Lontana dal caos delle metropoli occidentali e delle capitali centroafricane, Windhoek è la meta ideale per assaporare, in un unico boccone, la complessità della cultura e della storia della giovane Repubblica Namibiana, ancora in bilico tra la ricerca di un’identità nazionale propria e la stretta dipendenza dalle potenze coloniali (Germania e Sudafrica) che l’hanno dominata per decenni. Per visitarla bastano un paio di giorni, ma la sua vera natura fatta di eccessi e povertà, si rivela solo vivendone la quotidianità. Camminando la domenica mattina lungo Indipendence avenue, la lunga arteria principale che attraversa il centro, dividendo la città in zona nord e zona sud e che fa da bussola anche ai turisti più disorientati, si ha la sensazione di essere in un villaggio belga. Le colline verdeggianti che circondano la capitale, la vivace compostezza del mercatino informale di “Post Street Mall” affollato da turisti europei e da donne “himba” nei loro costumi tradizionali; la torre dell’orologio che scandisce il lento scorrere del tempo; famiglie all’ombra degli alberi dello zoo park, l’antico zoo della città e adesso giardino pubblico, tutto insomma crea una piacevole alchimia di tranquillità e ordine, esattamente come in una cittadina fiamminga.
Nel quartiere “ricco”
Percorrendo Indipendence avenue verso sud, si giunge in pochi minuti a piedi a Klein Windhoek, il più antico quartiere della capitale, oggi divenuto il più ricco. Qui, le villette a schiera affacciate su strade perfettamente asfaltate sono per lo più residenze di ambasciatori, diplomatici e ministri. Eppure, meno di cento anni fa, all’inizio del protettorato sudafricano, questa zona era destinata esclusivamente alle etnie indigene di pelle nera. Nel quadro della sua politica di segregazione razziale, il Sudafrica aveva infatti smembrato la città in diverse zone, ognuna delle quali riservata rispettivamente ai bianchi, ai neri o ai “coloured” (i meticci). Oggi, le uniche persone di colore che si incontrano da queste parti sono invece le guardie che piantonano le ambasciate, le badanti, i tassisti.
Klein Windhoek è dominata dalla collina della cattedrale, una fiabesca costruzione di pietra color ocra e rosso scuro che ricorda vagamente lo stile architettonico delle Fiandre. Immediatamente dietro la cattedrale spunta il possente palazzo del Parlamento con il suo curatissimo giardino, decorato con le statue degli eroi dell’indipendenza, ottenuta dal Sudafrica solo nel 1990. Dalla cattedrale, muovendosi giù lungo Fidel Castro street, si incrocia di nuovo Indipendence avenue che stavolta va percorsa verso nord, allontanandosi dal centro della città.
Katatura, dove le varie etnie convivono
Il panorama intorno inizia lentamente a cambiare e i vivaci edifici in stile coloniale lasciano il posto a radi palazzi di periferia. La via dell’indipendenza è talmente lunga che percorrerla a piedi sarebbe impossibile, anche per il maratoneta più allenato! Per fortuna, rimediare un taxi condiviso è piuttosto semplice ed economico, purché si sia disposti a viaggiare su una malconcia utilitaria insieme a più persone e ad essere guidati da un tassista che il più delle volte non sa dove sta andando.
Passando per il quartiere residenziale di Windhoek West e per quello popolare di Khomasdal, sempre a bordo dell’improbabile taxi, si arriva al sobborgo di Katatura, che in lingua “herero” vuol dire “il posto in cui nessuno vuole stare”. L’enorme palazzo grigio dell’ospedale di stato, segna il punto di ingresso in questa zona. Negli anni cinquanta del novecento, il governo coloniale sudafricano impose alle tribù di colore di abbandonare Klein Windhoek, per stabilirsi nelle modeste abitazioni appositamente costruite per loro in questo sobborgo. Al fine di evitare l’insorgere di coalizioni sovversive, le varie tribù del paese (owambo, kavango, herero, damara, nama) furono inoltre separate le une dalle altre e sistemate in sotto zone ben distinte, creando così dei piccoli ghetti all’interno di un grande ghetto.