Se c’era e cos’era all’inizio del mondo, nessuno può dirlo con precisione. Come tutte le isole del
lontano oriente, luoghi dove mito e mistero trovano terreno fertile e sono strettamente intrecciati con la realtà, anche attorno a Tioman aleggiano suggestive leggende. Ne esistono tante, ad alcune manca l’inizio ad altre la fine, a volte vengono arricchite da particolari fantasiosi propri delle credenze popolari. Dipende dal narratore.
Nata da un anatema
Una di queste storie racconta le avventure di due musulmani, Osman e il suo mentore Syed Abdul Rahman i quali, dalla Cina, decisero di salpare verso occidente per conoscere nuove terre e diffondere la fede islamica. Dopo giorni e giorni di navigazione, quando la loro nave si trovava al largo della costa orientale malese, il malvagio capitano cinese uccise il povero Osman, responsabile, a suo dire, di attirare su di loro le ire degli Dei. Prima però che il capitano potesse gettare in mare il corpo di Osman, intervenne Syed Abdul, supplicandolo affinché gli venisse concesso di salutare l’amico con la tradizionale cerimonia tipica dei funerali di mare. Mentre vegliava pregando per l’anima del defunto, Syed Abdul pensò che, se Osman era stato un buon musulmano, allora la sua morte ingiusta e prematura sarebbe stata ricordata per sempre e lanciò un’anatema: il corpo dell’amico si sarebbe trasformato in roccia e la stessa sorte sarebbe toccata a chiunque fosse passato in quelle acque. E così fu. Nel punto dove il defunto fu gettato in mare emerse un’isola a immortale testimonianza del triste fato di Osman. Questa, secondo la leggenda, è l’origine di quest’isola affascinante.
Arabi, cinesi ed europei: tutti a Tioman
Più affidabili sono certamente le notizie che compaiono nei diari di bordo dei commercianti arabi che per primi citarono Tioman, circa duemila anni fa, come “un posto chiamato Betumah che offre buoni approdi e sorgenti d’acqua dolce a chiunque ne abbia necessità”. In seguito venne utilizzata come scalo anche dai cinesi; a testimonianza i vasi del periodo Ming ritrovati nelle caverne dell’isola. Del resto che quest’isola dovesse diventare un crocevia di mezzo mondo era scritto, se non nella storia, sicuramente nella sua geogafia: le navi provenienti da Cina e Giappone giungevano qui guidate dai venti, per poi proseguire verso India e medio oriente. Cinquecento anni dopo arrivarono gli europei. I primi furono gli esploratori portoghesi, poi gli olandesi, e infine giunsero i marinai di Sua Maestà britannica, spinti dagli interessi della Compagnia delle Indie Orientali, allorché estesero il loro dominio su tutta la penisola malese, durato fino a cinquant’anni fa.
Da allora Tioman non ha più avuto visitatori ed è tornata a riposare nell’anonimato fino a che, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, la sua inaccessibilità e il suo aspetto poco ospitale non hanno risvegliato la curiosità di viaggiatori più avventurosi, disposti a sfidare le incertezze di un viaggio di quattro ore, dal porto di Mersing, a bordo di traballanti traghetti in perenne ritardo. Oggi Tioman è decisamente più accessibile: il viaggio via mare non è più così estenuante da quando, ai vecchi barconi da pesca, sono stati affiancati nuovi traghetti veloci che impiegano due ore e, soprattutto, da quando è stato aperto un minuscolo aeroporto – una semplice striscia di asfalto in mezzo a due vallate – sufficiente comunque per i piccoli bimotore provenienti da Singapore e Kuala Lumpur.
Isola spettacolare
“Selamat datang ke Pulau Tioman”: “benvenuti all’isola Tioman” si legge su un cartello posto appena fuori l’aeroporto, che sotto precisa: “una delle dieci isole più belle del mondo”, secondo una classifica stilata qualche anno fa dalla Magnum Press di Ginevra. La realtà non è poi così lontana se si pensa che nel 1958, il carrozzone hollywoodiano venne fin qui per girare alcune scene del film “South Pacific”.
Che si tratti di un’isola assolutamente spettacolare sembra confermarlo il crescente interesse da parte del turismo internazionale. Infatti, fino a pochi anni fa, la maggior parte dei circa mille e seicento abitanti di Tioman dipendevano per la propria sussistenza dalla pesca e dalla raccolta delle noci di cocco; ora queste attività sono state rimpiazzate dal turismo. Durante l’alta stagione, che va da aprile alla fine d’agosto, l’isola si riempie soprattutto di malesi e trovare una sistemazione può risultare complicato nonostante il numero dei visitatori sia decisamente inferiore rispetto a quello di altre regioni del sud-est asiatico. Ma quasi deserta, perlomeno da novembre a gennaio, lo rimane un po’ ancora oggi, quando il cielo si vela di nubi liberando violenti scrosci di pioggia e il mare si gonfia di onde sollevate dai venti. Sono i monsoni.
