È un vero e proprio rito quello del presepio, come l’allestimento dell’albero di Natale sotto il quale riporre i doni la notte della vigilia; ma anche il panettone, dolce impasto con uova, uvetta e frutti canditi, da gustare nei giorni delle feste.
Fra i tanti riti natalizi, il più tradizionale rimane ad ogni modo il presepio.
D’altronde, in che altro modo si potrebbe definire quel momento “speciale” nel quale la famiglia si trova riunita nella scelta delle statuine prima e nella trasformazione di un fondale di cartapesta nelle più ardite geometrie abbellite dal muschio essiccato, poi?
Il presepio vanta un passato di tradizione millenaria. Già a Roma, nel IV secolo, nel giorno di Natale venivano esposte immagini religiose, che dal decimo secolo assumono un carattere via via più popolare, estendendosi in tutta Europa.
San Francesco, “inventore” del presepio
Il vero presepio come lo conosciamo noi oggi, con la rappresentazione della Natività di Gesù, affonda le sue origini nell’anno 1223. E si deve alla profonda visione cristiana e alla creatività del poverello di Assisi. Francesco, anziché a Betlemme, fa rivivere la sacre scritture nella cornice di un paese della valle reatina: Greggio.
Da quel momento in poi la rappresentazione del sacro evento sarà destinata ad estendersi a macchia d’olio, con l’uso di materiali diversi a seconda della provenienza geografica e delle tradizioni popolari di ogni singola zona.
Così nascono presepi in terracotta e in legno, frutto delle fredde valli montane o in corallo, madreperla, alabastro e conchiglie ad opera dei pescatori, figli del mare.
La tradizione napoletana del presepio
Tra gli estimatori di quest’arte, c’è il re Carlo III di Borbone, che nel settecento fa di Napoli la capitale del presepe. Qui si producono, ieri come oggi, raffigurazioni affollate di personaggi della nobiltà, della borghesia e del popolo, ritratti nelle loro occupazioni quotidiane o nei momenti di svago: poco importa se intenti a banchettare o impegnati in balli e serenate. A Napoli segue Roma, quella barocca, e il presepe diviene uno status symbol per le famiglie più importanti che lo allestiscono all’interno del cortile padronale, mostrandolo agli invitati durante convivi e banchetti.
E oggi? La tradizione a Napoli si rinnova sempre più festosa. Vecchi personaggi e new-entry: presidenti del consiglio ed esorcisti in una kermesse di statuine colorate come le luci che le vestono.
Il fatto che Napoli sia la capitale del presepio non implica però che la sua cultura sia circoscritta al sud Italia. Tutt’altro. Il Piemonte vanta degli splendidi esempi e il biellese custodisce i migliori.
Presepio di montagna: statue e statuette del Piemonte
Il presepio di montagna di Crevacuore è quello dalle statue giganti che si osserva percorrendo la strada statale che collega il paese di Pray con quello di Crevacuore. Oppure il presepio di montagna vivente di Bulliana nato quasi per scommessa per iniziativa di una suora, nel dicembre di trent’anni fa.
Il più scenografico di tutti resta comunque quello che dal 1980 riempie i vicoli di Marchetto, frazione di Mosso Santa Maria, che è divenuto un virtuale luogo d’incontro per i 150 abitanti della borgata, impegnati nella realizzazione.
In occasione del Natale nel rappresentare il presepio di montagna di Marchetto ogni scorcio diventa la “location” ideale per dare forma ad una scena; una via può diventare luogo deputato per raffigurare la vita del fornaio, una piazza la sede della bottega del fabbro.
Il momento più suggestivo per visitarlo resta ad ogni modo la sera, quando emerge lo scrigno che custodisce il presepio: da una parte le luci delle città che cingono il borgo, fornendo lo sfondo e dall’altra le alture dell’Oasi Zegna che chiudono lo scenario verso nord. I protagonisti? 130 statue a grandezza naturale dall’intensa espressività, che accolgono il visitatore conducendolo attraverso venti scene legate alla vita e al lavoro della gente biellese.
Il presepio di montagna nel borgo di Marchetto
Un presepe oltre il presepe è quello di Marchetto. Quasi un museo etnografico “en plein air” che si rinnova ogni anno, fatto di oggetti, mestieri, strumenti ed angoli caratteristici.
Ad esempio le scene che si rifanno alla vita di un tempo: dai boscaioli che trasportano la legna con le campate a filo o che tagliano i tronchi per farne assi con il trespolo dei segantini. Oppure ad una famiglia colta in quel momento così intimo che precede il sonno; al “mulitta”, che altri non che l’arrotino, intento a limare un coltello. E poi ancora un mulino gigante con tanto di ruota idraulica di oltre due metri di diametro, monelli che giocano alla fionda, vecchiette con il cesto della spesa e curiosi in cammino verso la capanna.
La cerimonia dell’accensione delle luci sigla l’inizio, seguito da un grande falò, acceso per “scaudè ‘l Bambin” (scaldare il Bambino), come tradizione insegna. Il tutto in una processione nella quale statue e uomini si confondono, mescolandosi con la sacralità di un rito annualmente ripercorso la notte della vigilia. Che ha il sapore del panettone, i colori di un abete addobbato e l’immobile quiete delle statue giganti che con ieratica stasi accolgono, a cadenza annuale, quell’antico segreto di un bambino scaldato da un bue e da un asinello in una mangiatoia di Betlemme. In un mistero d’amore vecchio come il mondo.