Mercoledì 8 Maggio 2024 - Anno XXII

Il sogno di raggiungere le terre del Grande Khan

Tre amici si sono lanciati nell’impresa di arrivare nella terra che fu di Gengis Khan, trasportati da una piccola ma affezionata autoambulanza. Da Torino hanno attraversato parte dell’Europa per raggiungere l’infinita steppa kazaka e la selvaggia terra mongola. “Il Grande Khan”, edito dal C.I.R.V.I – Centro interuniversitario di Ricerche sul viaggio in Italia, ha vinto il premio letterario organizzato dalla città di Moncalieri e dallo stesso C.I.R.V.I. Ecco un assaggio

Grande Khan Ce l'abbiamo fatta. Foto di Lele De Bonis.
Ce l’abbiamo fatta. Foto di Lele De Bonis.

26 luglio 2010: la festa al Castello di Klenova

Ci addentriamo in Boemia che è una terra magnifica. Superiamo Klatovy e ci immergiamo nella campagna che con questa luce di nubi grigie forate dai raggi di sole sembra un quadro di un paesaggio antico, settecentesco, con foreste e colline morbide, campi di girasole e di grano, borghi assonnati e fattorie isolate. La festa di Klenova, sperduta nella campagna boema, è un’occasione fuori dal comune. Ci accampiamo, insieme ad altre dozzine di vetture e tende nel grande prato che scende giù dalla mura dal castello in mezzo ai boschi. Quello che ho di fronte è un incredibile e colorato esercito di giovani pazzi, un’armata internazionale di avventurieri improvvisati e un po’ straccioni. Non si fa tirchieria di birra e gin, serviti in quantità leggendarie. Il giorno lentamente muore per far posto al buio della notte ceca, protettrice con il suo mantello di tenebre di questo branco occidentale schiamazzante ed ebbro. Si accendono luci e fuochi e il castello è conquistato dalla truppa un po’ indiavolata; i fantasmi delle streghe boeme danzano con noi. Dentro una sala, decine di tappeti e cuscini accolgono i nostri sederi e le nostre schiene, ed è lì dentro in mezzo ai fumi dolciastri dei narghilè, all’odore di assenzio e al vociare in mille lingue diverse che capisco che il più grande viaggio della mia vita è iniziato. Inglesi e tedeschi, francesi e italiani, americani e australiani, facciamo tutti parte della stessa grande avventura. In quel castello, per una notte, non ci sono più confini. Siamo giovani, la strada è nostra.

Grande Khan Tempio buddista sulla strada per Ulaanbaatar
Tempio buddista sulla strada per Ulaanbaatar

23 agosto: sui monti Khangai.

La coraggiosa vettura punta verso le alture che si alzano proprio di fronte a noi. Non c’è una pista di tornanti e saliscendi per tagliare o scalare senza troppo sforzo la catena montuosa. L’unico percorso fattibile è  quello di seguire questa carrettiera uscita dal Milione che è un insieme di tracce di pneumatici che puntano dritto lassù in alto sul cucuzzolo dei monti Khangai. Abbiamo davanti una lunga salita senza curve. Io sono concentratissimo al volante e al mio fianco Alberto mi fa da copilota istruendomi su come comportarmi in quella difficile arrampicata. Sotto le ruote il terreno cambia schizofrenico. Terra- rocce- buca- rocce- buca- sabbia -ancora sabbia – cunette – buca – terra – pietre -sabbia- buca. La temperatura del motore sale, paurosamente. Tensione. La lancetta della strumentazione supera la rassicurante e quasi perpetua metà e a vista d’occhio si avvicina alla zona di rischio. La macchina patisce, è prossima a friggere. Più saliamo e più incontriamo sabbia che fa arrancare le ruote, fa leggermente sbandare il mezzo e tenta di arenarci. Si deve lavorare di sterzo e di marce basse che però danno vampate di calore sotto i nostri sedili anteriori, dove gli ingegneri Piaggio hanno collocato il motore. A seconda del tratto, della velocità, della pendenza, delle condizioni del suolo e della marcia inserita, la temperatura balza in su come se si alzasse di colpo il fuoco di un fornello. La lancetta non è più sulla tacca “prossimi al patatrac” ma misura l’ultimo livello possibile, quello rosso, che indica “morte del Piaggio Porter”. Il soffritto è quasi pronto, tra poco fondiamo. Quando trovo una striscia di terra dura mi ci butto, anche solo con due ruote, ciò mi da la possibilità di prendere velocità e di innestare una marcia più alta come la quarta, e procedere con giri più tranquilli, per dare respiro e far scendere la febbre al trabiccolo. E’ un continuo sterzare, evitare buche, prender rincorse, scalare di marcia. Chi si ferma è perduto. La lotta con la montagna dura furibonda per una trentina di chilometri e la vinciamo noi quattro, Alberto, Lele, la piccola autoambulanza ed io. Siamo su un passaggio sulla cima e ora, anche se il terreno continua ad essere più adatto ai cammelli che alle gomme di un minivan Piaggio, la salita mozzafiato è finita. Vorrei piantare un vessillo quassù, tra le mie amiche aquile e mentre riscendiamo a valle sogno ad occhi aperti di essere affiancato dallo spettro di Gengis Khan, come se cavalcasse vicino a noi salutando il nostro passaggio con la sua spada levata verso il cielo. Ora so che quando qualcuno mi chiederà: “Ma tu cosa hai fatto in questa vita?” Allora io risponderò: “ Beh, una volta sono andato in Mongolia. Con un Piaggio Porter.”

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Grande Khan

31 luglio 2010:  fiori d’arancio in Lettonia

Un bellissimo tramonto illumina la nostra stanza, rendendola gialla. Nella sala da pranzo al piano terra è in corso uno scalmanato matrimonio con orchestrina che sbircio. I volti paonazzi suggeriscono una gran sete tra gli ospiti, travolti in balli con musiche folk indubbiamente orientali. Da quando sono partito ho l’impressione di addentrarmi, giorno dopo giorno, chilometro dopo chilometro, sempre più verso est, verso una meta incredibilmente lontana, quasi astratta e forse irraggiungibile. Qua a Rezekne, mentre ascolto gli schiamazzi e le canzoncine popolari da festa, mentre osservo queste donne sovrappeso, strette in vestiti di colori improbabili prossimi all’esplosione e con le capigliature all’ultima moda dei primi anni ’90 del secolo scorso, realizzo di essere già lontano da casa, eccitandomi. Oggi ho davvero salutato l’Occidente.
Poi, nella discoteca naïf da cortina di ferro appena caduta, dove alcuni giovani passano il tempo con liquori e biliardo, ci congediamo per la notte. Dobbiamo riposarci, domani ci aspetta un giorno importantissimo. Domani invaderemo la Russia.

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