C’era una volta il vino del contadino. O comunque quello delle grandi tenute, dove il vino si faceva rispettando tradizioni immutabili. C’erano una volta le cantine umbratili dei nonni, con le pareti umide e l’odore di muffa, illuminate da fioche lampade appese direttamente al filo. Lì il vino invecchiava in botti dall’aspetto solenne, che sembravano nate con la cantina stessa.
Un immaginario collettivo ancora ben vivido nella mente della gente, ma che rischia di venire presto soppiantato da quello scintillante e futuribile, eppure a suo modo altrettanto suggestivo, imposto dalla “nuova” enologia. O, come qualcuno la chiama, dall’enoindustria: neologismo che sta a indicare come il mondo del vino obbedisca sempre di meno alle leggi economiche e commerciali dell’agricoltura e sempre di più a quelle dell’industria.
Tradotto in termini tecnici, ciò significa stabilimenti moderni simili ad hangar, l’impiego dell’acciaio inossidabile al posto dei cari vecchi tini di legno, asettici pannelli di controllo computerizzato invece del tavolaccio e dei registri compilati a mano dal cantiniere.
Un’innovazione tumultuosa che è letteralmente esplosa nell’ultimo ventennio e che ha accompagnato in tutto il mondo il processo di sviluppo del sistema-vino: un processo che sembrava destinato a rendere i luoghi di produzione sempre meno arcani e sempre più simili ai capannoni industriali.
Cantine “firmate” nel mondo…
L’imperfetto, però, è d’obbligo. Perché la rapidità di questo processo è stata tale che – almeno sotto il profilo estetico – la fase della “cantina-officina” rischia di risultare solo una breve parentesi tra quella “rurale” della tradizione e quella “architettonica” del futuro prossimo: la “cantina-monumento”.
Una cantina cioè dove la massima espressione della tecnologia enologica si sposa con un’esplicita ricerca del bello, affidata alla mano dei più famosi architetti.
Un futuro che in parte è già realtà: dalla Francia al Cile, dalla Spagna alla California, dal Bordeaux al Chianti e all’Alto Adige è tutto un fiorire di strutture avveniristiche e di ancor più avveniristici progetti che portano la firma del gotha dell’architettura mondiale, tanto da finire sulle prime pagine di tutte le più importanti riviste specializzate del pianeta.
Alcuni esempi? Le cantine della spagnola Bodegas Ysios, a Laguardia, opera di Santiago Calatrava. Quelle, sempre spagnole, disegnate da Frank Ghery per la tenuta del marchese di Riscal, a Elciego. Norman Foster sta ultimando le nuove strutture delle iberiche Bodegas Parxet di Ribeira del Duero.
Riecco all’opera Ghery a Les Clos Jornan a Lincoln, in Ontario, mentre è toccato all’estroso americano Steven Holl creare il layout del Loisium, l’enoteca-museo di Langenlois, tra le dolci colline della Bassa Austria. Sono di Matias Klotz le tavole di Las Ninas, a Santa Cruz del Cile. Lo studio Herzog & de Meuron è invece l’autore di quelle, splendide, della californiana Dominus Winery a Napa Valley.
Né poteva mancare, naturalmente, il nostro Renzo Piano, impegnato in questi mesi a realizzare la nuova cantina maremmana della joint-venture tra l’editore-finanziere Paolo Panerai e il barone Rothschild in quel di Gavorrano.
…e a casa nostra
Anche nel Bel Paese infatti l’elenco di queste cantine-monumento si è fatto lungo: è il caso, ad esempio, della chiantigiana Badia a Coltibuono (le nuove cantine sono state progettate da Natalie Grenon e Piero Sartogo), mentre si preannunciano innovative pure quelle di Agnese Mazzei progettate per l’azienda di famiglia a Fonterutoli, sempre sul versante senese Chianti Classico.
Sono già realtà, inoltre, le creazioni di Alberto Cecchetto per le Cantine Mezzocorona, in provincia di Trento; quelle di Abram & Schnabl realizzate per Alois Lageder in Alto Adige e quelle di Gianni Arnaudo per Terre da vino in Barolo. A Gramogliano, in provincia di Udine, sono in fase esecutiva i progetti di Augusto Romano Burreli per Perusini.
Si dice un gran bene delle nuove strutture della Manincor, sul Lago di Caldano. Grande attesa poi, è ovvio visti anche personaggi coinvolti, per le tavole di Peter Zumthor commissionate da Oliviero Toscani a Casale Marittimo, nel pisano.
