Anche il “copy” più brillante avrebbe qualche difficoltà nel definire in uno slogan Montréal. Potrebbe ripiegare su record e paradossi. Ma questo richiederebbe un’ardua operazione di sintesi, dato che la capitale del Québec ne conta veramente tanti, forse troppi.
È la più grande città francofona dopo Parigi, ma metà degli abitanti parla inglese.
Ha dei grattacieli che non hanno nulla da invidiare a quelli delle cugine statunitensi; ma è piena di quartieri che per taglio urbanistico e costruzioni sembrano pezzi di vecchia Europa.
Si trova alla stessa latitudine di Milano, ma ha temperature che scendono in inverno a più di dieci gradi sotto lo zero. In estate invece superano con disinvoltura i trenta. Ha una storia lunga e complessa, da far impallidire l’intero continente. È al quarto posto tra le città del Nord America per numero di persone impiegate nell’alta tecnologia. Questi sono solo i dati più clamorosi, ma l’elenco potrebbe continuare.
Una città per ogni stagione
Un’altra caratteristica di Montréal, apparentemente banale ma in realtà unica, è quella di avere le quattro stagioni così scandite da condizionare i modi di vita degli abitanti. L’inverno è “il più inverno che ci sia”, con un freddo polare e la neve che cade da ottobre ad aprile nella misura di sei milioni e cinquecentomila metri cubi, tanto da impegnare, per spalarla, tremila lavoratori, giorno e notte.
Per sopravvivere i montréalesi si sono ricavati un habitat sotterraneo, con strade che si snodano su una lunghezza di trenta chilometri. Un’altra città dove abitare, camminare, vivere, senza mai uscire all’aria aperta.
Ci sono due stazioni ferroviarie e dieci linee metropolitane, milleseicento abitazioni, quaranta banche, più di millecinquecento negozi fra cui due grandi magazzini, sette alberghi, numerosi ristoranti e bar, alcuni con dehors fioriti, trenta fra cinema e teatri, svariate gallerie d’arte e persino due campus universitari. Tutto sottoterra!
Sopra, la città continua a vivere e offrire spazi interessanti per chi vuole pattinare, giocare a hockey, fare sci da fondo e alpino, come il Parc du Mont Royal, bellissimo cuore verde costruito dallo stesso architetto del Central Park di New York, pieno di sentieri tracciati anche per i camminatori.
Qui sul Belvedere, a poco più di duecentotrenta metri, si ha la migliore vista di Montréal: dagli austeri palazzi della Mc Gillis University, ai quartieri vecchi, fino allo stadio Olimpico e al fiume San Lorenzo, con i padiglioni dell’Expo del 1967.
La storia nelle strade
Il parco è anche il migliore osservatorio per l’autunno della città, quando le foglie, soprattutto quelle degli aceri, prendono colori incredibili, dal giallo al rosso.
È il famoso “foliage” da godere in quel periodo che gli americani del New England chiamano “indian summer”: un piccolo avanzo di estate tra fine settembre e i primi di ottobre.
La primavera è davvero un risveglio per Montréal.
La gente “sale” in superficie, le strade si ripopolano, soprattutto i vecchi quartieri. Sono le vie intorno alle quali si è formata la città nel 1600 e che fino al 1800 era racchiusa nelle mura, ora completamente scomparse.
In quei secoli, sotto la dominazione francese, la Place d’Armes era il cuore della città. Qui venivano fatte le esercitazioni militari e da qui partivano i cortei religiosi. Degli edifici dell’epoca non resta niente, eliminati per far posto a un giardino vittoriano e poi a palazzi imponenti, come la Banca di Montréal con portico e colonnato.
Al centro della piazza c’è un monumento del 1895 dedicato a Paul de Chomedey, signore di Maisonneuve, fondatore della città e primo governatore nel 1640. Intorno a lui personaggi della storia di Montréal come Jeanne Mance, infermiera fondatrice del primo ospedale.
La Basilica di Notre Dame è a due passi. Costruita fra il 1824 e il 1829, nel luogo in cui nel 1600 sorgeva una cappella, è in stile gotico americano ma con alcuni dettagli ispirati alla Sainte Chapelle di Parigi. Le vetrate raccontano la storia della città. Sono state fatte da un artista francese per i cento anni della basilica.
