Il breve volo dalla cittadina di Mokp’o, nell’estremo sud ovest della penisola coreana, a Cheju, capoluogo dell’isola omonima un tempo chiamata Quelpart, si snoda su un panorama incredibile di isole e isolotti, sparpagliati lungo le coste frastagliate della Corea del Sud.
Al colmo del decollo l’aereo è già pronto per scendere su Cheju (poco meno di mezz’ora di volo) ma lo spettacolo sul mare sottostante continua. Sembra che qualcuno si sia divertito a gettare sulla distesa di acque, da un grande canestro sospeso fra le nuvole, ampie manciate di roccia e di verde.
Alcune isole sono infatti nere e brune, minuscole scaglie di granito conficcate a viva forza nel mare; altre sono interamente coperte di un verde compatto e brillante. Un gran numero di queste isole, anche molto distanti una dall’altra, fanno parte del Parco Nazionale Tadohae Haesang, la cui isola più nota è quella di Hong-do, famosa per le sue foreste di camelie e per le insolite formazioni rocciose.
Sorrisi e cortesia per comunicare
Mettendo piede nella Cheju-do (“do” sta per “regione”, e questa è una delle nove della Corea del Sud), è sufficiente ricordarsi due semplici frasi: la prima è “shillae amnidà” (mi scusi) indicata nel rivolgersi a qualcuno per un aiuto o un’informazione; l’altra è “kamsa amnidà” (grazie) una volta soddisfatta la richiesta.
Se poi il tutto è accompagnato da un atteggiamento amichevole e da un viso sorridente, non è escluso che si ricevano alcuni simpatici inchini appena accennati col movimento del capo; il colloquio (si fa per dire, anche perché l’inglese è poco conosciuto) potrà continuare, se non altro a gesti.
Questo è un Paese lontano migliaia di miglia da casa nostra, quindi ogni contatto umano ha il sapore dell’avventura. Piccola, ma pur sempre avventura.
I coreani sono persone corrette, rispettose, sempre gentili e disponibili, specie con i forestieri. Anche a loro capita però di discutere animatamente e alle nostre orecchie, quando questo avviene, arrivano mitragliate di parole velocissime e cadenzate dalla tipica troncatura fonetica determinata dal forte accento che cade sulla parte finale delle frasi e delle vocali (addirittura dieci!) ben distinte le une dalle altre.
Viene subito da pensare che litighino, ma non è così. E’ il “suono” della loro lingua, meno gutturale e cupo rispetto a quello giapponese, anche perché molto differente; il coreano appartiene infatti al ceppo uralo-altaico, come l’ungherese, il mongolo e il finnico.
Per restare in ambito linguistico, vale la pena di segnalare che Cheju è l’isola delle tre parole, ciascuna delle quali indica tre aspetti che la caratterizzano.
“Samdà” è vocabolo riferito alle tre cose che Cheju ha in abbondanza: vento, pietre e donne. “Sammu” comprende al contrario tre realtà che mancano nell’isola: ladri, mendicanti e porte. Infine “Samnyŏ”, parola che ricorda le tre cose piacevoli del luogo: la generosità degli abitanti, la bellezza dei paesaggi e la frutta dolce e succosa.
Una natura fantasiosa
C’è una larga strada che compie il periplo dell’isola (grande poco più di otto volte l’Elba) e ve ne sono altre concentriche che la percorrono in tondo all’interno, salendo e scendendo i declivi densi di vegetazione.
Poi altre due arterie di pari importanza attraversano il Parco Nazionale del monte Hallasan (la più alta cima della Corea del Sud, 1950 metri) tra incredibili panorami zeppi di rocce vulcaniche, avvallamenti, forre, piccoli crateri affogati nel verde di pini, abeti, cedri, faggi, querce, castagni, frassini, tigli.
Non mancano il sorbo selvatico, il rododendro, il ginseng e una grande varietà di erbe medicinali.
Cheju promuove sé stessa puntando su una riscontrabile realtà: è l’isola delle quattro stagioni. Proprio quelle che in altre zone del pianeta (la nostra compresa) vuoi per l’inquinamento, vuoi per il “niño” o “l’effetto serra” sui quali riversare colpe che sono esclusivamente nostre, sono ridotte a due: una calda e asfissiante, l’altra fredda e uggiosa.
I colori e i profumi di Cheju
Cheju è orgogliosa dell’alternarsi delle sue stagioni, ricche di colori e profumi, che specie nell’area del monte Hallasan si dispiegano in tutta la loro bellezza e aromaticità.