Ultima arrivata tra le realizzazioni già “godibili” è infine quella di Petra, megastruttura disegnata dallo svizzero Mario Botta, ispirandosi ai templi precolombiani e inaugurata l’estate scorsa nella Maremma livornese, a Suvereto, nella nuova tenuta dell’impresario-vignaiolo bresciano Vittorio Moretti.
Completamente rivestita di marmo di Verona, incastrata sul fianco della collina per un fronte di circa trecento metri, nel bene e nel male Petra è destinata a costituire una pietra miliare nel suo genere. Esempio perfetto di un “trend” al quale si sta accodando anche la nuova azienda acquistata recentemente dallo stesso Moretti in Maremma, ma più a sud, dalle parti di Castiglione della Pescaia: La Badiola, ex villa granducale con cinquecento ettari di terra, vigneti in fase di realizzazione, superhotel di charme e un ristorante in società con Alain Ducasse. Un investimento da venticinque milioni di euro, con i primi vini in uscita nel 2005.
Il vino oggi: tecnologia e marketing
Resta da chiedersi il perché di questa fioritura mondiale. Una prima chiave di lettura sta nel fatto che, in un comparto avanzato quale è quello del vino, la componente di marketing è diventata così importante che l’estetica non solo del contenitore, ma anche del luogo in cui viene fabbricato è divenuta parte del valore aggiunto del prodotto.
L’enologia fa oggi passi da gigante e con essa i mercati. Adeguare l’una e gli altri nei rapidi tempi industriali, rende necessario dotarsi di strutture quanto più versatili possibile. Da qui la convenienza di realizzare ex novo cantine in grado di soddisfare esigenze che le vecchie – per logistica, ubicazione, materiali utilizzati, tipologia, progettazione – non sarebbero in grado di accontentare.
Prendiamo, ad esempio, il mutamento tecnico introdotto dalle nuove teorie che vogliono che l’uva si trasformi assecondando la forza di gravità, per caduta, senza lo “stress” causato da pompe e macchinari. Un principio che stravolge i metodi di lavorazione tradizionali: grandi rampe consentono l’accesso in quota a carri e camion carichi di materia prima e così via verso il basso.
I tini, a loro volta, sono diventati ipertecnologici e ingombranti: da qui la necessità di spazi idonei, adatti alla manutenzione e alla circolazione di grandi macchine capaci di agevolare al massimo il lavoro. Un discorso analogo vale per i locali destinati ad accogliere le “barriques”, fusti di rovere da duecentocinquanta litri di difficile stoccaggio, che necessitano di temperature controllate e soggetti a sostituzioni frequenti (una barrique non dura più di tre anni), donde la necessità che gli ambienti che le accolgono rendano agevoli gli spostamenti e le manovre.
La cantina moderna insomma deve assomigliare sempre più a uno spazio industriale. Da qui la logica conclusione di tanti produttori: piuttosto che adattare le vecchie strutture (che invece vengono trasformate in enoteche e ambienti di rappresentanza), tanto vale farne di nuove, più razionali. Ma per far questo potevano ancora bastare i vecchi, cari capannoni. Perché allora la scelta di costruire cantine “monumentali”?
La “cantina” moderna: estetica e funzionalità
La prima risposta è di tipo economico: per paradossale che possa sembrare, tra costruzione, attrezzature e movimenti di terra, oggi nell’investimento in una nuova cantina il costo di progettazione, anche se affidato a una “firma”, è una voce relativamente minore. Va poi aggiunto che la realizzazione di una grande opera in contesti solitamente rurali, specie se “nobilitata” da un’importante veste architettonica, contribuisce non poco a rendere più gradita l’operazione presso le amministrazioni locali.
E’ tuttavia ancora il fattore estetico a svolgere un ruolo fondamentale nell’indurre gli imprenditori a fare determinate scelte. Da almeno due punti di vista. La costruzione di qualcosa di “bello” e prestigioso è avvertito innanzitutto come espressione di buon gusto ed è “vendibile” come tale: la cantina diventa una tessera del sistema attraverso il quale si accresce il prestigio del produttore e quindi del vino. Diventa qualcosa di per sé attraente e di visitabile. La costruzione di un opificio-monumento è inoltre considerata (e sovente propagandata) come una sorta di “lascito” permanente a favore del territorio, un’opera d’arte destinata ad arricchire sia il buon nome del donatore che quello del comprensorio in cui si colloca.
Un’opera, del resto, non di rado concepita o concepibile anche come un contenitore “riusabile” e magari destinato, un giorno, ad ospitare un museo o un’altra struttura di pubblica utilità.
