Lunedì 25 Novembre 2024 - Anno XXII

Estremadura, figlia della Storia

Estremadura

Una terra contadina povera, abitata da gente laboriosa abituata al sacrificio e alla parsimonia, ricca di pascoli, praterie, alberi frondosi. Un’avventura di secoli, fra Romani, Arabi e sfociata, dopo Colombo, nel Nuovo Mondo

Estremadura Venditore d'aglio ad Aceuchal
Il venditore d’aglio ad Aceuchal

Se si parla di attrazioni turistiche, Aceuchal, anonimo paesone dell’Estremadura meridionale, ne è pressoché totalmente privo. Oltretutto, fino a qualche lustro addietro, poteva vantare un piccolo ma curioso museo taurino che però è stato trasferito a Madrid dal proprietario, con il risultato che attualmente a richiamare il rarissimo visitatore restano soltanto un modesto monumento e una placca commemorativa.
Il monumento raffigura un “ajero”, un venditore d’aglio che, si legge scolpito nel bronzo “con grande sforzo seppe portare il nome del…nuestro pueblo por toda la geografia española”. Quanto alla placca, sistemata sopra un sommario piedestallo di pietra, risulta donata dalla vicina Almendralejo per ricordare “Doña Gabina Matamoros Rodriguez, 1884-1978 che, recandosi a piedi da Aceuchal a Almendralejo per più di quarant’anni, divenne il simbolo della fraternità tra i cittadini dei due “pueblos”. Precisazione importante: la signora Gabina percorreva quotidianamente poco meno di venti chilometri per vendere un paniere di uova.
L’Estremadura, regione sud occidentale e Comunidad Autonoma della Spagna post franchista, vanta monumenti e vestigia storiche di grande bellezza e importanza. I due umilissimi bronzi di Aceuchal, pertanto, possiedono solo l’esiguo merito di simboleggiare una terra e i suoi abitanti.

Merida, la piccola Roma
Estremadura Merida, il Teatro romano
Merida, il Teatro romano

La presenza dell’uomo in questa zona risale al quarto millennio avanti Cristo. Tra le tante “rutas” proposte da una ricca informazione turistica, non manca pertanto quella “de los Dolmenes” nella provincia di Caceres: quarantotto monumenti funerari megalitici, momento iniziale di una storia che prosegue con i Celtiberi e i Romani.
La presenza di Roma in Estremadura è oltremodo importante e le sue vestigia, perfettamente conservate, costituiscono uno dei principali richiami turistici.
Le legioni erano giunte alla “Finis Terrae”, nella settentrionale Galizia, avevano conquistato la Lusitania e lungo il cammino orientato a sud, verso le Colonne d’Ercole, avevano scoperto ricche miniere d’argento.
Ecco allora nascere “Augusta Emerita” (Merida) città sul Guadiana voluta da Cesare Ottaviano Augusto per il riposo e gli ozi dei veterani della V e della X Legione.
Divenuta crocevia di traffici, centro strategico sulla ”Ruta de la Plata”, la via dell’argento, nonché capitale della provincia Hispania, Merida investì le ricchezze in edifici e opere pubbliche che le valsero l’appellativo di “piccola Roma”.

Estremadura Il ponte romano a Merida
Il ponte romano a Merida

La sola visita dell’ex Augusta Emerita vale il viaggio in Estremadura, a riconferma che gli antichi Romani non avevano conquistato il mondo per caso o per fortuna. Fra tante opere idrauliche, costruirono un ponte che fino a pochi anni fa sfidò i secoli ospitando un intenso traffico su sessanta arcate, per una lunghezza di quasi ottocento metri e resta tuttora operante per il traffico pedonale. Poco distanti, altrettanto ammirevoli, le dighe di Proserpina e Cornalvo, nonché un acquedotto i cui resti si affacciano sul Circo.
Tutto depone a favore di un’ottima qualità della vita goduta dagli “Emeritensi”. Chi non amava le corse delle bighe riceveva “panem et circenses” in uno dei quattordicimila posti dell’Anfiteatro ellittico, o assisteva a una commedia nel vicino teatro, splendido esempio di architettura imperiale, donato da Agrippa a Merida nel 15 a. C. e tuttora sede di suggestive rappresentazioni, culminanti in un eccellente festival estivo.

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L’impronta araba
Alcántara Convento de San Benito
Alcántara Convento de San Benito

