Nella tabella dei paesi a rischio, uscita su uno dei primi quotidiani italiani, la Colombia non è nemmeno contemplata. Paese sicuro? Tutt’altro. Compare esclusivamente per spiegare i rischi dell’Ecuador, solo perché suo confinante. In effetti la Colombia è legata, e lo sarà probabilmente ancora per molto, al traffico della coca, ai cartelli della droga, ai sequestri, raccontati dal premio Nobel Gabriel Garcia Marquez, colombiano di Aracataca. E così questo paese meraviglioso è preso poco in considerazione come meta di viaggio. Le statistiche parlano di sessantamila turisti l’anno; una cifra ridicola, pari a quella di Pisa in un weekend di luglio. Ma chi ci va in Colombia ha il vantaggio di trovare un paese autentico, “incontaminato”, dove il termine avventura ha ancora un senso. Non si può andare in Colombia senza vedere la capitale. Tutto passa da lì, per raggiungere qualsiasi luogo il crocicchio reale e ideale è Bogotà. Con l’eccezione di Cartagena e le isole intorno, che rientrano in altri “itinerari”, più turisticamente considerati, perché più sicuri.
Il mondo in una città
Bogotà, definita “città a tremila metri sul livello del male”, è una vera megalopoli. Ci vivono otto milioni di abitanti censiti, più un altro milione senza nome, tetto, identità. Anche la sua estensione è notevole, la si può “misurare” dalla collina del Monserrate. Enorme agglomerato casuale di paesi e villaggi che non hanno niente in comune tra loro, anzi appartengono a mondi opposti. C’è Chicò, quartiere residenziale a nord, disseminato di ville principesche dove gli abitanti arrivano in elicottero e Ciudad Bolivar, una baraccopoli all’estrema periferia sud, dove la polizia non osa entrare. In questa selva di umanità, storia, architetture secolari a tremila metri d’altezza, sono molti i “must” irrinunciabili. Uno appunto è il Monserrate per la vista. Si raggiunge, in taxi, in funicolare, in seggiovia. Da evitare la passeggiata a piedi, non per l’arrampicata per nulla impegnativa, quanto per la quasi certezza di spiacevoli incontri con rapinatori e affini. Da non mancare la Candelaria, quartiere con palazzi del Cinquecento abitato da artigiani, artisti, studenti e intellettuali, con gallerie d’arte, pensioni, musei e case particolari.
Come la Casa del Florero, con i fiori sui balconi, detta anche Museo 20 de Julio, data che ricorda l’inizio della ribellione del 1810 contro gli spagnoli e ne raccoglie i cimeli. Oppure il Teatro Camarin del Carmen, con balcone circolare, un tempo monastero, ora teatro con cinquecento posti. Alla Candelaria si arriva dalla Piazza Bolivar su cui si affacciano gli austeri palazzi del potere: il neoclassico Campidoglio, sede del parlamento, il Palacio de Narino, dove vive il presidente, il Palazzo di giustizia, il Municipio e la Catedral Primada, del XVII secolo, come la vicina Capella del Sagrario. Imperdibile il Museo de Oro, con più di trentaseimila pezzi di oreficeria precolombiana.
La perla delle Indie
Dichiarata patrimonio storico dell’Umanità dall’Unesco, Cartagena de Indias è considerata la città più bella delle Americhe. Sicuramente è tra le più antiche.Fu fondata nel 1533 dal “conquistador” Pedro de Heredia dove sorgeva un villaggio dei Calamari, indios del Caribe. In un’insenatura naturale, era in posizione strategica, tanto che divenne il porto di partenza dei galeoni con l’oro diretti in Europa, sia il porto più importante per il commercio degli schiavi. Ma proprio perché era un punto nevralgico per il trasporto di grandi ricchezze fu presto l’obiettivo di pirati e corsari. E questo spiega le grosse mura e i bastioni in pietra, perfettamente conservati, che circondano la città vecchia. All’interno le vie, piacevoli da girare in carrozzella a cavalli, sono piuttosto strette. Ci sono ville dai grandi portali, chiostri, chiese, porticati come il Portal de los Dulces dove assaggiare i dolci locali. E poi case gialle, rosa, azzurre con balconi di legno. Alcune sono normalmente abitate, altre sono state trasformate in musei, ristoranti, istituti culturali, alberghi. Come l’Hotel Santa Clara, ricavato nel convento di Santa Clara de Asis del 1617. Accanto, la casa di Marquez, una costruzione a bunker, che immagini abitata più da un narcotrafficante che dal Gabo del realismo magico. Fuori le mura, tra le spiagge più belle, Laguito e Bocagrande, paradisi dei sub, con alberghi troppo grandi e lussuosi.