La primavera ha inizio con la fioritura delle azalee che sbocciano sulle ultime tracce di neve; ve ne sono di due tipi, quelle d’alta montagna (oltre i 1700 metri) e quelle che punteggiano i campi delle fattorie alle quote inferiori, dove pascolano mucche, cavalli e pecore. Ma il rosso violaceo delle azalee non è l’unico colore presente, anche se dominante; moltissimi sono i fiori multicolori che invadono le pendici del monte.
Con l’arrivo dell’estate il verde si fa più cupo e i torrenti, le piccole cascate, convogliano le acque verso il basso; la stagione scorre ritmata dal canto di un’infinita varietà di volatili. Splendido è poi l’autunno, quando l’intera imponente montagna si tinge di oro, di rosso e di bruno, prima della caduta delle foglie e i campi di erica dominano la scena. Infine, l’inverno, con il suo bianco diffuso e con altri tipi di “fiori”: i cristalli di neve che coprono la vegetazione.
“Girotondo” dell’isola
Il tour dell’isola offre una buona scelta di luoghi e “cose” da vedere. Cominciando dal capoluogo, sulla strada che conduce al Parco Hallasan, a quattro chilometri dal centro cittadino si trovano i Giardini Mok Sŏk Won che su una superficie di circa tre acri, presentano una raccolta “naturale” di pietre e radici d’albero secche dalle forme artistiche e fantasiose.
Meritano una visita, nelle vicinanze, il Museo del Folclore che accoglie una pregevole collezione di costumi e mestieri dell’isola attraverso il tempo (agricoltori, pescatori) mentre il Museo di Storia Naturale e dell’Artigianato possiede un’importante collezione di piante, animali e minerali dell’isola, oltre ché oggetti d’artigianato e utensili per fabbricarli. Prossimo a questo, da visitare anche il Museo della Corea del Nord, descritto nell’articolo pubblicato su Mondointasca tempo fa.
La Roccia Yongduam con la testa a forma di drago
Proseguendo il giro dell’isola verso ovest, ecco la Roccia Yongduam, molto popolare a Cheju. E’ una formazione basaltica alta circa dieci metri alla quale i venti e le onde hanno dato la forma di una testa di drago. Nel mare circostante, lavorano ancora oggi le Cheju Haenyŏ, vale a dire le pescatrici subacquee, coperte da una muta in tela bianca, che si tuffano alla ricerca di ostriche e molluschi.
Proseguendo lungo la costa, proprio dirimpetto all’isolotto di Piyang-do, ecco il Parco Hallim, ricco di un giardino botanico sub tropicale che ospita ventimila piante di mille differenti specie, oltre a due grotte naturali (Hyŏpchaegul e Ssangyonggul), scoperte nel 1955 e designate quali monumenti naturali nel 1971. Di origine vulcanica, hanno superbe e stranissime formazioni di stalattiti e stalagmiti che le rendono attraenti e insieme misteriose.
Orchidee, templi, rocce basaltiche e foreste
Arrivati nella parte sud dell’isola, ci si imbatte nella rotondità del Monte Sangbangsan, alto 395 metri. La leggenda vuole che questa cima sia stata strappata dalla sommità del monte Hallasan, lasciando il posto al lago Paengnoktam. Sulle pendici di questo monte-collina crescono le orchidee e nella grotta prossima alla sommità sorge il Tempio Sanbanggulsa, che risale al periodo del regno di Koryŏ (918-1392 d.C.) dal cui nome deriverebbe quello attuale di Corea.
La vista dell’oceano dalla grotta e dal tempio è decisamente incantevole.
Poco a sud, lungo la costa di Yongmŏri, punteggiata di scogliere e archi naturali, vi è una seconda formazione basaltica sempre a forma di testa di drago (animale fantastico molto amato dai coreani) e si può vedere anche il monumento dedicato a Hendrik Hamel, un marinaio olandese naufragato a Cheju nel 1653; il primo occidentale a lasciare testimonianze scritte della sua permanenza in Corea.
Quasi in prossimità della città di Sŏgwip’o, a ridosso delle scogliere che scendono a precipizio verso il Mare della Cina, si trova la Valle Andŏk. Qui c’è una foresta sempreverde (monumento nazionale) dalla rigogliosa flora endemica.
