Venerdì 29 Marzo 2024 - Anno XXII

Jamón de Pata Negra di Spagna, un mito

Definirlo solo jamón è altamente riduttivo, come ci viene spiegato da un vero intenditore. Allevamento, preparazione, termini tecnici, profumi e sapori di una specialità gastronomica ricercata e famosa

jamon ibeirco bellota

In Spagna esistono due razze di maiale (in spagnolo: cerdo, cochino, puerco, marrano, gorrino, chancho) entrambe derivanti dal Sus Mediterraneus, a sua volta discendente dal primo maiale domestico, il Sus Scrofa Ferus (l’Adamo, capostipite dei prosciutti universali) il cui allevamento ebbe inizio in Cina 5000 anni prima di Cristo. Una razza è costituita dal comune maiale – identico a quello delle cascine e degli allevamenti italiani – dalla pelle prevalentemente rosa, o chiazzata di nero, il cui prosciutto (jamòn), dagli spagnoli è comunemente chiamato pata blanca (zampa bianca). All’altra specie, allevata soprattutto nel sudovest e nella Spagna occidentale – Andalusìa, Estremadura, provincia di Salamanca – appartiene il cerdo iberico dalla cui zampa posteriore (quella anteriore, la nostra spalla, si chiama paleta) nasce il prelibato prosciutto jamòn de pata negra (zampa nera). Il maiale iberico si differenzia molto da quello blanco e potrebbe, solo per una approssimativa semplificazione, perché in realtà, come detto, costituisce una vera e propria razza suina, essere paragonato a un incrocio tra un cinghiale e un comune maiale nostrano. La principale diversità consiste nel tessuto carnoso ed è riscontrabile mettendo a confronto una fetta di ciascun prosciutto: quella del blanco vede la parte magra occuparne la zona centrale e il grasso contornarla; la carne magra del pata negra è invece attraversata da venature (vetas) di grasso di differente spessore. L’alimentazione del cerdo iberico – allevato nelle regioni ove abbondano l’olivo, la quercia-leccio (encina), il rovere (roble), e il sughero (alcornoque) – fa poi la differenza, con vantaggi non circoscritti soltanto ai piaceri del palato.

Prosciutto a prova di colesterolo
jambon cerdo_al pascolo
cerdo_al pascolo

Nel jamòn de pata negra si gusta un grasso molto lodato perché il colesterolo contenuto non è ad alta intensità (limitati i rischi di infarto), a fronte del cattivo rapporto tra il grasso del pata blanca e le malattie cardiovascolari. Le olive e le ghiande (bellotas), grufolate dal cerdo iberico contengono infatti molto acido oleico – dai benefici effetti sulla salute, vedi la dieta mediterranea – mentre gli acidi grassi saturi quali il palmitico e lo stearico, presenti nella carne del cerdo blanco o pata blanca, non ripuliscono a dovere vene e arterie. L’inizio del jamòn coincide con la fine del maiale, la sua matanza, ma gli addetti ai lavori preferiscono la parola Sacrificio, indice di grande rispetto della gente della terra nei confronti degli animali con cui convivono. Il Sacrificio avviene durante la Montanera (periodo tra novembre e marzo) al raggiungimento del peso ottimale di 160/180 chili. Molto importante, come accennato, è l’alimentazione, condizionata dalla pioggia caduta prima e durante la Montanera. Se la ghianda cade sul terreno umido si ammollisce e risulta più tenera, quindi ghiotta, al cerdo che oltretutto la mastica accompagnandola con l’erba (quasi un contorno d’insalata) spuntata dopo la pioggia. Morale: rinfrescata e ripulita la bocca dall’amaro della ghianda, il futuro pata negra ne guadagna in appetito e quindi in peso.

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La lavorazione del Jamón de Pata Negra

jamón pata negraCompiuto il Sacrificio le spoglie del maiale restano appese un giorno per limpiarse (pulirsi), dopodiché – separati da coppa, lardo e salsicce – i futuri jamones e paletas trascorrono sette, otto giorni sotto sale prima di essere nettati esattamente come un’automobile tra gli spazzoloni delle stazioni di lavaggio. Dopo bagni e salature, segue un meritato riposo di 50 giorni in celle dalle condizioni climatiche opportunamente regolate; il sale penetra meglio abbassando l’umidità e aumentando la temperatura. Giunta la stagione delle vacanze, in primavera, il quasi prosciutto se ne va in ferie all’aria pura di ventilati stanzoni posti ai piani alti della fabrica, fino alla fine dell’estate. Infine, ultima meta, la cantina d’invecchiamento, che un pata negra degno di questo nome abiterà per non meno di due e non più di tre anni. Quasi si trattasse di un atleta, il jamòn affronta il congedo in perfette condizioni di peso-forma, mediamente 8/9 chili; dal momento del Sacrificio ha infatti perso il 40% del peso e un ulteriore 7% annuo – per disidratazione o perdita naturale (merma) lo lascerà prima di finire convenientemente affettato.

