Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Le città messicane dell’Argento

Città dell'argento

Paesaggi assolati, cittadine che hanno “vissuto”, più di altre, la storia del Messico, sulla scia delle fortune dovute al prezioso metallo. Una Spagna d’antan, spazzata dalla rivoluzione, teatro di gesta e di personaggi incredibili

città dell'argento Guanajuato, Chiesa della Valenciana
Guanajuato, Chiesa della Valenciana

La luce di un tramonto sfacciatamente dorato serpeggia lungo stradine acciottolate che si arrampicano sinuose come serpenti in un anfiteatro di facciate pastello, piene di fiori. Da una piazzetta l’eco di un concerto di chitarre risale le colline: è un’ “estudiantina”, un’orchestrina di universitari che cerca di sbarcare il lunario con ballate strappalacrime collaudate da secoli.
L’incanto è perfetto, potrebbe essere la Castiglia o l’Andalusia di qualche secolo fa invece è Messico, anzi Guanajuato, un fazzoletto di Vecchio Mondo perso nel cuore della Sierra Madre.

Città dell’argento Guanajuato, “forziere” dell’impero spagnolo
Una donna all'ombra della cattedrale di Zacatecas
Una donna all’ombra della cattedrale di Zacatecas

Sgranate lungo un antico Camino Real che collegava le ricche miniere del nord a Città del Messico, spesso nate per difendere le carovane di muli cariche d’oro e argento da indiani e banditi, le città coloniali messicane oggi sonnecchiano all’ombra di teatrali architetture da cui si affacciano angeli e santi dai tratti orgogliosamente iberici.
Guanajuato, San Miguel de Allende, Queretaro, Zacatecas, angoli di Spagna impastati di Toscana e Provenza, città dove Zorro potrebbe spuntare da ogni portone e dove un vecchio pazzo e romantico come Don Chisciotte probabilmente si troverebbe perfettamente a suo agio.
Sulla follia e sull’eccesso del resto è nata e vissuta Guanajuato, protagonista della più sfrenata corsa all’oro della storia, dove i fantasmi del passato sembrano ancora aggirarsi per le strade, quando la città scivola in un buio che la trasforma in un grande presepe. Lontano, come una quinta in fondo alla scena, si alza il profilo della chiesa di San Gaetano, popolarmente conosciuta come La Valenciana, nata quando le miniere d’argento facevano della “Ciudad de Santa Fe y Real de Minas de Guanajuato”, il forziere dell’impero spagnolo.

Museo de las Momias
Museo de las Momias

E così nell’anno di grazia 1760 Don Antonio de Obregòn y de Alcocer, Conde de La Valenciana nonché soddisfatto proprietario dell’omonima miniera, una delle più ricche del mondo, aveva deciso di ringraziare Dio senza badare a spese costruendo una chiesa dove, secondo la leggenda popolare, persino la malta era impastata d’argento.
Un “mundo de ilusiones”, questo è Guanajuato dove non a caso è nato uno dei grandi muralisti messicani, Diego Rivera; un circo di sapori, colori e suoni che raggiunge il suo azimut in una sorta di tempio del surrealismo messicano, il Museo de las Momias, vera e propria Galleria dell’Orrore per famigliole in cerca di emozioni che raccoglie oltre un centinaio di mummie. C’è n’é per tutti i gusti: dal feto più piccolo del Messico al cadavere del rivoluzionario, tutti selezionati da un’ufficialissima commissione comunale che sceglieva gli “esemplari” più spettacolari, frutto di un processo di mummificazione naturale nel locale cimitero.

Città dell’argento San Miguel e la calata dei “Gringos”
San Miguel de Allende
San Miguel de Allende

Oltre l’orizzonte, chiuso dalla Sierra di Santa Rosa, si sgrana il rosario di altre città coloniali, dove la luce prende i colori accesi dalle facciate e ogni domenica la banda suona in piazza mentre i ragazzi fanno lo struscio, fingendo di ignorarsi mentre saettano occhiate assassine di sottecchi. Magari circondati dalla più alta concentrazione di “gringos” per metro quadrato a sud del Rio Grande, come a San Miguel de Allende dove vengono in cerca di corsi di lingua e di un pizzico di esotismo “soft”.
Su tutti veglia paterna la torre gotico-disneyland della piccola cattedrale color rosa salmone costruita da Zeferino Gutierrez, locale scalpellino autodidatta, affascinato dalle stampe europee che mostravano cattedrali gotiche irte di guglie e pinnacoli. Perché non qui, deve essersi domandato, e probabilmente aveva ragione perché se c’è un luogo che sa assorbire tutto è proprio San Miguel, dove persino due culture come quella latina e quella anglossassone, che spesso più che incontrarsi si sono scontrate, riescono a dare il meglio di sé. E così, per campare, la “noble y leal ciudad de San Miguel el Grande” ha subito l’ennesima metamorfosi e palazzi e conventi, dopo secoli di melanconico abbandono, sono diventati sedi di istituzioni culturali mentre sofisticati antiquari e alberghi esclusivi hanno fatto rivivere romantici “patios”, dove l’unico rumore è il gorgogliare delle fontane.

