Giovedì 21 Novembre 2024 - Anno XXII

Future Harvest per i “raccolti” del futuro

Future Harvest agricoltura-sostenibile

Il progetto del Consultative Group on International Agricultural Research studia un “approccio sostenibile” per lo sviluppo dei Paesi meno avanzati. Future Harvest è un’organizzazione internazionale con una rete di sedici centri specializzati, sparsi in diversi Paesi del mondo.

Future Harvest Piantagioni di mais nei progetti del Cimmyt in Messico.
Piantagioni di mais nei progetti del Cimmyt in Messico.

Tutti conoscono, oppure ne hanno sentito parlare almeno una volta, la Fao (Food and Agriculture Organization), organizzazione mondiale per l’alimentazione e l’agricoltura, operativa come Agenzia del sistema Onu, per la valorizzazione delle risorse agricole e alimentari. Ma sono pronto a scommettere che, per molti, il nome Future Harvest, (in inglese sta per “raccolto del futuro”), suona assolutamente nuovo. Eppure Future Harvest è un’organizzazione internazionale di alto livello, con un budget di oltre 300 milioni di dollari all’anno e una rete di sedici centri specializzati, sparsi in diversi Paesi del mondo. Il suo obiettivo è promuovere un’agricoltura sostenibile nei Paesi meno avanzati, considerando il nesso fondamentale fra “sviluppo” agricolo, tecnico-industriale, agrotecnico , zootecnico e turismo, nel senso di fruizione equilibrata delle risorse endogene di una determinata località.

Turismo, sviluppo naturale

Future Harvest Coltivazioni di riso in Asia, a cura dell’Irri.
Coltivazioni di riso in Asia, a cura dell’Irri.

Il turismo si innesta infatti sulle realtà di sviluppo locale che hanno permesso a un Paese di emergere dalla povertà e dall’esclusione, per farne, alla fine, un luogo di auto-sviluppo e di auto-sufficienza economica e civile. Le tattiche per arrivare a ciò passano quasi sempre attraverso un background fatto di interventi mirati,da parte di Agenzie specializzate, che rilanciano lo sviluppo locale, in chiave propedeutica, anche per la nascita del turismo. Analizzare come tutto questo avviene, significa capire i processi che portano una nazione a differenziarsi da un‘altra, permettendo a se stessa di sviluppare l’industria del turismo sopra le infrastrutture e il “capacity building” (valorizzazione delle capacità) che costituiscono gli obiettivi perseguiti da strutture quali Future Harvest.

Come funziona Future Harvest

Future Harvest Il Cip a Lima raccoglie dati su migliaia di specie di tuberi andini
Il Cip a Lima raccoglie dati su migliaia di specie di tuberi andini

Innanzitutto un po’ di storia. Future Harvest è una sigla conseguente al “restyling” d’immagine al quale si è sottoposto il Gruppo Cgiar, Gruppo Consultivo sulla Ricerca Internazionale in Agricoltura, un consorzio di 75 membri pubblici e privati, fra i quali 58 governi, la stessa Fao, la World Bank (Banca Mondiale), lo United Nations Development Programme (Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite) e gruppi privati che supportano finanziariamente i sedici centri. Il gruppo Cgiar deve essere inteso come una piattaforma informale, senza regole o adesioni codificate, ma semplicemente come un “forum” di sponsor, un “pool” di donatori. E’ coordinato dalla Banca Mondiale e nella fattispecie presieduto da uno dei vicepresidenti anziani della stessa. La Banca si preoccupa di fornire al Cgiar un centro di segretariato e di coordinamento con sede a Washington, mentre il gruppo di assistenza tecnica è ospitato dalla Fao, a Roma. La missione del Cgiar è “contribuire, attraverso la ricerca, a promuovere un’agricoltura sostenibile e la sicurezza alimentare nei Paesi in via di sviluppo”, attraverso studi di politica agricola (settore strategico) e di ricerca agricola applicata (settore produttivo). Gli studi prodotti dal gruppo sono divulgati al pubblico esterno e costituiscono quindi un bene collettivo al quale ognuno può accedere.