Tioman delle “acque”
Durante questi tre mesi i pescatori malesi, che vivono nei piccoli villaggi della costa, mettono da parte le reti, attraccano le imbarcazioni e si ritirano nelle loro case di legno per dedicarsi ad altre attività, in attesa che cambi il vento. Poi, da febbraio, quando il vento cala, ritornano in mare e tutto rinasce come prima, come se il tempo non fosse passato. Non che la pioggia rimanga un lontano ricordo, tutt’altro, è una costante di quest’isola. Tioman trasuda acqua; e spesso non piove, diluvia. In dodici mesi qui cadono fino a cinque metri di pioggia. Anche durante la stagione secca il tempo è imprevedibile: al termine di una gloriosa notte di luna piena può splendere un sole implacabile o infuriare un ciclone. Al di là di tutto, comunque, la pioggia non sembra influire più di tanto sui rituali della vita quotidiana: sotto gli acquazzoni la gente non corre, cammina; i cani dormono e i bambini continuano a giocare. Forza dell’abitudine.
E’ proprio grazie alle abbondanti precipitazioni che Tioman ha una vegetazione così rigogliosa. Su questo scoglio vulcanico di duecentoventi chilometri quadrati, dalle cime a pan di zucchero pressoché inaccessibili, la fitta foresta ricopre tutto: dai picchi più alti scende fino al mare.
E’ una presenza invadente, quasi ostile, che sembra non voler lasciar spazio all’uomo. Soprattutto è una presenza “viva”. Naturalisti e botanici dell’Università della Malaysia, dopo un’approfondita ricerca condotta sull’isola, hanno affermato che Tioman ospita ventisette specie di mammiferi, trentasette di uccelli, ventiquattro specie di pesci d’acqua dolce e ventisette di rettili; con un altissimo livello di endemismo. Per accorgersene basta seguire il “jungle track”, l’unico sentiero segnalato che attraversa l’isola da ovest a est, da Tekek a Juara. Tekek, dove si trova l’aeroporto, è il villaggio principale dell’isola; c’è la banca, un ufficio postale accanto al municipio, e qualche abitazione. Tekek è tutta qui.
Sulle gobbe dell’isola
Il percorso inizia circa un chilometro a nord del molo e, superata la moschea, si inerpica tra un intrico di vegetazione umida per poi proseguire sotto una volta di alberi altissimi. E’ una foresta antica, popolata da farfalle e uccelli, che risuona dei gridi delle scimmie; se non si fa troppo rumore è possibile scorgerle mentre, in piccoli gruppi, fanno fremere i ciuffi più alti degli alberi alla costante ricerca di cibo.
Il terreno è un tappeto di felci e muschi, solcato dai rigagnoli d’acqua creati dalle piogge torrenziali prima di giungere in mare. La marcia, in salita e tra un’umidità infernale, segue il corso di uno scrosciante torrente fino al punto più elevato, in mezzo a pinnacoli di roccia. Poi, a circa metà cammino, con i vestiti appiccicati alla pelle, inizia la discesa tra distese di palme da cocco, piantagioni di caucciù e qualche casa.
Occorrono circa tre ore per arrivare fino a Juara ma lo sforzo sarà largamente ripagato: Juara sorge al centro di una baia spettacolare: il mare ha un colore indescrivibile e dopo l’estenuante traversata, non si può resistere alla tentazione di un bagno rinfrescante. Juara è un vero paradiso per chi ama la tranquillità e desidera respirare l’atmosfera serena dei “kampong” (villaggi) malesi: qui vive una piccola comunità di pescatori; sparsi qua e là tra le palme, qualche bungalow e un paio di ristoranti.
Alcuni stranieri giunti quaggiù per un periodo di vacanza si sono innamorati a tal punto del posto che hanno comperato una casetta di legno, l’hanno dipinta con colori vivaci e si sono fermati a vivere in questo mondo senza tempo. Sono francesi, tedeschi, australiani; ora nessuno fa più caso a loro, è come se vivessero qui da sempre.
Le strade del mare
Intanto, attraccato al molo del villaggio, il sea-bus attende l’orario di partenza per salpare e riportare dall’altra parte dell’isola chi non se la sente di affrontare a ritroso il percorso nella foresta. Il sea-bus è un’altra particolarità di quest’isola sorprendente: a Tioman, infatti, ancora non esistono strade. Il solo modo per collegare tra loro i Kampong della costa sono quindi le barche di linea della “Tioman sea-bus enterprise”, con corse che iniziano all’alba e terminano al tramonto.
L’unico tratto di strada asfaltata è quello che collega l’aeroporto, a Tekek, con il Berjaya Resort: circa due chilometri più a sud. Questo villaggio, unica struttura turistica dell’isola di livello internazionale, è composto da aggraziati edifici a due piani in stile tradizionale ed è ben attrezzato. Il turismo non ha violentato l’ambiente, né turbato le tradizioni indigene; ha portato lavoro e denaro, offrendo ai visitatori tutto ciò che cercano: cioè relax, sport e natura.
Sotto il blu, è un altro mondo
I turisti sono per lo più amanti del mare e delle immersioni, attratti dagli splendidi fondali corallini dell’isola, che il Governo malese ha deciso di tutelare per mezzo della creazione di un parco marino.