Il tempo incalza, ma prima di cedere la ribalta della storia a Svevi, Alani e Visigoti, i Romani lasciarono in Estremadura un’ulteriore testimonianza del loro ingegno: l’imponente ponte sul Tago ad Alcantara. Questo nome, con il prefisso arabo ”al”, comunissimo nei toponimi spagnoli, ricorda che nell’anno 711 viene l’ora dell’Islam.
Badajoz, capoluogo con Caceres delle due province estremegne (Merida è la capitale della Comunidad) raggiunge impensabili livelli di splendore culturale sotto Addallah Ibn Aftàa, fondatore di uno dei tanti piccoli regni, i Taifa, sorti dallo smembramento del Califfato di Cordoba.
Le vestigia storiche nella bella Alcazaba recentemente restaurata, fortezza dominante il Guadiana, a difesa delle incursioni provenienti dal vicino Portogallo, ricordano gli irripetibili momenti di grande civiltà e convivenza tra arabi, ebrei e cristiani.
Il prevalente carattere militare dell’architettura araba nell’Estremadura vede il sorgere di castelli e cinte di mura che daranno molto filo da torcere alla “Reconquista” del territorio, iniziata da Fernando II de Leòn, proseguita da Alfonso VIII di Castiglia e conclusa da Fernando III El Santo.
La regione, teatro di lotte non solo tra “Moros y Cristianos” ma anche tra la nobiltà al seguito dei monarchi liberatori, si impoverì progressivamente sotto l’esteso dominio dei severi Ordini Militari.

Dagli Hidalgos alle Americhe
Itinerario de
Itinerario de “La Ruta de los Conquistadores”

Ancora qualche decennio e sarebbero apparsi gli “hidalgos”, termine di origine araba o derivato da “hijos de algo”, letteralmente “figli di qualcosa”. Picareschi personaggi a metà strada tra nobili doc e plebei, uomini d’onore eternamente spiantati ma con le mani senza calli, grazie a un’atavica avversione al lavoro.
Alla scoperta dell’America hidalgos e proletari, se possibile ancor più indigenti ma meno toccati da donchisciottesche allucinazioni, partirono dall’Estremadura per tentare la “suerte” oltre Atlantico.
Tanta partecipazione nella corsa all’El Dorado ha permesso la creazione di una suggestiva “Ruta de los Conquistadores”, recentemente derubricati in “Descubridores”, forse per un filino di rimorso hispanico nei confronti de “los Indigenas”, oggi popoli “de habla” spagnola.
Un itinerario di poche centinaia di chilometri insegna che l’esplorazione e la conquista del Nuovo Mondo, a sud delle Montagne Rocciose e delle grandi pianure degli Stati Uniti, è da ascrivere a grande merito di tanti “extremeños” che battezzarono trecento località americane con i nomi di città e “pueblos” della loro terra.

Città chiamate come quelle di casa
Piazza Vasco Núñez de Balboa a Jerez de los Caballeros. Foto: M. Gamero
Piazza Vasco Núñez de Balboa a Jerez de los Caballeros. Foto: M. Gamero

Dalla “Muy Noble y Muy Leal Trujillo” si sviluppò agli inizi del Cinquecento un movimento migratorio di tutta eccellenza: i fratelli Pizarro puntarono verso l’oro del Perù, Gracìa de Paredes fondò Ciudad Trujillo a Santo Domingo, Francisco de Orellana scoprì il Rio delle Amazzoni (un’incredibile passeggiata dall’oceano Pacifico all’Atlantico), Nuño de Chaves creò Santa Cruz in Bolivia.
Grazie a una sorta di arresto del tempo, nell’Estremadura (terra a lungo ai margini delle grandi vicende europee) non è impossibile ricorrere a un flashback che ci riporti allo splendore di chiese, palazzi, case nobiliari, prima che su tanta storia si posasse una patina d’oblio.
Hernàn Cortès cominciò l’epopea messicana da Medellìn, poco distante da La Serena, villaggio natale del fondatore di Santiago del Cile, Pedro de Valdivia.
Jeres de los Caballeros, la località più meridionale della “Ruta”, al confine con Andalusia e Portogallo, vanta con Vasco Nuñez de Balboa la scoperta del Pacifico e l’esplorazione del sud ovest degli Stati Uniti da parte di Hernando de Soto (in Florida una leggenda lo lega al nome di Sarasota).
Mentre i suoi sudditi rendevano la Spagna ricca e potente portando la “civiltà europea” a Indios o più colombianamente Indianos, Carlo V trasmise la corona a Filippo II e andò a finire i suoi giorni nel “buen retiro” di Yuste, amena non meno che tranquilla località montana nel nord dell’Estremadura.
Una visita è consigliata; si resterà sorpresi per la quiete più totale, tra alberi di un verde intenso punteggiato dall’arancio e dal giallo degli agrumi.

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Paesaggi intatti, bene attuale

Estremadura

Dopo tante vicende vissute e ricchezze importate, peraltro appartenute ai soliti pochi, l’Estremadura ha vissuto lunghi momenti di abbandono che l’hanno retrocessa a cenerentola delle regioni spagnole.
A parte un buon sviluppo dell’agricoltura industrializzata, oggidì, con il turismo imperante e l’ecologia divenuta una parola d’ordine, questa terra deve paradossalmente ringraziare l’emarginazione sofferta, perché può offrirsi al visitatore in totale genuinità, con paesaggi ormai rari in tante altre parti d’Europa.
Si vive tra gente semplice, in località che tuttora ignorano i danni, i rumori, gli stress dell’era consumistica. L’isolamento ha inoltre permesso la salvaguardia di bellissimi monumenti, castelli, centri storici, cui apportare ritocchi poco rilevanti per il ritorno al fascino di un tempo.