Bontà a caro prezzo
jamòn de pata Modalità di conservazione dello Jamón
Modalità di conservazione dello Jamón

Il comune invecchiamento in cantina non è l’unico particolare che accomuna vini e prosciutti. Come annualmente accade ai vini pregiati – il cui indiscutibile re di Spagna è il celeberrimo non meno che costoso Vega Sicilia, niente a che vedere con la nostra Trinacria – anche un pata negra è prenotabile pagando un anticipo (senal) del 20%; molti settori delimitati di una cantina di invecchiamento custodiscono partite di jamones “reserva” etichettati con i nomi di grandi ristoranti, charcuterias alla moda, privati gourmets dai palati raffinati. Licenziato dal produttore, il prosciutto può essere degustato senza indugi o attendere ulteriormente il giorno del taglio inaugurale, che va sempre eseguito tassativamente a coltello. Contrariamente a quanto ritenuto, il pericolo di deterioramento di un prosciutto intero – se accuratamente invecchiato e poi ben conservato – è inesistente: come una sorta di mummia é infatti impermeabile ai vermi e la cosiddetta muffa esterna altro non è che innocua microflora. Ovvio che il jamòn de pata negra (beninteso quello de bellota) non diventa soltanto per caso un oggetto di culto gastronomico; indicativamente una paleta intera, in una buona charcuterìa (salumeria) di Madrid costa circa 25 Euro al chilo, affettata 60, mentre si spendono circa 48 Euro per un jamòn intero e 90 se lo si acquista affettato. Il prodotto é molto caro perché ai costi della già descritta lavorazione si aggiungono quelli, precedenti, dell’allevamento.

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Vita da porci

jamòn Allevamento-di-maialiPoco dopo la nascita, all’età di due mesi, il cerdo viene castrato e alla femmina sono asportate le ovaie, per facilitarne l’ingrassamento e per evitare che poco esaltanti aromi di ormoni sessuali si trasferiscano dal pelo nella carne. Per il resto dei suoi giorni al maiale non resta che crescere in spazi sempre più generosi (l’ideale, commentano gli esperti, sarebbe un intero ettaro a disposizione di un solo cerdo) pascendosi esclusivamente delle già lodate ghiande fino a quando, verso l’inverno, i frutti di querce e sugheri scompariranno e la sua alimentazione avverrà per il resto dell’anno con il pienso (mangime). Prima del Sacrificio, che avviene come detto durante la Montanera, si compiono i destini del jamòn e i suoi quarti di nobiltà sono decisi dalla alimentazione finale. Se all’animale, oltre alle ghiande, viene somministrato anche altro mangime (per vari motivi, ad esempio la necessità di maggior peso o l’assenza di ghiande dovuta alla siccità), il futuro prosciutto sarà ovviamente un pata negra ma con denominazione “de recebo”, e costerà un filino meno caro nei tanti Museos e Catedrales del Jamòn delle grandi città spagnole. La zampa del maiale che prima del Sacrificio é stato nutrito soltanto con ghiande, avrà invece diritto di fregiarsi del nobile titolo, documentato con apposita etichetta e menzionato su ogni menu che si rispetti, di pata negra de bellota.

Tagliare e gustare 
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Il taglio del Jamòn de Pata Negra

In Spagna, in un ristorante o in famiglia, il taglio del jamòn è contestualmente rito liturgico e operazione commerciale (con quel costo, meglio buttar via il meno possibile). Dopo aver tagliato con un robusto machete la dura (corteza) pelle all’altezza del jarrete (garretto) il prosciutto va fissato sul jamonero – il marchingegno di supporto, in alcune regioni d’Italia chiamato “violino” – per essere affettato con il cuchillo jamonero, lungo e affilato coltello da maneggiare a mò di archetto come se si suonasse uno Stradivari. La posizione del jamòn sull’apparecchio sacrificale dipende dai tempi previsti per il suo consumo. Se, per esempio in famiglia, si prevedono tempi lunghi la pezuna (palma del piede) va rivolta abajo (verso il basso), in modo da affettare subito la parte più dura e dar tempo a quella molle di rassodarsi. Se invece il jamòn sarà goduto alla svelta (accade nei ristoranti) meglio sistemarlo con la pezuna arriba, palma in su: tanto vale infatti, anche per motivi estetici, tagliare subito la parte superiore, più fresca, che comunque non avrebbe tempo per stagionarsi, e poi girare la zampa e degustarne la parte inferiore, che dura era e tale sarà rimasta. Nessuna strategia per il taglio della paleta (spalla): la pezuna va sempre abajo. Spinto da un polso e da una mano non rigidi (come giocando al tennis si può tagliare il jamòn anche ‘di rovescio’) il coltello deve entrare nel prosciutto, a un quarto della sua lunghezza dal manico, con un movimento armonioso – colpi lunghi e ben distesi – e ininterrotto; evitare gli escalones (gradini) in caso contrario occorre intercalar (livellare); non importa se il livellamento produrrà minifettine.

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Jamón serrano

Ne sortirà una fetta (loncha) che nel nord della zona di allevamento del cerdo iberico (Salamanca, Extremadura) si usa tagliare più lunga, grazie anche alla precedente asportazione dell’osso femorale, il violìn, mentre in Andalusìa – dove tre fette fanno una tapa (assaggio) – l’osso resta e se bordea il cuchillo intorno. E’ giunto finalmente il momento di assaporare la divina zampa, non prima di avere imparato la sua esatta denominazione: jamòn de pata negra de bellota. La precisazione è necessaria perché in Italia si parla a vanvera di jamòn serrano – lo è qualsiasi normale prosciutto prodotto sulla Sierra, la montagna – e si cita con enfasi non meno che genericamente il Jabugo, località andalusa sinonimo, sì, di prosciutto iberico ma non per questo garanzia assoluta del prodotto e del tipo di alimentazione somministrata. Così tragicamente male abituati a scartare il grasso del prosciutto abbandonandolo al bordo del piatto, non vogliano gli assaggiatori italiani demonizzare anche quello del patanegra. Va assolutamente degustato, soprattutto per la soavità prodotta mentre si scioglie a contatto con il palato. Un piacere sublime, godibile solamente se la fetta che stiamo assaporando é stata rigorosamente tagliata a coltello.

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