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Queretaro, città dell’insurrezione
Queretaro, Piazza del Municipio, ex casa di Doña Josefa Ortiz
Queretaro, Piazza del Municipio, ex casa di Doña Josefa Ortiz

Tutt’altra storia quella di Queretaro, una delle più ricche città della Nueva España dove, spesso con durezza, si è deciso il destino del paese.
Un monumento un po’ pomposo ricorda la “Corregidora” (co-reggitrice) al secolo Doña Josefa Ortiz, arcigna eroina dell’indipendenza e vero motore – come spesso accade in questo paese di fragili “machos” e ferrigne “virago” – del gruppo di idealisti e avventurieri protagonisti dell’insurrezione antispagnola.
Primo tra tutti l’onnipresente tormentone di ogni cerimonia ufficiale, il celebre Padre Hidalgo, al tempo parroco della vicina Dolores che secondo i maligni avrebbe scatenato l’insurrezione per sfuggire a creditori e mariti traditi. Storie che probabilmente lasciano insensibili i molti habitués della cantina El Rey, immersi nella penombra di un dormiveglia senza fine, cullati dal coro di preghiere dei fedeli inginocchiati davanti al portone del vicino Convento de la Santa Cruz. Forse in cerca di una tardiva espiazione per la morte di Massimiliano, imperatore-fantoccio fucilato proprio a Queretaro per ordine di un presidente indio dalla faccia triste e amante della legalità, Benito Juarez.

città dell'argento Taxco, Cattedrale di Santa Prisca
Taxco, Cattedrale di Santa Prisca

Le città dell’argento sono tante, come le loro anime, da Zacatecas con le grandi miniere perse nell’altitudine dell’altopiano a Taxco, legata alla leggenda straordinaria di Don Josè de la Borda, gentiluomo francese di belle speranze, trasformato in uno degli uomini più ricchi delle Americhe dalla caduta del suo cavallo, letteralmente inciampato su una vena d’argento. Lui, in compenso, pensò di sdebitarsi con il buon Dio regalando a Taxco una cattedrale, perché “Dios da a Borda, Borda da a Dios”.
E ancora oggi i campanili di Santa Prisca troneggiano tra grappoli di case percorsi da vicoli che serpeggiano apparentemente senza logica, dove ancora oggi nella città dell’argento, non più quello delle miniere ma il frutto del lavoro di generazioni di straordinari artigiani, è ancora il motore dell’economia cittadina.

Città dell’argento Catorce, dai “bandoleros” a Julia Roberts
Festa religiosa
Festa religiosa

Più a nord la strada, un infinito rettilineo visibile per decine di chilometri, punta dritta verso il confine con il Texas, mentre all’orizzonte si alzano catene di montagne che sembrano la quintessenza del nulla. Ma proprio la vicina Sierra de Catorce nasconde uno dei più affascinanti segreti di tutto il Messico, alla fine di un’inquietante galleria, il “Tunel Ogarrio”, due chilometri a senso unico scavati attraverso la montagna utilizzando antiche miniere. All’uscita si materializza la città fantasma di Real de Catorce, abbarbicata su un ripido canyon. Oggi, tra queste rovine invase dai cactus, è difficile pensare a Catorce come ad una città ricca e vitale, ma qui ai tempi delle miniere abitavano oltre quarantamila persone, i negozi esibivano articoli di moda importati dall’Europa e nel teatro d’opera si tenevano spettacoli di buon livello. Nel 1895 persino l’eterno dittatore Porfirio Diaz si scomodò a venire su queste montagne e il suo trionfale ingresso a cavallo a Real è ancora vivo nella memoria dei pochi abitanti.

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Real de Catorce, Santuario di San Francesco d'Assisi
Real de Catorce, Santuario di San Francesco d’Assisi

La fine arrivò all’improvviso, quando con l’esaurimento delle miniere e la Rivoluzione, la città dell’argento diventò il covo di “bandoleros”, i banditi che infestavano la Sierra, e su Real calò il silenzio. Da allora le poche centinaia di anime rimaste sopravvivono grazie a un’immagine miracolosa di San Francesco che richiama pellegrini da tutto il Messico. E al “pelote”, che sulle orme dei libri di Castanêda ha attirato qui per anni scoppiati e varia umanità in cerca di “viaggi”.
Ora però Real sta lentamente tornando alla vita, portata alla ribalta da film come Puerto Escondido e The Mexican e ripopolata da un pugno di innamorati del silenzio ovattato, che alla sera avvolge le forme massicce e spettrali della grande chiesa. Tra le sagome nere delle montagne forse si stanno aggirando silenziosi gli indios Huicholes che vengono al vicino monte Wirikuta, dopo un pellegrinaggio di oltre quattrocento chilometri, in cerca del peyote, il cactus allucinogeno che cresce solo quassù.
Uno scenario perfetto per capire la follia di una corsa all’oro che creò immense fortune, dilapidate con la stessa velocità con cui erano state accumulate, mentre sullo sfondo della scena gli indiani massacrati e schiavizzati erano sempre lì, presenze immutabili e silenziose.