La Colombia prima di Colombo
Anche chi non ha interesse per l’archeologia non può non restare incantato dalle meraviglie di Tierradentro e San Agustin. Soprattutto il secondo sito, a dieci minuti a piedi da un paese omonimo di poco più di settemila abitanti, è circondato da un fascino misterioso. Vicino alle sorgenti del Rio Magdalena, al centro della Colombia, in una vallata con orridi e dirupi che regala sensazioni straordinarie, comprende una dozzina di luoghi archeologici. Con più di seicento sepolcri e statue in pietra di varie dimensioni, alcune alte fino a sette metri che ricordano quelle dell’isola di Pasqua. Il più grande è il Parque Arqueologico con centotrenta statue, di cui alcune rinvenute lì e altre trasportate da altri luoghi. Si cammina su passerelle nel verde, alternando la vista delle tombe a scorci di paesaggio dagli orizzonti infiniti, davvero d’effetto. In un piccolo museo sono raccolte le statue più piccole, i gioielli e gli attrezzi di quelle antiche popolazioni precolombiane.
Amazzonia colombiana, avventura pura
Chi dice Amazzonia pensa al Brasile, ma anche l’Amazzonia in Colombia non è trascurabile, essendo quasi la terza parte di un paese grande un milione e centoquarantamila chilometri quadrati. Ma non sono le dimensioni a colpire. È la natura straordinaria, l’unicità della vegetazione, la varietà di fauna, i colori, i profumi, i rumori della foresta, la navigazione sul fiume, la vita dei piccoli paesi che vi si affacciano, le popolazioni indigene rimaste. Un luogo che può dare ogni minuto emozioni irripetibili e che richiederebbe mesi di viaggio. Per un assaggio soddisfacente consigliata Leticia, la capitale, collegata con gli aerei dell’Avianca a Bogotà. Un tempo importante centro per il commercio del caucciù, dagli anni Settanta è stata per quindici anni il quartier generale di Escobar, forse il più potente boss della coca. In molti ricordano i regolamenti di conti che quotidianamente avvenivano sotto gli occhi della polizia corrotta, nell’unica via che in due chilometri porta in Brasile. La strada è sempre animata: la sera da gruppi di ragazzi e al mattino da chi va al mercato, che ha luogo nelle stradine perpendicolari e sterrate che scendono al fiume. Dal porto si può andare a Manaus in quattro giorni con un battello; si può navigare con le basse imbarcazioni nelle acque percorse da delfini grigi o anche rosa, se si ha la fortuna di incontrarli. Oppure si può approdare a Porto Narino, rimasto com’era ottant’anni fa, ma ordinato come un paese dell’Engadina. O, ancora, visitare la tribù degli Yagua che vive sull’Atacuarì, un affluente del Rio delle Amazzoni, ai confini con il Perù. O, da ultimo, trascorrere una notte nel Rifugio Amazzonico, svegliandosi il mattino seguente nelle capanne per il cinguettio degli uccelli e quindi inoltrarsi nella foresta, ovviamente con una guida, per scoprire solo una minima parte di quelle piante capaci di dare sensazioni forti, per le quali la gente si arricchisce e si ammazza.
Info: www.colombia.travel/es
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