Giovedì 24 Ottobre 2024 - Anno XXII

Il manifesto sul futuro dei semi

Al Salone del Gusto di Torino chiuso pochi giorni fa, Terra madre ha annunciato un nuovo documento, dove indica cosa fare per avere un’agricoltura sostenibile e un mondo più giusto ed equilibrato

Carlo Petrini
Carlo Petrini

Venerdì 27 ottobre, al Salone del Gusto di Torino, Terramadre ha lanciato il nuovo “Manifesto sul futuro dei semi” per un’agricoltura giusta e sostenibile.
Nel 2003 la “Commissione Internazionale sul futuro del cibo” aveva pubblicato e diffuso “il manifesto sul futuro del cibo”, un documento che delineava una serie di interventi per garantire che l’intera filiera agro-alimentare divenisse più sostenibile, sia dal punto di vista sociale che da quello ecologico.  
“Carico di contenuti, politica e cultura, di progettualità, quel manifesto – ha detto Carlo Petrini, presidente di Slow Food – è rimasto clandestino. Per un semplice motivo. Quando è stato scritto non c’era Terra Madre”.
A tre anni di distanza con il sostegno della regione toscana, la Commissione Internazionale sul futuro del cibo, tramite una consultazione globale tenutasi nell’ambito di Terra Madre, a Torino, ha preparato “il  manifesto sul futuro dei semi”.
“Il nuovo documento – ha dichiarato Petrini –  diventa uno strumento operativo di Terra Madre. Rappresenta l’elemento più importante che in questa fase storica il movimento contadino, ambientale e gastronomico ha per le mani e deve saper attuare. Ormai a livello internazionale bisogna prendere atto che è nato un nuovo protagonista, formato da migliaia di contadini, nomadi, pescatori, che fanno parte di una nuova rete. Questi protagonisti tornano nei loro villaggi senza avere chiara una missione, una strategia, un progetto”.

Il manifesto sul futuro dei semi

L’obiettivo di Terra Madre è fare in modo che il manifesto possa servire a rafforzare e accelerare il passaggio ad un’agricoltura sostenibile, alla sovranità alimentare, alla biodiversità e alla agrodiversità, a difendere i diritti degli agricoltori di salvaguardare, condividere, utilizzare e migliorare le sementi, e infine a potenziare la capacità collettiva di adattarsi ai rischi e alle incertezze del cambiamento ambientale ed economico. “Chiediamo  – è l’appello della Comunità Internazionale – con forza a persone e comunità di mettere in atto questo documento nel modo più idoneo a seconda delle loro esigenze e ad utilizzarlo come strumento per unire e rafforzare lo sforzo di tutti di contrastare le minacce che mettono in pericolo i semi e la biodiversità per effetto dell’agricoltura industriale e degli interessi delle multinazionali”.
Come spiega il presidente di Slow Food, “un tempo si conquistavano i territori con le guerre, oggi non è più necessario. Certo, dove c’è petrolio da prendere bisogna usare la forza. Ma dove non c’è niente da perdere, è sufficiente avere i semi”. Il fenomeno, denuncia Petrini, è diffusissimo: ai contadini si vendono semi che hanno royalties private, magari semi “terminator” per cui una volta fatta la semina, quella successiva non si ricava dai frutti, ma bisogna ritornare dal padrone e continuare il ciclo. “Non è necessario un esercito, basta l’economia di mercato”.

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Il manifesto sul futuro dei semi

“Si chiamano royalties e sono le nuove forme di conquista – sostiene Petrini. Sono le catene dei contadini, il motivo per cui in India 20 mila contadini si suicidano perché il processo millenario di una agricoltura che si rigenerava in base alla conservazione dei semi è stato interrotto dall’arroganza delle multinazionali, che non riguarda solo i semi, ma anche i fertilizzanti. Sono loro a mettere in condizioni inique i contadini e ad esercitare un vero e proprio crimine. Se pensiamo di affidare al buon cuore di questi criminali, l’opportunità di aprirsi ad una diversa veduta penso che siamo degli illusi. Viceversa pacificamente e lentamente – il presidente di Slow food non può dire velocemente – con questo manifesto si rigenera la logica agricola millenaria di proprietà delle sementi da parte delle comunità rurali, le quali anche assistite dalle istituzioni debbono conservare questo patrimonio genetico e trasformarlo ma debbono averne proprietà i contadini”.
Alle 1700 comunità agricole e contadine presenti a Terra Madre è stato dato un libro, che riporta i prodotti, il lavoro, le caratteristiche e l’indirizzo, il telefono e l’e-mail di tutte le comunità.
“Anche Mohamed del Gibuti – racconta il presidente – potrà tornare a casa e contattare gli altri allevatori e discutere con loro delle ingiustizie, dei problemi, delle opportunità. Anche lui che è un allevatore. Perché? Perché le vacche mangiano. Mangiano prodotti che si ottengono dalle sementi e noi vorremmo che le vacche africane potessero mangiare prodotti africani, e non che ci sia una logica per cui il mais ogm gira per il pianeta ad alimentare le vacche di tutto il mondo. Per questo la questione delle sementi è di fondamentale importanza”.

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