I miti di Real de Catorce
città dell'argento

Nel 1963 Liz Taylor e Richard Burton, con la “Notte dell’iguana”, trasformarono per sempre un sonnolento borgo di pescatori messicano, Puerto Vallarta, in una località di fama internazionale. Qualche anno fa gli abitanti di Real de Catorce hanno sperato che “The mexican”, con Julia Roberts e Brad Pitt, trasformasse in una nuova miniera d’oro una città che aveva una sola linea telefonica.
Se la strada da “location” cinematografica a mecca turistica può essere lunga, i locali sono contenti lo stesso perché oggi Real ha molti più telefoni, pagati con cento milioni di dollari dalla produzione, una pagina web e persino una jacuzzi, richiesta dalla Roberts.
Nel frattempo gli alberghi continuano a ostentare cartelli che avvertono di non comprare “prodotti che alterano la mente”. Già, perché le montagne circostanti, un tempo generose d’oro e argento, oggi sono famose per il “pelote”, un cactus allucinogeno che occupa un posto centrale nella mitologia degli indios Huicholes, per i quali è il mezzo per vivere in un tempo sacro a contatto con gli dei.

Il pellegrinaggio al vicino monte Wirikuta (la “Terra del peyote”) l’unico luogo dove lo si trova, associato simbolicamente a entità divine come il mais e il cervo, è quindi il momento centrale della loro cosmogonia. Il percorso ripercorre simbolicamente il viaggio degli antenati con tappe scandite da complessi rituali fino al Wirikuta, dove gli Huicholes raccolgono i peyotes che riporteranno alle loro comunità.

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Padre Hidalgo, Doña Josefa e gli spagnoli
Le città messicane dell’Argento

Le città coloniali del Messico centrale sono le tappe principali di quella che viene chiamata la “Ruta de la Indipendencia”, la Strada dell’Indipendenza. Proprio qui infatti la borghesia creola, che delle grandi ricchezze strappate alle miniere aveva visto solo le briciole, diede inizio al movimento per l’indipendenza dalla Spagna, e l’occasione si presentò con l’occupazione della Spagna da parte di Napoleone.
Il principale gruppo di congiurati si riuniva a Queretaro in casa di Doña Josefa Ortiz, popolarmente chiamata la Corregidora perché moglie di un alto funzionario governativo della città. Il 16 settembre del 1810 uno dei capi della congiura, padre Miguel Hidalgo, parroco del vicino paese di Dolores, lanciò dal balcone della sacrestia il famoso “Grito de Dolores”, incitando alla rivolta. In pochi giorni l’esercito “insorgente”, composto prevalentemente da “campesinos” stracciati e male armati, occupò parecchie città tra cui Guanajuato, dove avvenne uno degli episodi più sanguinosi della Guerra d’Indipendenza, quando i rivoluzionari massacrarono soldati e civili rimasti fedeli alla Corona, asserragliati in un grande deposito di grano, l’Alhòndiga de Granaditas. L’anno successivo, quando questa prima ribellione venne schiacciata, gli spagnoli ricambiarono appendendo le teste dei principali leader rivoluzionari, tra cui padre Hidalgo, ai quattro angoli dell’edificio dove restarono per dieci anni, fino al raggiungimento dell’Indipendenza del Messico.

Notizie utili

Ente Messicano per il Turismo

via Barberini 3, Roma, telefono 06 4872182, 06 4827160
www.visitmexico.com è il sito ufficiale del turismo messicano

Gli hotel delle “città dell’argento”

Gunajuato – La Casa de los Espiritus Alegres, la ex-hacienda La Trinidad, 1 colonia Marfil, telefono-fax 473 7331013, info@casaspirit.com, www.casaspirit.com. Un’esperienza diversa in un favoloso B&B di charme, con un bellissimo giardino e a poca distanza dalla città, con otto stanze decorate da artisti e una collezione di artigianato da fare invidia a un museo.

San Miguel de Allende – Casa de Sierra Nevada, calle Hospicio 35,  telefono 415 1527040, mail@casadesierranevada.com,  www.casadesierranevada.com.
Uno degli hotel più eleganti di tutto il Messico, ricavato da quattro splendidi palazzi coloniali un tempo dimora del vescovo. Ogni camera ha un arredamento differente e molte si affacciano su piccoli e soleggiati patios fioriti.

Queretaro – Mesòn de Santa Rosa, Pasteur 17, telefono 442 2242623, fax 442 2125522, www.mesonsantarosa.com – starosa@parc.ciateq.mx.
Un antico palazzo coloniale elegantemente restaurato sulla centralissima Plaza de Armas, costruito intorno a tre patios con giardini, piscina e ristorante all’aperto, in un’atmosfera particolarmente elegante e confortevole.

Real de Catorce – Ruinas del Real, Lerdo (senza numero) a due isolati da Plaza Hidalgo, telefono 488 8875065.
Costruito in pietra e adobe con tecniche tradizionali è l’hotel più confortevole di Catorce, grazie anche al suo eccellente bar. Le camere sono spaziose e decorate con gusto e per i fans di Julia Roberts c’è la suite in cui l’attrice ha alloggiato durante la lavorazione di “The Mexican”.

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