Il Mediterraneo per gli arabi è il Mare Bianco, per i latini – e per alcuni fascisti – era il Mare Nostrum, nella Bibbia è semplicemente chiamato «il Mare» e, come in un cerchio che si chiude, per gli arabi antichi era il Mare Romano. In quasi tutte le altre lingue è chiamato «il Mare tra le terre», per antonomasia, perché per millenni non c’era altro mare e non c’erano altre terre se non quelle che vi si affacciavano sopra. Secondo Hegel è l’elemento unificatore e il centro della storia del mondo, per almeno tre quarti di esso. Dalle sue coste si guardano tre continenti e le tre principali religioni monoteiste; da una parte l’Europa cristiana, dall’altra l’Asia e il Nord Africa musulmano, e poi Israele. Ma anche un’Europa musulmana, un Nord Africa copto e un’Asia maronita.
Non esiste un unico viaggio che si possa fare per il Mediterraneo. Come non ha senso parlare di giro del mondo, così non esiste un «giro del Mediterraneo». Lo si può navigare mischiando partenze e approdi, come fanno quelli che del mare vivono, o galleggiare senza mai immergercisi, come quelli che scelgono una crociera. Oppure lo si può attraversare da punto a punto su un’infinità di traghetti, dai moderni aliscafi della Sardegna alle vecchie bagnarole albanesi.
Ancora, ci si può inventare un itinerario sulla terraferma, scegliendo tra le tante strade che corrono nei tanti Paesi che vi si affacciano. Ci sono frontiere da lasciarsi alle spalle, altre impossibili da attraversare: Marocco e Algeria non hanno più alcun valico di confine aperto dal 1984, per andare da un Paese all’altro bisogna tornare in Spagna e di nuovo attraversare il Mare. Il Mediterraneo sa davvero essere ponte oltre i confini.
Ci sono molte strade che si perdono da e verso il Mediterraneo, come affluenti di un grande lago salato, ma nessuna che vi giri attorno costeggiandolo per intero. Ci sono veloci autostrade che lo nascondono dietro i guard-rail e strette litoranee appese sull’acqua, ci sono vie tese come rette che vanno dritte a un porto e morbidi lungomari cittadini, che in Nord Africa si chiamano corniche. Ci sono ponti alti come grattacieli e canali scavati a mano, tunnel sottomarini, labirinti di suq e casbe, consolari romane dall’una all’altra sponda. Ma nessuna «via mediterranea».
La voleva Italo Balbo, quando ancora non esisteva una carrozzabile che collegasse Tripoli a Bengasi, le capitali delle due province d’oltremare, e cominciò a costruirla. La chiamò Via Balbia, con scarsità di fantasia e modestia, ma si fermò a Tobruk, in tutti i sensi. C’è un Mediterraneo geografico e ce n’è uno culturale. Se il primo va dalle colonne d’Ercole al Bosforo (o forse oltre? Il Mar Nero è Mediterraneo?), il secondo ha confini più labili, e mobili. Dove cominciano e dove finiscono la cultura mediterranea? I popoli mediterranei? La cucina? Il clima? Per gli antichi, saggiamente, il Mediterraneo arrivava fin dove si spingevano gli ulivi. L’ulivo è pianta sacra per tutte e tre le religioni abramitiche.
È l’albero della vita per l’Islam; benedetto dal Corano è la fonte da cui deriva la luce di Dio che si spande in cielo e in terra. Il suo olio illumina tanto la fede dei musulmani quanto la Menorah degli ebrei, in cui brucia senza fumo; l’olio d’oliva consacrato nel Tempio compì il miracolo dell’Hanukkah, festeggiato oggi a Gerusalemme con dolci fritti nel succo dei suoi frutti. E l’olio d’oliva accompagna il cristiano in tutti i sacramenti della vita, dal battesimo all’estrema unzione. Cristo è traduzione dell’ebraico masiah, l’unto.
L’episodio viene tramandato come «traslazione» delle ossa del santo, un fantasioso eufemismo. È un po’ come dire che, se mi accusi di averti rubato il portafogli, io ti rispondo che no, non è così, l’ho solo traslato dalla tua alla mia tasca. Oggi nella cripta della splendida chiesa romanica di San Nicola si celebrano messe nei riti cattolico e russo-ortodosso, e nessuno chiama le reliquie «refurtiva ». Da Bari siamo partiti e a Bari siamo tornati. Guidando verso l’Occidente siamo approdati in Tunisia, dall’ultima moschea di Palermo al porto italiano di Tunisi, dall’Europa del Sud giù al Nord Africa, siamo passati per le città romane della Tripolitania e quelle greche della Cirenaica e abbiamo fatto rientro in Europa quand’eravamo ancora a Istanbul, all’ombra di una torre genovese. Il Mediterraneo confonde a volte.
«Il Mediterraneo ha i colori dello sgombro, nel senso che cambiano. Non sempre sai se è verde o viola, e non puoi dire neanche che è blu, perché un istante dopo il riflesso ha preso una tinta rosa o grigia», sono parole di Van Gogh, il pittore. Il Mediterraneo di cui parla penso sia quello della Costa Azzurra e la sua, più che una sviolinata, sembra la resa di un pittore del nord di fronte ai colori del sud. Sud della Francia, perlomeno. Ma il Mediterraneo è sempre e comunque sud? Predrag Matvejevic´ dice che il Mediterraneo è un mare terreno. Intende, credo, che è un luogo legato alla venalità umana, alle guerre, ai commerci, al potere, al denaro, alla carnalità e al sesso. Non è un posto per mistici e asceti. Al Mediterraneo manca la vacuità contemplativa degli oceani, le luci mistiche del nord, l’impalpabilità delle aurore boreali, l’angoscia della notte polare. Modigliani e non Munch, Hikmet e non Rilke, Almodóvar e non Kaurismäki. In questo senso il Mediterraneo è sempre sud.