Davvero una (bella e grossa) presa per i fondelli, questa Happy Hour che a Milano miete vittime senza che nessuno si incazzi. Almeno nel centro città, non c’è ormai bar (chi ne conosce uno, p.f., info) in cui all’ora dell’aperitivo tu possa berti un buon non meno che normalissimo calice di vino (e vabbè, con una patatina e un paio di olive, e finisce lì) dopodiché paghi il giusto e te ne vai in grazia di dio a cenare, a casa, al ristorante o dove cacchio ti pare. Nossignore.
Oggidì, giusta questa attuale vague modaiola, entri in un bar, mentre chiedi un bicchiere di vino ammiri schifezzine varie (che quelli del bar hanno trovato nel frigo, sottaceti in svendita alla Metro, scarti di paninozzi del prestinèe di fronte, quando non avanzi dei pranzi del ristorante di fianco …) vedi ‘sti mangiarini slungati sul bancone, dopodiché ti sorseggi il tuo vino e quand’è il momento di pagare ti ritrovi (legalmente) derubato di un importo (quasi) folle (e comunque “immorale”). Sì, perché ormai, nei bar milanesi (almeno in centro) ti cuccano 5 euro, per la deglutizione di un (normale) calice di vino. Un importo, 5 euro, che in termini relativi non sarà importante, ma il prossimo si frega anche sottraendogli pochi danèe, mica devi sempre compiere la ‘rapina del secolo’.
Furto legalizzato
La colpa è di ‘sto cacchio di “Happy Hour”, ‘sta demenziale invenzione (tra l’altro non yankee e tanto meno british, di esotico c’è solo la scimmiottatura del nome …) per cui (per stare nelle spese) sei obbligato a divorare tutto quel che ti sbattano davanti, sennò eccoti dare del ladro al barista (che, per inciso, se ne fotte se tu hai piluccato o no, facendoti magari uno sconticino se hai solo bevuto).
Ma se la (kogliionesca) vicenda “Happy Hour” funziona (ebbene si, lo ammetto) sarà perché alla gente piace. E non lo nego neppure io, ancorché si parli di derelitti che (andando poi, ad esempio, al cinema) considerino “cena” e quindi abbrutiscano l’alimentazione del loro fine giornata a quegli avanzumi sbattuti lì sul tavolo (invece di andarsene a casa a Cenare – c maiuscola – in grazia di dio, con le gambe sotto il tavolo e un bel piatto di fumanti e formaggiati Turtlèn a portata di cucchiaio… questa è vita).
Fankùlo l’Happy Hour che fa chic
E, datosi che sto manifestando i miei malumori su un web magazine (di viaggi e turismo) eccomi a suggerire dove fuggire per evitare quest’obbrobrio dell’Happy Hour …
A Venezia, laddove nei (mai troppo lodati) Bacari (che magnifiche osterie) tu bevi quante Ombre vuoi dopodiché – se ti viene l’uzzolo – te magni uno o più “schizzetti” dopodiché li paghi a parte, un conto (appunto) è il bicèr/ombra e un conto gli schizzetti (uno due tre …). Mica male, così, no?
Idem nella (mì querida) Spagna … un vaso/bicchiere di vino … dopodiché vai con le tapas al sud, pintxos al nord … il tuo vinito eppoi, a parte, una due tre tapas/pintxos.
Invece qui a Milano l’Happy Hour fa così chic, eppoi quelle magiche parole straniere, dette magari da chi non sa nemmeno cosa vuol dire Good Morning … epperò fa tanto fino, guarda com’è andato di moda Halloween … che se solo si fosse chiamato Festa delle Streghe manco a Quarto Oggiaro l’avrebbero festeggiato.
Merry (con la E, non con la A) Xmas and Happy New Year, cari lettori (ma Happy, Hour, giammai, imperocché trattasi solo – dicunt a Venezia – de una gran ciavada …).