Giovedì 25 Aprile 2024 - Anno XXII

Nelle Filippine le risaie più alte del mondo

Banaue foto di Magalhães

Montagne simili a gigantesche “zigurrat” che sfiorano il cielo, ricoperte da terrazze d’acqua e di erba: le risaie. Migliaia di chilometri di campi di riso che messi in fila farebbero il giro del mondo

risaie Le montagne terrazzate-di Banawe foto di Caitriana Nicholson
Le montagne terrazzate-di Banawe foto di Caitriana Nicholson

Montagne simili a gigantesche “zigurrat” che sfiorano il cielo, ricoperte da terrazze d’acqua e di erba: le risaie. Migliaia di chilometri di campi di riso che messi in fila farebbero il giro del mondo. Se è vero che tutta l’Asia ne è letteralmente cosparsa, è anche vero che le più alte sono proprio qui, nell’isola filippina di Luzon: strapiombi terrazzati e appesi a montagne che arrivano fino a millesettecento metri; un capolavoro di ingegneria idraulica unico per estensione e difficoltà di costruzione. Per un viaggiatore in vena di romanticismo questo immenso panorama di laghi sospesi, che riflettono un cielo dai colori continuamente differenti, sembra un paesaggio magico. Per esserlo lo è davvero, quasi una mitica Shangri-La; solo che non è stato inventato da qualche scenografo di Hollywood, ma è il risultato di due millenni di sforzi immani di un intero popolo, gli Ifugao, costretto dalla scarsità di suolo coltivabile ad inventarsi un territorio.

Ifugao: abitanti delle colline

risaie popolazioneAbitanti delle colline. Questo significa il loro nome. Probabilmente emigrarono in tempi remoti dall’Indonesia e dalla Birmania e da allora questi ex-cacciatori di teste hanno reso la vita difficile a tutti gli occupanti delle Filippine, dagli spagnoli agli americani, al punto che ancora agli inizi del secolo scorso era estremamente pericoloso avventurarsi in queste vallate. Anche ai nostri giorni i micidiali machete con cui si trastullano, soprattutto se si recano in villaggi di clan rivali, fanno una certa impressione. Però più che le faide, oggi nuovi e più temibili pericoli minacciano gli Ifugao, soprattutto il turismo indiscriminato e i faraonici progetti di sviluppo del governo. Il momento peggiore è stato durante gli ultimi anni della dittatura di Marcos, quando venne progettato un gigantesco lago artificiale che avrebbe sommerso per sempre i villaggi e le risaie di Kalinga Apayo, abitati da circa trentamila persone, poco più a nord delle valli abitate dagli Ifugao. La reazione dei Kalinga fu molto determinata, perché nella stragrande maggioranza non erano disposti a barattare la terra dei loro antenati per pochi soldi destinati a finire molto presto e con la prospettiva di un futuro da sradicati. Molti presero le armi iniziando una guerriglia disperata, fino a giungere ad un accordo con il quale il governo rinunciava, solo temporaneamente però, alla diga.

Turisti, foto e riti tribali fasulli fra i campi di riso
Il Bulol dio del riso Ifugao foto di Shubert Ciencia
Il Bulol dio del riso Ifugao foto di Shubert Ciencia

Il turismo, apparentemente meno pericoloso, può avere in realtà un impatto altrettanto micidiale per il precario equilibrio di questo mondo tribale e già oggi Banawe, capitale della regione delle risaie, è un pessimo esempio di un possibile futuro. Quello che un tempo era un sonnolento villaggio della “Cordillera” che prendeva il suo poetico nome dal “banawol”, un uccello notturno, si è trasformato in un dormitorio turistico pullulante di lodges. Anche perché, per molti visitatori troppo frettolosi, purtroppo il rapporto con questo mondo fantastico si limita allo scatto di una foto ricordo dal “View Point”, un maestoso panorama di terrazze di riso ormai ridotto a quinta teatrale per tristissime “danze tribali” a uso e consumo di obiettivi a caccia di esotismo. E alle spalle degli anziani, ridotti a posare pateticamente con le lance in mano in cambio di una piccola mancia, molte terrazze cominciano a mostrare segni di cedimento, perché i lavori indotti dal turismo sono più redditizi della faticosa manutenzione degli spazi terrazzati.

