Da queste parti si racconta, non senza la giusta dose di ironia, che al momento di abbandonare il Paraguay ripiegando in Brasile con armi bagagli e un esercito di parenti, il Generale Stroessner abbia spinto uno dei suoi figli a staccare, letteralmente, i preziosi marmi che rivestivano la villa edificata in uno dei quartieri più esclusivi di Asunción, lasciandovi il solo scheletro in cemento; operazione coronata da successo, a quanto sembra.
Troppe le “tracce”, fisiche e simboliche, di una dittatura opprimente da rimuovere; tanto valeva cominciare dal nome (Puerto General Stroessner) di quella città sul confine orientale che cresceva a vista d’occhio.
Alla fine, l’hanno identificata con la posizione geografica che occupa: Ciudad del Este, perché la più orientale e perché si trova sulla sponda del Paranà che fronteggia il Brasile; oltretutto è davvero a un tiro di schioppo anche dall’Argentina e dalle famose “cataratas” (cascate) di Iguazù.
Un continuo “tumulto” urbanistico
Oggi Ciudad del Este supera di molto i trecentomila abitanti (è la seconda città del Paese) e rappresenta l’espressione più bizzarra di una realtà urbanistica in perenne equilibrio, altalenante tra caos edilizio e modernità.
Accanto ai numerosi palazzoni e grattacieli del centro, alcuni dei quali nei piani alti mostrano il solo scheletro in cemento perché sono venuti a mancare i soldi per terminarli, si infilano case più basse e più modeste, tutte o quasi “vista strada”, nel senso che si aprono in negozi e negozietti, in piccoli antri scuri che danno direttamente sulle vie o, molto spesso, su portici artificiali costituiti da tettoie in lamiera, cartongesso, cartone, tenute su dai tipici tralicci triangolari a losanghe sovrapposte che fuoriescono dagli improvvisati tetti per reggere, a loro volta, insegne luminose, cartelli e fili della luce, del telefono. Fili e cavi che corrono da un marciapiede all’altro, da un casamento all’altro, sospesi, intrecciati, fluttuanti nel vento, indecifrabili nella loro funzione. E, naturalmente, pericolosi. Questo “panorama” edilizio lo si riscontra nella parte di città prossima al ponte dell’Amistad (amicizia) che scavalca il Paranà, unendo il Paraguay al Brasile. Dato che queste vie digradano leggermente verso il fiume, ecco che le case sono collegate a loro volta le une alle altre da gradini e gradoni d’accesso, camminamenti scoperti o inquietanti gallerie che all’interno ospitano centinaia di botteghe e mille “punti-vendita” improvvisati.
Il ponte, “by-pass” umano
Ma è il ponte dell’amicizia, il luogo di raccolta, transito, sempre affannoso e continuo, quello che coagula la “vita” di Ciudad del Este.
La gente del posto, paraguaiani e stranieri dai cinque angoli della terra, traffica e vende di tutto, dall’alba al tramonto. La notte, per contro, la zona è spettrale e deserta; solo qualche bar, quasi nessuno per le vie, le solite auto con le radio a tutto volume che imbarcano giovani che, loro si, sanno dove andare.
Non esistono statistiche attendibili sul numero di persone e di veicoli che ogni giorno percorrono il ponte nei due sensi. I brasiliani arrivano di buon mattino con sporte e sacconi vuoti e ritornano a casa nel pomeriggio o a sera compiendo grandi esercizi d’equilibrismo per reggere sulla testa (le donne) quantità industriali di oggetti acquistati.
Chi può, noleggia una delle molte moto che stazionano presso la dogana paraguaiana (c’è un casco pronto per il cliente!) riducendo i tempi d’attesa del passaggio, perché chi guida riesce a infiltrarsi fra un’auto e l’altra. Diversa la musica per chi noleggia un taxi; oltre al costo superiore, deve mettere in preventivo (per i circa dieci chilometri che separano Ciudad del Este da Foz do Iguassù) un’ora buona, se va bene, di gas di scarico e di caldo opprimente.