Manincor, “edificare nella continuità”
Qualche centinaio di ettari di tenuta, dei quali ben quarantacinque a vigneto. La più grande tenuta della regione a vinificare unicamente uve proprie, spalmata come una conchiglia, trasversalmente rispetto alla vallata, in uno dei luoghi più belli dell’Alto Adige: il Lago di Caldaro.
Un giovane conte di nobiltà antica ma di mentalità modernissima, enologo e vignaiolo: Michael Goess-Enzenberg. E una famiglia, la sua, dal Duecento tra le più importanti dell’aristocrazia tirolese, che dal 1662 possiede direttamente o indirettamente quei terreni infeudati nel 1608 dall’imperatore Hieronymus, che da allora si chiamò, per il suo valore di guerriero, “Man-in-cor”, ovvero “con il cuore in mano”. Tanto da farne l’arme del proprio casato. Ce ne sarebbe abbastanza per una storia piena di fascino e di reminiscenze.
Ma la parte più bella di questa saga d’altri tempi forse deve ancora venire. Perché è da meno di un mese che il proprietario ha inaugurato la nuova, stupefacente cantina della tenuta: trentamila metri cubi totalmente interrati e ricoperti di nuovi vigneti, costruita a ridosso, in un nesso di continuità fisica fortemente simbolica, del palazzo storico datato 1608, dove ancora il conte e la famiglia vivono. Un progetto di altissimo contenuto tecnologico e architettonico, in cui il progettista, l’architetto Walter Angonese di Caldaro e i suoi soci Rainer Koblerl di Innsbruck e Silvia Boday di Merano, hanno trasfuso il concetto-base del loro studio: “edificare nella continuità”, cioè accettazione di quanto si è trovato e “osservazione dialettica di storia illuminata e paesaggio amato”. In parole più semplici, architettura contemporanea calata nel contesto storico e sociale e resa in questo modo “legittima”. Lo studio è durato tre anni, ma il risultato è superiore ad ogni aspettativa.
“I vini di Enzenberg” dice Angonese “vengono vendemmiati e bevuti a corte da quattrocento anni. Ora si doveva ampliare uno spazio storico destinato alla vinificazione e allo stoccaggio di trecentomila bottiglie. Un luogo benedetto per il quale si esigeva un approccio cauto“, capace di coniugare le idee sul wine-making del committente con le convinzioni teoriche degli architetti.
Alla fine ne è nato un volume che, se da un lato volutamente rinuncia alla teatralità di certe recenti realizzazioni internazionali, dall’altro riempie l’opera di contenuti: nessuna modifica del paesaggio circostante, rispetto della topografia, collegamento delle antiche cantine, sfruttamento delle inclinazioni naturali. Non solo. Agli orpelli decorativi si è preferito il ricorso a un calcestruzzo pregiato, concepito come futuro habitat dei microrganismi che “naturalmente” sono destinati ad abitare le cantine e che finirà per coprirsi di una patina cromatica spontanea dettata dal verde delle muffe e dal rosso di ruggine e mosti. La geotermica e il legname dei boschi di proprietà, contribuiranno infine a fare di Manincor un’azienda il più possibile “autarchica” e rispettosa dell’ambiente.
Resta da dire dei vini e non è poco. Perché anche in questo Michael Goess-Enzenberg è originale: “La mia filosofia” dice “è di contrastare la tendenza degli ultimi anni, che spinge a fare vini potenti e robusti, a prescindere dal vitigno. Io invece voglio farne di eleganti e di gradevoli, longevi, che esprimano il meglio delle uve dalle quali provengono“.
Manincor, località St Josef am See 4, Caldaro (Bolzano)
www.manincor.com
Alcune Cantine d’Autore in Italia
Badia a Coltibuono
Località Badia a Coltibuono, Gaiole in Chianti (Siena)
www.coltibuono.com
Cantine Mezzacorona
Cittadella del Vino, Via del Teroldego 1, Mezzocorona (Trento)
www.mezzacorona.it
Petra Azienda Agricola
Loclità San Lorenzo Alto 131, Suvereto (Livorno)Telefono 0565-845308
www.petrawine.it
Terre da Vino
Via Bergesia 6, Barolo (Cuneo)
www.terredavino.it
Alois Lageder
Tenuta Lowengang, località Magrè (Bolzano)
www.lageder.com
Manincor
Località St Josef am See 4, Caldaro (Bolzano)
www.manincor.com