Cascate che si gettano in mare, villaggi rurali
Le attrazioni di Sŏgwip’o, seconda città dell’isola, al di là del verde diffuso e dei molti insediamenti per vacanze (hotel, villaggi, centri-vendita, parchi giochi ecc.) sono anch’esse di carattere naturale.
Anzitutto due famose cascate una delle quali, la Cascata Chŏngbang, alta ventitré metri e larga otto, è l’unica in Asia a gettarsi direttamente in mare.
Il sentiero che costeggia le varie formazioni rocciose si snoda immerso nel verde. Poco oltre il porto di Sŏgwip’o è visibile l’altra cascata, quella di Ch’ŏnjiyŏn, anch’essa catalogata come monumento nazionale.
Proseguendo verso est una visita la merita il Cheju Folk Village, ricreato per dimostrare come vivevano le comunità rurali dell’isola nel XIX° secolo.
Il lato interessante del villaggio è dato dal fatto che chi ci vive svolge, ad uso dei turisti, una vita reale di lavoro e di artigianato. L’altro villaggio, quello di Sŏng-ŭp, ai piedi del monte Hallasan, oltre a varie attività artigianali, accoglie anche una scuola Confuciana.
Picco Sŏngsan Ilch’ulbong, picco dell’aurora
Il Picco Sŏngsan Ilch’ulbong che significa “picco dell’aurora” per lo spettacolo che offre al sorgere del sole, si trova a quarantotto chilometri da Cheju, sulla costa sud-est, nella penisola di Sŏngsan.
E’ un cono vulcanico alto 182 metri che accoglie nella sommità un ampio cratere a forma di corona, con novantanove picchi rocciosi che lo circondano tutto. E’ famoso in tutta la Corea per il panorama davvero splendido che offre.
Interessante è anche la Foresta Pijarim, regno del verde e ricca di oltre duemilacinquecento alberi di noce moscata, alcuni dei quali superano i seicento anni d’età; il bosco accoglie poi molte specie di orchidee.
Molto belle e interessanti sono le due grotte (Manjanggul e Kimnyŏngsagul); la prima si sviluppa nelle viscere della montagna per circa tredici chilometri ed è di grande interesse scientifico, abitata com’è da pipistrelli e altri animali; la seconda, collegata alla prima, è detta “grotta del serpente” per la forma sinuosa che si è scavata nel tempo.
Hallasan, montagna incantata
Il Parco Nazionale del Monte Hallasan, un grande vulcano estinto, è il biglietto da visita dell’isola di Cheju, per la sua imponenza, la sua bellezza, le sue sempre mutevoli rocce basaltiche. Il cratere della sommità, largo circa due chilometri, accoglie oggi il Lago Paengnoktam. L’Hallasan ospita oltre milleottocento specie di piante e fiori che coprono le numerose valli e i discontinui rilievi, alle varie altitudini.
Un altro cratere del complesso dell’Hallasan è quello di San-gumburi, il terzo dei tre vulcani un tempo attivi nell’isola. Ha una circonferenza di due chilometri con una superficie totale di quasi settantadue acri e ospita anch’esso fiori e vegetazione a profusione. Sono oltre quattrocentoventi le differenti specie di piante e fiori tropicali e sub tropicali presenti; un vero e proprio giardino botanico di notevole interesse.
Hallasan, passeggiate a cavallo e a piedi
A circa tre chilometri sud ovest dalla sommità dell’Hallasan ecco Yŏngshil Kiam, detto il “Picco dei Cinquecento Generali”, proprio per la forma eretta e imponente delle molte cime, simili a un battaglione in armi. Anche questa è una zona ricca di acque e di fiori rari.
La visita al Monte Hallasan, che nessun coreano e turista si vuole perdere una volta sbarcato a Cheju, ha inizio solitamente dall’area attrezzata di Sŏngp’anak. Da qui, a 1215 metri di quota, prendono avvio le passeggiate a cavallo e a piedi lungo i molti sentieri del monte, perennemente immersi nel verde rigoglioso della verdissima Cheju.
Gli isolani raccontano come i loro antenati vivessero bene perché gli sciamani svolgevano un ruolo di intermediazione con gli spiriti della montagna, che, opportunamente onorati, proteggevano ogni fase della vita. Anche se gli “spiriti” moderni sono incarnati dai turisti e dagli innumerevoli sposi in luna di miele, quelli di Cheju sono più che mai convinti che la loro bellissima isola continui a godere della necessaria protezione divina.
Info: www.corea.it/cheju-do.htm