La città è un formicaio umano e il ponte il transito obbligato: nel centro, due carreggiate perennemente occupate da tre file di auto, camion, pullma nche vanno e tre file che vengono. Una rete metallica, per tutta la lunghezza del ponte, separa i veicoli dalla folla che cammina sui due camminamenti a ridosso dei parapetti; più sotto, una trentina di metri circa, scorre il fiume. Le statistiche dicono che il ponte dell’Amistad vomita dal Brasile circa nove, dieci milioni di brasiliani all’anno.
Ciudad del Este, “prove di vita” continue
Recita un antico proverbio Guaraní: “la giustizia è come una “telaraña” (ragnatela); solo i piccoli vi si impigliano, quelli grossi la lacerano”. Metafora che calza alla perfezione al Paraguay, splendido paese dalla geografia piatta eppure variabilissima, vivo e vitale grazie all’anima indigena che lo distingue dagli altri paesi sudamericani; un’anima antica e pura che è riuscita a permeare della propria cultura, semplice e insieme complessa, le sovrapposizioni etniche europee che si sono riversate tra il Rio Paraguay e il Rio Paranà nel corso dei secoli, sino a costituire oggi la cultura dominante.
Si può ben dire che lo specchio fedele di quest’ansia di “fare” e di emergere, nel lodevole intento di consolidare l’ancor fragile democrazia di un paese che è riuscito a scrollarsi di dosso lunghi anni di dittature militari e a rimarginare le profonde ferite morali e materiali di guerre assurde, trovi in Ciudad del Este, la città dei traffici leciti e illeciti, la cartina di tornasole di questo inarrestabile processo di sconvolgimento vitale.
Business, negocios, affari. E’ qui il paradiso
Ciudad del Este è il “naso” che il Paraguay mette al di là dei propri confini e insieme la spugna che assorbe le “novità”, buone e cattive, che arrivano da fuori.
Qui si vende e si compra di tutto: le donne indie offrono mercanzie varie per le strade che pullulano di bancarelle con cibi e bevande. I mille negozietti traboccano di articoli di ogni genere: materiale high-tech, macchine fotografiche, CD, musicassette, iPod, capi di vestiario, canne da pesca, costumi da bagno, giocattoli, lucchetti, ventagli, coltelli e armi di tutti i tipi (vi sono “vigilantes” armati all’ingresso dei grandi magazzini) articoli pornografici, ombrelli, accendini. Molta di questa merce è naturalmente di dubbia provenienza. E intanto la città si espande, con i suoi grattacieli, con il dedalo di case, casette e baracche a bordo fiume, ma anche con i bellissimi parchi e le eleganti zone residenziali. Emblema di questa apparente incompiutezza cittadina è lo stadio calcistico, inaugurato qualche anno fa per la Coppa del Sudamerica (con Ronaldo e soci) e già oggi fatiscente.
Itaipù, la grande diga bi-nacional
A pochi chilometri da Ciudad ecco la grandiosa diga di Itaipú (prossima alle altrettanto grandiose e notissime “cataratas”). La diga è un’impresa “bi-nacional” (Paraguay e Brasile) e possiede “numeri” che impressionano: lunga otto chilometri e alta duecentoventicinque metri, ha dato vita a un lago grande quattro volte il Garda. Il cemento impiegato avrebbe permesso la costruzione di oltre seimila palazzi di quindici piani e così via, con cifre da iperbole che parlano di grandi ricchezze. Di fatto l’energia prodotta a Itaipù illumina e fa muovere i macchinari di mezzo Sud America.
Un popolare detto paraguayano recita: “non abbiamo niente, ma siamo ricchi di tutto”. Itaipù è la prima ricchezza, si spera di una lunga serie a venire, dell’intero Paraguay.
Leggi anche:
Paraguay, due volti una sola anima