Caceres, gemma dell’Unesco
Caceres
Caceres

Caceres, dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità, offre nel vecchio “Casco Historic”, contornato da mura medioevali, decine di scorci e sensazioni indimenticabili.
La vicina Plasencia imita Salamanca, esibendo due cattedrali contigue con due stili, il protogotico e il rinascimentale, separati da un solo muro; a pochi passi, nella chiesa di San Vicente Ferrer e convento dei dominicani, il gotico quattrocentesco sovrasta la facciata neoclassica del Seicento.
Al confine con il Portogallo, Alcantara, la romana “Norba Cesarea”, poi visigota “Oliva” e araba “Kanara Assaif”, divenne sede e fortezza dell’Ordine Militare che prese il suo nome. Durate una visita, d’obbligo, oltre al ponte romano (105 d.C., voluto dallo “spagnolo” Traiano) si ammirano Santa Maria de Almocòvar – uno dei pochi esempi del romanico in Estremadura – e lo splendido convento di San Benito, sul cui retro si apre un’ariosa galleria, raffinato esempio di architettura rinascimentale.
Nella regione la scarsità di edifici romanici è ampiamente compensata dalla presenza di altri stili. Il monastero di Guadalupe presenta un severo gotico dall’aspetto più militare che religioso, mentre Olivenza (che fino al 1801 appartenne all’adiacente Portogallo) con la chiesa della Magdalena propone l’unico esempio di delicato “gotico Manuelino” in terra non lusitana.
Nella meridionale provincia di Badajoz, a sud del Guadiana, oltre all’incantevole barocco di Jerez de los Caballeros, prevale lo stile arabizzante della vicina Andalusìa; quasi un anticipo della “Ruta de los Pueblos Blancos”: basta visitare Fregenal, Llerena e soprattutto Zafra, la “piccola Siviglia”.

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Cucina “quasi” andalusa
"Caldereta de Cordero"
“Caldereta de Cordero”

Anche nella tradizione gastronomica l’Estremadura presenta alcune affinità con la cucina andalusa, con piatti semplici, carni prevalentemente ovine e caprine, sapori forti e decisi ricavati da una terra dalla morfologia poco differente.
A tavola è inoltre ben visibile il segno lasciato dall’Islam, un esempio il “Siñabi”, agnello in casseruola di coccio, cotto a fuoco lento con olio, sale, peperoni ed erbe varie, antenato dell’attuale “Caldereta de Cordero”.
E non mancano i piatti ebraici, a riprova che le tre religioni monoteistiche un tempo andavano d’accordo anche in cucina: si assaggi la sapida “adafina” o “adefina”, carne di capretto cotta con cipolle, aglio, pepe, paprika e vino bianco.
Quanto alle differenze nei confronti dell’Andalusia a tavola, oltre alle versioni “extremeñas” del noto “gazpacho”, l’Estremadura vanta tipici “postres” locali; eccellente il “Tècula Mècula” di Olivenza: noci, mandorle, nocciole, uova, miele e zucchero bagnati, secondo tradizione Almoràvide, dal profumato alkermes, il tutto per un eccellente dolce “esoterico y encomiado”, assicura uno stampato del locale ufficio turistico.

Prosciutto. Qui è davvero DOC
“jamòn”
“jamòn”

Ma il grandissimo vanto dell’Estremadura bucolica e gastronoma è costituito dal prosciutto, ma che prosciutto! L’inarrivabile “Jamòn de Pata Negra de Bellota”, del quale abbiamo già avuto occasione di parlare, su Mondointasca (v. “Prosciutto di Spagna, un mito”).
Sarà bene comunque ricordare che questa prelibatezza non è ricavata dal comune maiale europeo, ma da quello iberico (più piccolo, scuro, forse portato in Spagna dai Fenici o dai Celti) e che va elevato un plauso alla tolleranza musulmana: se durante la dominazione islamica l’impuro animale fosse stato proibito anche ai cristiani, i bar e i “bodegones” spagnoli sarebbero oggi orbati della più sfiziosa delle “tapas” (assaggi), che con una fresca birra anticipano il rito prandiale.
L’Estremadura, con i suoi infiniti paesaggi trapuntati di alberi da ghianda, costituisce la patria del più famoso (e ahinoi costoso) “jamòn” del mondo.

Estremadura da “assaporare”
Estremadura I colori dell'autunno
I colori dell’autunno

Dimostrato che i più importanti ingredienti del turismo (bellezze artistiche e naturali, aria pura e gastronomia) sono di casa in Estremadura, al viaggiatore indeciso soltanto sulla data di partenza, per meglio godere i favori del clima, si segnali l’eccellenza delle due stagioni intermedie, con i colori pastello dell’autunno e il verde della rinascita primaverile.
Non è soave, spostandosi senza problemi di traffico in uno degli ultimi polmoni verdi d’Europa, ammirare una galleria rinascimentale dopo aver degustato un dolce “almoravìde”, concedersi una sosta nel cortile di un “hotelito con encanto” circondato da nidi di cicogne, passeggiare sotto le colonne di un teatro romano dopo aver contemplato ulivi, sugheri e querce disseminati su un mare di verdi colline?

Info: www.turismoextremadura.com

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