Oltre a essere “ciò che mangia” (parola di Feuerbach) ça va sans dire, un uomo, anche il più sfigato, non può vivere senza ideali. E se poi quegli ideali sono abbietti il problema è del loro detentore. Ad esempio, sono da sempre affascinato (e coltivo il sogno di organizzarne una, tutta mia) dalla “Matanza”, laddove l’assenza di una T, e la precisazione che trattasi di una parola della lingua di Cervantes, spiegano che non mi riferisco alla pesca del tonno bensì all’uccisione o, se si preferisce, al Sacrificio (così lo chiamano i miei amici spagnoli, lasciatemi dire, molto elegantemente) del maiale.
Un ideale, o se si preferisce una decisa aficiòn, quello di partecipare attivamente (quindi non solo passivamente) a una Matanza, che se non può essere suffragato da profonde motivazioni spirituali quantomeno è spiegato da una accettabile conoscenza dell’evento maturata nel corso di alcuni decenni, in Italia e in Spagna.
E a ‘sto punto è forse il caso che narri cos’è e come si svolge una Matanza, essendo nel tempo divenuta una vicenda campagnola abbastanza ignota, stante il velo pelosamente, o se si preferisce, ipocritamente, stesovi da alcuni decenni. Come se, chi non vuol parlarne e tantomeno veder accoppare il maiale, non finisse poi al banco, pardòn, alle Specialità Gastronomiche del Supermercato per ripartirne col carrello colmo di costine e di salamelle. O crede forse l’ipocrita ecologista (o chi non vuol vedere né sapere, e se così è, chapeau! ai vegani) che il Musetto o la Cassoela provengano da suini in pensione deceduti per vecchiaia, o periti in duello rusticano per le grazie di qualche leggiadra scrofa? Suvvia!
Il rito della Matanza del maiale
La Matanza è un “rito” (e adesso oltre agli animalisti s’incazza pure il clero per affronto e abuso della parola) o quantomeno vi assomiglia molto, se pensiamo che è celebrata mediante gesti, appunto rituali, da officianti alla presenza di ‘fedeli’ (alle antiche tradizioni). Gente che per di più, sia per il freddo (la Matanza si svolge tra novembre e febbraio) sia per tradizione e praticità (il cibo è lì, bell’e pronto in bella vista) non si fa certo pregare affinché (detto in Arzàn, reggiano) “faccia giornata” pure lo stomaco.
Matanza in Spagna e Mazàa el Purscèl in Italia, o meglio, questa è la dizione brianzola né variano di molto quella piemontese e quella emiliana (nelle tre regioni il maiale è chiamato abbastanza similarmente, mentre in Spagna gode di molti sostantivi e nell’America ispanica è prevalentemente noto come chancho).
Le mie esperienze matanziere spagnole sono state interamente vissute nella Castilla y Leòn, la Comunidad che, forse non a torto, uso definire il Piemonte della Spagna (è infatti stata la culla dell’unità nazionale e i suoi abitanti oltre che un filino conservatori amano i campi e non il business o l’industria). A Guijuelo, Capitale del Maiale della Castilla (come Jabugo si vanta esserlo dell’Andalusia), la Matanza non è oggetto di grandi entusiasmi né riti (il maiale è inteso più come jamòn/prosciutto). A Valladolid, invece, ho assistito a un rito forse troppo dimesso (maiale venduto appena defunto e sezionato) in un mercato sito sulla piazza di una chiesa.
Al Burgo de Osama si festeggia la giornata della Matanza
Alla grande, invece, le celebrazioni del rito al Burgo de Osma (Soria) altro piccolo comune spagnolo, laddove qualche decennio fa un accorto albergatore pensò bene di chiamare Jornadas de la Matanza il nostrano e già citato Mazàa el Purscèl, arricchendole con folklore e altri divertimenti (per spiegarci, una sorta di Oktoberfest bavarese) tali da creare una Fiesta de Interès Turistico nazionale. Per inciso, e spiegare le difficoltà italiche nel dar vita a questa sorta di manifestazioni, pensai di proporre l’organizzazione di una Fiesta simile a quella del Burgo de Osma alla sindaca della piemontese Murisengo: l’idea piacque, ma fu subito abbandonata per paura delle reazioni “ecologiche” dei compaesani (roba che, di corride –mio secondo oggetto del desiderio- manco parlarne …).
A Riverago inno alla “Matanza dei 3 notai”
Ma eccomi nel Belpaese, per la cronaca a Rivergaro (Piacenza) laddove mi sono goduto quella che (nel ricordo dei concerti di Pavarotti, Domingo e Carrera) chiamerei la “Matanza dei 3 Notai”, datosi che oltre ad Amedeo, notaio invitante, andavano aggiunti il di lui cognato nonché collega, Stefano e suo cugino, Nicola (preso atto delle precedenti, indovinarne la professione) nella cui corte ero stato ingaggiato con mansioni di cronista (nei suoi paraestensi possedimenti ferraresi faccio anche da degustatore del suo aceto).
Davvero divertente, non meno che istruttiva, questa mia Matanza piacentina, lardellata (è il caso di dirlo) di alcune piacevoli quanto nuove esperienze coltivate in un ambiente di totale e assoluto relax. Sfido io: tante ore a mangiare e bere in totale assenza (e dire che gli officianti il rito superavano la trentina) di una donna che fosse una. E si lasci commentare al qui scrivente (per certo macho al di sopra di ogni sospetto) che (a parte il fatto che si era andati lì per mangiare il –dicesi a Reggio Emilia- nimèl e non per far sesso) come si mangia in grazia di dio, tra … soli… e ci siam capiti.
Una Matanza piacentina, dunque, che mi ha fisiologicamente arricchito di succhi gastrici e culturalmente informato su due dettagli, uno conosciuto, l’altro meno.
Non sapevo che i piacentini, oltre ad avere sulle balle quelli di Parma (che belle queste lotte di campanile, vera italica ricchezza, altro che la Borsa di Milano) a differenza dei loro pari grado (Maria Luigia fu signora del ducato di Parma & Piacenza), oltre a non arrotare la R, con gli arti del maiale non fanno il prosciutto. E ho finalmente avuto conferma che se si parla di Ciccioli (in Spagna, chicharrones), nel senso di come si confezionano, preparano, ma soprattutto di ricordarne i vari nomi che assumono nel Belpaese (variano ogni 10 km e –giusta quanto mi insegna il mio ch.mo prof di rumagnòl Paolo Figna- so solo come si dice a Lugo, zizulèn) beh, tra tante maialesche problematiche è meglio che cercare di capire se Renzi è di destra o di sinistra.