Dal 1992, infatti, le acque che circondano Tioman sono area protetta, con conseguente divieto di raccogliere coralli, stelle marine e quant’altro. Ma per quanto riguarda immersioni e fondali, strano a credersi, esiste di meglio di Tioman: si tratta di Pulau Tulai, meglio nota come Coral Island, un isolotto a un’ora di barca da Tioman. Lo si raggiunge con il sea-bus che passa a raccogliere i passeggeri sui moli dei villaggi (si ferma anche al molo del Berjaya Resort).
Avvicinandosi a Coral Island l’acqua si fa sempre più trasparente, lasciando presagire una straordinaria ricchezza di vita e colori, poi la barca si ancora, a poche decine di metri da una spiaggia, per la prima immersione. Si nuota tra torrioni di corallo, circondati da pesci di ogni forma e dimensione per nulla intimoriti dalla presenza umana; con un po’di fortuna c’è anche da aspettarsi l’incontro con il maestoso pesce napoleone o con le testuggini di mare, frequenti abitanti di questi fondali.
Quindi la barca prosegue e si passa a esplorare la parte opposta dell’isola, il versante occidentale di Tulai, e l’avventura in questo immenso acquario continua nelle acque basse e turchesi di “pasir panjang beach”, dove la sabbia è così bianca e fine da sembrare farina. Ma le emozioni non finiscono qui. Il giro completo di Tioman in barca, per esempio, è un continuo succedersi di scenari spettacolari.
La fantasia nei nomi dei villaggi
Si parte verso le nove in direzione sud, costeggiando l’isola e subito si intravedono le famose “torri gemelle”, il Batu Sirau e il Nenek Simukut, due maestosi picchi di roccia costantemente avvolti dalle nuvole. Ci si ferma in quasi tutti i villaggi che qui a Tioman hanno dei nomi molto fantasiosi: c’è il Kampong Tekek (villaggio della lucertola), il Kampong Lalang (villaggio dell’elefante), il Kampong Juara (villaggio del pescegatto) e persino un Kampong Mukut (villaggio del dubbio). La cima più elevata, Gunung Kajang, è la “collina della fronda di palma”.
Sono previste anche soste nei punti più rappresentativi, sotto l’aspetto della vita sottomarina, come Teluk Dalam e, soprattutto, Monkey Bay, che è anche una tra le spiagge più belle di Tioman: una baia dove il contrasto tra l’azzurro del mare e i diversi toni di verde della foresta crea un’atmosfera incantata.
Qui regna il silenzio, rotto solamente, di tanto in tanto, dalle grida delle scimmie e delle aquile di mare, unici custodi e padroni di tanta bellezza. E ci sono buone probabilità che lo rimangano ancora per lungo tempo: gli stranieri, infatti, hanno più volte cercato di acquistare terra sull’isola, ma è vietato dalla legge.
Tioman è una “riserva” malese e tutti i progetti di sviluppo prevedono che la proprietà resti in mani malesi. E’ forse per questa ragione che in quest’angolo di mondo le cose sono ancora come prima dell’arrivo dell’uomo. O quasi.
Notizie utili
Quando andare
La costa orientale è colpita dai monsoni da novembre a fine gennaio; il periodo migliore è quindi la stagione secca, che va da aprile alla fine di agosto.
Come arrivarci
La Malaysia Airlines, la compagnia di bandiera malese, assicura due voli settimanali che collegano Roma con la capitale Kuala Lumpur. Da qui si può raggiungere Tioman con i voli giornalieri della Berjaya Air o della Pelangi Air. Il volo dura un’ora e costa duecento Ringgit. Via mare si può arrivare all’isola con un traghetto o con un battello da pesca in partenza dal porto di Mersing, una piccola cittadina di pescatori sulla costa orientale; il viaggio dura tre ore e costa trenta Ringgit a persona.
Dove dormire
Il Berjaya Tioman Beach Resort è l’unico albergo di livello internazionale dell’isola.
Si trova a Kampong Lalang, a due chilometri dall’aeroporto, lungo la bellissima e solitaria spiaggia di Bunut. Dispone di trecento ottanta tra camere e cottages in legno in puro stile malese, tutte dotate di aria condizionata, telefono, mini-bar e televisione a colori. Il Resort offre inoltre una vastissima varietà di servizi e attrezzature: un campo da golf a 18 buche, campi da tennis, maneggio, piscine, quattro ristoranti e un salone per conferenze.
A parte il Tioman Resort, si può trovare alloggio in capanne e bungalow di legno in tutti i villaggi dell’isola. A Kampong Salang, uno tra i villaggi più caratteristici, vi sono il “Salang Indah”, che dispone di dodici chalet da trenta-quaranta Ringgit al giorno, il “Salang Sayang”, con prezzi lievemente inferiori e il “Nora Chalet”, arretrato rispetto alla spiaggia, che costa da venti a trenta Ringgit al giorno.
A Kampong Juara si possono trovare sistemazioni anche più spartane: l'”Atan’s Resort” ha capanne con tetto in paglia a dieci Ringgit e chalet a quindici al giorno. Il “Door Ray Me” e il “Rainbow Cafè” hanno capanne e stanze a otto Ringgit.
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