“C’era una sfida nell’aria, in quest’aria secca e fine dei duemila metri: l’antica sfida tra le civiltà d’America e di Spagna nell’arte di incantare i sensi con seduzioni allucinanti”. Così scriveva Italo Calvino nel suo racconto “Sotto il sole giaguaro”.
E proseguiva: “dall’architettura questa sfida si estendeva alla cucina, dove le due civiltà s’erano fuse, o forse dove quella dei vinti aveva trionfato, forte dei condimenti nati dal suo suolo.”
Del guacamole, la spessa salsa a base del “frutto nazionale messicano diffuso per il mondo sotto il nome storpiato di avocado”. E commentava: “la pingue morbidezza dell’aguacate accompagnata dall’asciuttezza angolosa della tortillas, che può avere a sua volta tanti sapori facendo finta di non averne nessuno.”
Pietanze degli dei
Calvino aveva scelto il Messico per esemplificare il senso del gusto nel suo volume di racconti dedicati all’odorato, al gusto e all’udito. Non a caso. Molti piatti che vengono consumati oggi nel paese latino-americano sono rimasti, in larga misura, invariati dai tempi degli Aztechi e dei Maya. A cominciare dalle tortillas tra le pietanze e le bevande a base di mais e quelle con il cacao.
Scrive Calvino del guajolote con mole poblano: “tacchino con salsa di Puebla, tra i tanti moles uno dei più nobili (era servito alla tavola di Montezuma) più laboriosi (a prepararlo non ci si mette mai meno di tre giorni) e più complicati, perché richiede quattro varietà diverse di chiles, aglio, cipolla, cannella, chiodi di garofano, pepe, semi di cumino, di coriandolo e di sesamo, mandorle, uva passa, arachidi e un po’ di cioccolato”.
Mole di pollo o tacchino, sempre una delizia
Il mole di pollo o tacchino è in verità una squisitezza difficile da apprezzare alla prima occasione. Di noto (al nostro palato) c’è poco. La bianca carne del volatile scompare in una spessa salsa realizzata con il cacao e svariati tipi di peperoncino (ci sono versioni con quattro, cinque o sette qualità diverse) che danno un risultato estatico. Già, peperoncini. Habaneros, jalapenos, serranos, passillas, chipotles, rossi, verdi, gialli, grandi come zucchine o minuscoli come fagioli, l’assortimento di chiles (peperoncini) in Messico è tra i più ampi del mondo e se a tavola sono assenti è come se mancasse il sale.
Chile e mais: sono questi i due pilastri della gastronomia messicana. Del granturco si usa tutto, anche le foglie che servono per avvolgere i tamales, rotoli di mais cotti al vapore, dolci o salati secondo il ripieno e proposti per strada dalle venditrici ambulanti.
A base di mais l’atole ricavato dall’impasto, diluito, con cui si prepara la tortilla: una bevanda cremosa che si beve con l’aggiunta di miele, frutta o cioccolato.
Tortillas e le sue molteplici forme
Tacos, tostadas, quesadillas, enchiladas, gorditas, sopes, sincronizadas, flautas: sono tante le forme che può assumere la tortillas. Come i tacos al pastor, i più poveri tra i tacos (ma non per questo i meno saporiti) che si consumano in piedi ai baracchini nelle vie a qualsiasi ora del giorno e della notte: carne di maiale, sale, limone e chile nella tortilla tiepida arrotolata.
O le tostadas: tortillas fritte e guarnite di purea di fagioli, carne, avocado, pomodoro. Oppure le enchiladas: tortillas arrotolate e farcite di pollo o formaggio, ricoperte da una salsa a base di peperoncino, pomodoro o mole, panna e formaggio fuso. Non solo.
Albondigas de huitlacoche, crepas de huitlacoche, gambas con salsa de huitlacoche sono alcune delle prelibatezze della gastronomia messicana che si preparano con un fungo nero che cresce sulle pannocchie di granturco: cuitlacochin in nahuatl, la lingua diffusa nell’impero degli Aztechi e tuttora parlata dal più importante gruppo etnico in Messico.
Bandiera messicana in tavola
“Peperoncini rossobruni, un po’ rugosi, nuotanti in una salsa di noci la cui asprezza pungente e il fondo amaro si perdevano in un’arrendevolezza cremosa e dolcigna”: ecco i chiles en nogada descritti da Italo Calvino.
In realtà, i peperoni ripieni di carne devono essere verdi visto che la salsa di noci che li ricopre è bianca e la decorazione di semi di melograno rossa: sono i colori della bandiera messicana, uguale a quella italiana se non fosse per quell’aquila in campo bianco appollaiata su un cactus intenta a divorare un serpente che, secondo la mitologia azteca, designa il luogo di fondazione della capitale dell’impero, poi della Nuova Spagna, oggi del Messico.
“Il vero viaggio (…)” – scrive Calvino – “implica un cambiamento totale dell’alimentazione, un inghiottire il paese visitato, nella sua fauna e flora e nella sua cultura, facendolo passare per le labbra e l’esofago.”
Calvino guida gastronomica
È ancora lo scrittore a fare da guida gastronomica: “Gustammo con attenzione l’insalata di tenere foglie di fico d’India bollite (ensalada de nopalitos) condita con aglio, coriandolo, peperoncino, olio e aceto; poi il roseo e cremoso dolce di maguey (varietà d’agave), il tutto accompagnato da una caraffa di tequila con sangrita e seguito da caffè con cannella.” Ecco alcune chicche della gastronomia messicana che non finisce di stupire chi credeva si riducesse alle “piadine”.
“Le labbra di Olivia” – racconta Calvino della moglie – “nel bel mezzo della masticazione indugiavano fin quasi a fermarsi, ma senza interrompere del tutto la continuità del movimento, che rallentava come non volendo lasciar allontanare un’eco interiore, mentre il suo sguardo si fissava in un’attenzione senza oggetto apparente, quasi come in allarme. Era una speciale concentrazione del viso che avevo osservato in lei durante i pasti, da quando avevamo cominciato il nostro viaggio in Messico (…)”.
In Messico, dove si mangia egregiamente anche nei mercati. Anzi: soprattutto.
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