Laurenti, si scopre che Trieste non è solo culla letteraria per penne d’autore – è d’obbligo citare almeno Paolo Rumiz, Claudio Magris, Pino Roveredo e Boris Pahor, autore italiano di lingua slovena – ma è anche set televisivo e cinematografico. Da qualche anno la rete tedesca ARD riprende qui film tratti dai romanzi di Heinichen, ma sono molti i registi che scelgono la città, come Luca Lucini per il recente “Amore, bugie e calcetto”.
Cento caffè, un’anima sola
Forse Trieste piace come palcoscenico perché sembra una scenografia teatrale: i caffè storici di certo contribuiscono a darle quest’atmosfera particolare. Tra tutti, il Caffè San Marco, con le specchiere, i tavolini in marmo e ghisa, lo stesso bancone in legno di quando fu aperto nel 1914: luogo d’incontro di irredentisti (che qui producevano passaporti falsi per consentire ai patrioti anti-austriaci di fuggire in Italia) e di letterati (scrissero ai suoi tavolini Svevo, Saba, Joyce e di recente Magris).
Anche questi caffè fan parte di un giro turistico della città. Ma forse, per comprendere il modo d’essere triestino, basta andare in un qualsiasi bar e soffermarsi ad ascoltare la gamma di abbreviazioni usate per ordinare i caffè: “un capo, un capo in b, uno special, un nero, un goccia…”; a voi il gusto e il piacere di scoprire cosa troverete nella tazzina!
Turismo Scientifico
La scienza a Trieste ha due volti: quello della “ricerca”, con la più alta concentrazione di ricercatori in Europa (37/1000 abitanti) e istituzioni come l’AREA Science Park, il Sincrotrone Elettra, la SISSA, prima scuola di dottorato in Italia, il Centro Internazionale di Fisica Teorica, fondato dal premio Nobel Abdus Salam; tutti visitabili. Poi quello della “divulgazione”. La Sissa offre un master in giornalismo scientifico, dal 2007 si svolge il FEST, fiera dell’editoria scientifica e l’Immaginario scientifico, un museo della scienza adatto a tutti, anche ai viaggiatori. “Viaggiando immaginando”, più che una mostra è un viaggio intorno al mondo che segue il sole nel suo apparente cammino da est a ovest, con lo sguardo di oltre trecento fotografi di cinquantotto diverse nazionalità
Consigli di lettura
Trieste sottosopra –
Di Mauro Covacich – Laterza editori (2006) Un libro leggero e divertente per conoscere la Trieste più vera!
Spazio FVG Dettagli di viaggio in Friuli Venezia Giulia Di Alessandra Spigai e Caterina Lughi – Parnaso editore (2008) La guida più recente e innovativa della regione, con spunti interessanti sulla città di Trieste e dintorni.
Trieste, guida della città e dei dintorni Di Gianfranco Granbassi – Del Bianco editore (1966)Anche se è decisamente datata, la guida racconta l’anima di Trieste con spigliatezza e ironia, attuale ancor’oggi: “i ne gà proprio piturà ben…”
Viva L’A. Di Carpinteri e Farraguna – La Cittadella (1983) In dialetto, una delle spassose raccolte di “maldobrìe” (racconti scherzosi; dal croato !malo dobro “mica bene, così così” che porta anche il significato dialettale di marachelle, birbonate) che rendono perfettamente l’idea della storia, del carattere e dell’atmosfera della Trieste che fu. Recentemente (2004) è stata pubblicata la versione delle Maldobrìe a fumetti.
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