All’interno c’è la cappella del Sacro Cuore, ristrutturata negli anni Ottanta, che ha visto nel 1994 il matrimonio di Celine Dion, celeberrima gloria canora locale, e un organo dal suono eccezionale; al punto da convincere Luciano Pavarotti, qualche anno fa, ha registrare qui un CD di musiche natalizie.
Un mondo nell’acqua
Il porto di Montréal, il più grande porto fluviale del continente, è a pochi isolati.
Ma questa parte, la più antica, è stata ristrutturata e riconvertita con un progetto che ha trasformato le banchine in disuso in piacevoli passeggiate, e i docks fatiscenti in shopping center, musei, abitazioni, alberghi.
Come porto funziona oramai solo per i “bateaux mouches” per turisti. Anche l’angiporto è cambiato. Sulla Rue St. Paul, parallela alla Rue Commune che costeggia la banchina, ci sono gallerie d’arte, antiquari, boutiques di stilisti, negozi di design, locali di tendenza, piccoli musei curiosi.
Di fronte, le due isole artificiali costruite per l’Expo: l’Ile de Notre Dame e l’Ile Sainte Hélène che fanno parte dell’immenso Parco Jean Drapeau.
Nella prima c’è il circuito di Formula Uno intitolato a Gilles Villeneuve e il casinò ricavato dai padiglioni dell’Expo della Francia e del Québec.
Nella seconda, verdissima, emerge l’ex padiglione americano, notevole opera architettonica, che ora ospita un’esposizione permanente e interattiva sull’acqua e la biosfera.
Viaggiando tra i quartieri
Nonostante la presenza di un partito Québecois che rivendica l’indipendenza dal Canada, forte di quel sessantatré per cento di abitanti di origine francese, Montréal, da vera capitale, è una città assolutamente multietnica, abitata da grosse comunità straniere.
Lasciando Place des Arts, al centro di Downtown, basta percorrere l’infinita Rue Sainte Catherine, undici chilometri di grattacieli, negozi scintillanti, department stores, per vedersi apparire uno ad uno i vari quartieri, veri villaggi nella città.
Da Chinatown, in fondo alla Rue St. Laurent, non molto estesa, ma fortemente caratterizzata da un cancello d’accesso con i due leoni da Città Proibita, a Little Italy intorno alle Rue St. Christophe, zeppa di trattorie e ristoranti. Molti degli italiani, che costituiscono il quattro per cento della popolazione cittadina, sono andati a vivere nei sobborghi del nord, ma continuano a venire qui per il loro shopping, soprattutto di generi alimentari.
Sui passi di Mordecai
Schiacciato fra Little Italy e il quartiere greco, con negozi e ristoranti dalle insegne kitsch, c’è il quartiere ebraico. Un insieme di strade con case di due, tre piani al massimo, con scale esterne, che stanno diventando l’indirizzo “branché” dei giovani creativi.
Nonostante le infiltrazioni modaiole, il tessuto urbano è rimasto quello di cui racconta Mordecai Richler nei suoi autobiografici romanzi, con le macellerie kosher frequentate da “hassidin” con boccoli e cappello e donne piene di bambini con gonne lunghe e capo fasciato.
È rimasto come quando lo frequentava il giovane Richler il bar Wilenskys, all’angolo fra la Clark e la Fairmount e anche Schwartz’s, al numero 3895 di Boulevard Saint Laurent, che dal 1930 propone squisiti panini con carne affumicata.
Qualche passo avanti, al 3965, c’è Moishes, elegante ristorante dove Richler andava la domenica a mezzogiorno per il “filet mignon”.
Leggermente rinnovato Beauty’s in Avenue Mont Royal, il tempio del brunch, con un arredo da quadro di Dennis Hopper, o Fairmont Bagel con quindici varietà di pane, bagel appunto, aperto ventiquattro ore.
Ha un assortimento di capi d’abbigliamento che solo una “fashion victim” creativa potrebbe riesumare da un’inguaribile obsolescenza, ma vale una visita, J.Schreter al 4358 di Boulevard St.Laurent, che in vetrina a Natale espone cartelli augurali con “Happy Hannuka”.