Lo chiamano Shaolin, che in cinese vuol dire “Piccola Foresta”. Ma in realtà è un monastero piazzato su un monte che di vere foreste non ne ha, solo qualche bosco piantato dall’uomo: un’altura tozza e bruttina, dove non si va né a sciare, né a pescare, né a camminare, ma dove malgrado ciò ogni giorno salgono bus carichi di turisti, anzi di “pellegrini”. Motivo: Shaolin è la Betlemme dei cultori di arti marziali del mondo intero. Lassù infatti nacque il kung-fu, padre di tutte le discipline del settore, comprese quelle considerate “made in Japan”.
Col Giappone, Shaolin non c’entra niente. Ma c’entra poco anche con la Cina rilucidata di fresco di Pechino, a misura di Olimpiadi, o con quella verticale di Shanghai, a misura di quarto millennio. La Cina di Shaolin è la più orizzontale e più classica possibile: anzitutto la più orizzontale, perché sotto il Songshan (il monte del monastero) si stende l’immensa pianura del Fiume Giallo; la più classica, poi, perché lo Henan (la provincia di cui Shaolin fa parte) trentasette secoli orsono fu la patria dei primi re non leggendari della storia cinese, gli Shang.
Statue di Budda dappertutto
Fertile e piuttosto ricco, lo Henan è anche molto conservativo. La mattina nelle sue città capita ancora di vedere migliaia di biciclette in migrazione verso i posti di lavoro, spettacolo che a Pechino e Shanghai è solo un ricordo. In campagna, poi, si incontrano anziani contadini che continuano a indossare uniformi maoiste, un tempo gli unici abiti prodotti dalle industrie tessili della Repubblica Popolare, in tre varianti (grigia, verde e blu). Insomma, Henan vuol dire l’album di famiglia della Cina, dove tutto si aggiunge e nulla si cancella.
Oltre ad aver visto nascere i primi re cinesi, questa provincia-museo vanta anche altri tre primati: è la più popolosa del Paese, con cento milioni di abitanti stipati su una superficie pari a solo metà Italia; conserva il più antico tempio buddista a nord dell’Himalaya (quello del Cavallo Bianco a Luoyang); vanta infine la più alta densità al mondo di statue di Budda. Chi le ha contate dice che solo a Longmen, località dichiarata dall’Unesco “patrimonio dell’umanità”, ce ne sono ben novantasettemilatrecentocinque (!) tutte scolpite su una parete rocciosa vista-fiume.
Un Santone molto “esigente”…
In questo humus buddista ha radici anche Shaolin. Infatti uno dei primi “abati” del monastero fu un asceta indiano che intorno al Cinquecento dopo Cristo varcò l’Himalaya e si diresse sul Fiume Giallo per predicarvi la nuova religione.
Si chiamava Bodhidharma, aveva origini nobili e una netta vocazione per la vita contemplativa: di lui narrano che rimase nove anni in una grotta, immobile davanti a una parete, meditando sui massimi sistemi; e che un giorno, dopo aver ceduto al sonno, per punire le palpebre che si erano chiuse se le tagliò.
Fu proprio quel santone autolesionista a inventare il kung-fu, che in origine voleva essere solo una disciplina per rinvigorire i discepoli, in modo di renderli capaci di imitare il maestro e di reggere la fatica di meditazioni prolungate. Presto però la serie di esercizi psicofisici consigliati da Bodhidharma generò un metodo di autodifesa a mani nude, quindi adattissimo ai monaci, che per regola non potevano portare armi. La filosofia retrostante era bizzarra: si trattava di imitare gli animali, che sono capaci di difendersi senza spade e lance.