Sigle che non generino dubbi

Future Harvest Uno studioso dell’Ita in Nigeria esamina una pianta malata di banane
Uno studioso dell’Ita in Nigeria esamina una pianta malata di banane

Praticamente il grande pubblico non è a conoscenza dell’esistenza del gruppo, che ora ha cambiato nome, divenendo appunto Future Harvest, perché Cgiar (pronuncia “Sigiar”) aveva un suono troppo simile a “cigar”, cioè “sigaro” in inglese e questo non dava una buona impressione, soprattutto in considerazione delle numerose campagne antifumo presenti sulla piazza nordamericana. Un restyling, quindi, come è successo per l’Hcr (High Commissioner for Refugees, Alto Commissariato per i Rifugiati) dell’Onu, anziché Unhcr (di più difficile pronuncia), sulla scia della semplificazione e soprattutto della gradevolezza dei suoni. Future Harvest, però, non ha completamente sostituito il Cgiar, che continua ad esistere. Diciamo piuttosto che ne vuole essere l’immagine esterna, ma in realtà i suoi fondi provengono ancora dal vecchio gruppo, mai sciolto. E’ stato molto perspicace dotare Future Harvest di uno status di Fondazione no-profit, con esenzione fiscale e via dicendo, per farne uno strumento di raccolta di risorse monetarie, oltre che operativo.

Un esercito di persone al lavoro

Future Harvest Il Ciat contro la deforestazione nel bacino amazzonico
Il Ciat contro la deforestazione nel bacino amazzonico

Qui si trova la forza del gruppo, che in oltre 25 anni di attività ha formato nei suoi 16 centri circa 50 mila scienziati agricoli (oltre duemila l’anno) che ora rappresentano l’élite della ricerca e delle politiche agricole in molti Paesi in via di sviluppo. La filosofia di base è l’azione su cinque aree tematiche: sviluppo agricolo, crescita sostenibile, ambiente e conservazione del territorio, salute, popolazione, promozione della pace e della sicurezza sociale. Di seguito, suddivisi per continenti, i centri Future Harvest attualmente operativi.

Future Harvest nei cinque continenti

I centri legati a Future Harvest in tutto il mondo
I centri legati a Future Harvest in tutto il mondo

Due sono le società con sede in Europa: l’Ipgri (Istituto Internazionale delle Risorse Genetiche Vegetali) a Roma, e l’Isnar (Servizio Internazionale per la Ricerca Agricola) a l’Aja, Olanda. Quattro le società attive in Africa: la Ita (Istituto Internazionale di Agricoltura Tropicale) ad Ibadan, Nigeria, l’Ilri (Istituto Internazionale di Ricerca sul Bestiame) a Nairobi, Kenya, il Warda (Associazione dell’Africa Occidentale per lo sviluppo del Riso) a Bouaké, Costa d’Avorio e l’Icraf (Centro Mondiale di Scienze Agro Forestali) a Nairobi, Kenya. L’Asia è presente con ben cinque centri operativi. Il Cifor (Centro Internazionale di Ricerche Forestali) a Bogor, Indonesia; l’Icarda (Centro Internazionale per la Ricerca Agricola nelle Zone Aride) ad Aleppo, Siria; l’Icrisat (Istituto di Ricerca Internazionale per le zone Tropicali semi aride) a Patancheru, India; l’Irri (Istituto Internazionale di Ricerca sul Riso) a Los Banos, Filippine; l’Iwmi (Istituto Internazionale per la Gestione delle Acque) a Colombo, Sri Lanka e infine l’Iclarm (Centro Mondiale della Pesca) a Penang, Malesia. Nelle due Americhe, queste le società collegate a Future Harvest: l’Ifpri (Istituto Internazionale di Politica Agricola) a Washington, Stati Uniti; il Ciat (Centro Internazionale di Agricoltura Tropicale) a Calì, Colombia; il Cimmyt (Centro Internazionale per il miglioramento del Mais e del Grano) a Città del Messico e quindi il Cip (Centro Internazionale della Patata) a Lima, Perù.

L’importanza dei “donatori”

Future Harvest Un contadino sud asiatico spula il grano
Un contadino sud asiatico spula il grano

Il vero punto di forza del gruppo rimangono però i “donatori”, che costituiscono una sorgente continuativa di risorse economiche in grado di sostenere Future Harvest come asse portante della ricerca agricola e per lo sviluppo di sinergie eco compatibili, delle quali beneficiano ormai oltre 190 Paesi nel mondo.
Per la valorizzazione delle risorse turistiche, quale migliore alleato di un sodalizio che mira al raggiungimento di una reale emancipazione dalla povertà di una gran massa di individui e insieme si adopera per la promozione della salvaguardia della terra. E’ ragionevole concludere che la creazione di infrastrutture di sviluppo sostenibile sono non solo il pre requisito per la crescita dell’industria turistica, ma anche la naturale forma di sostegno alle attività umane che intorno ad essa dovranno gravitare.

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