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Equilibri umani ed ecologici in serio pericolo
Un anziano del popolo Ifugao 
Un anziano del popolo Ifugao

Anche il fragile equilibrio ecologico è pesantemente messo a rischio dall’abbandono del venticinque-trenta per cento del territorio, per non parlare dei cambiamenti climatici. Al punto che l’UNESCO, che nel 1995 aveva dichiarato le risaie primo “Patrimonio Viventedell’Umanità, nel 2001 le ha collocate tra i siti mondiali a rischio. La motivazione è stata che se il governo filippino non avesse intrapreso azioni immediate di tutela, il futuro di questi ventimila ettari di risaie sarebbe risultato troppo precario. Per ora il turismo è l’unica ancora di salvezza, soprattutto per le giovani generazioni schiacciate tra una disoccupazione senza uscite e impossibili sogni di emancipazione sociale.
Ragazzi come Manuel, la mia guida, che sogna di fare l’agronomo e probabilmente finirà come tanti altri: se gli va bene in uno slum di Manila, più probabilmente a fare lavori da schiavo in qualche paese del Golfo Persico. Suo padre invece è un sacerdote tradizionale, guardiano dell’antico mondo Ifugao, ma oramai consumato dall’alcool, probabilmente per la sensazione d’impotenza di fronte al crollo dei valori comunitari. In lui mondo cristiano e animismo convivono senza troppi problemi, scanditi da sacrifici di animali in riti sempre uguali nel tempo e legati al ciclo del riso, base e cemento della civiltà e della cultura Ifugao. Il solo mutamento è dovuto alla minore povertà dei contadini di oggi rispetto ai loro padri; un relativo benessere che si esprime in un maggior numero di animali sacrificati.

Riti sacrali per propiziare i raccolti

I resti degli antenati avvolti in coperte
I resti degli antenati avvolti in coperte

La complessa cosmogonia religiosa Ifugao è fortemente influenzata da un profondo culto degli antenati che anche dopo la morte rimangono vicino ai propri discendenti, in senso letterale, perché le loro ossa avvolte in coperte vengono conservate sotto il tetto delle capanne.
Le divinità più venerate, i “Bulul”, tenute religiosamente chiuse nei granai, proteggono il raccolto dal cui esito dipende tuttora in parte la sopravvivenza delle comunità Ifugao. Qualsiasi mancanza nei loro confronti genera riverente timore per le conseguenze sull’agricoltura e così tutti i momenti di crescita delle piantine di riso sono oggetto di riti propiziatori: dalla semina in febbraio ai grandi sacrifici di ringraziamento, gli “Apuy” che accompagnano il raccolto, in giugno e luglio.
Questo universo, immutato da millenni, esiste ancora. Basta allontanarsi da Banawe, lontano dalle poche piste percorse da quell’assurdo ibrido tra jeep e pulmino che è la “Jeepney”, il più diffuso mezzo di trasporto filippino. Una rete estesissima di sentieri scavati nella giungla e sui fianchi delle montagne raggiunge i villaggi più sperduti, isolati in un mare di terrazze e nascosti dai contrafforti della Cordillera.

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Batad, sull’ultima risaia
Il villaggio di Batad
Il villaggio di Batad

Ma è soprattutto a Batad che il mondo Ifugao trova la sua dimensione più fantastica quando, dopo un’ultima svolta tra ripide scalinate che fiancheggiano gli argini di immense terrazze, si materializza un’isola fiabesca in mezzo a un mare di risaie. L’incantesimo è perfetto: un pugno di capanne dai tetti di paglia ai piedi di una ripida parete, alta centinaia di metri e terrazzata fino alla cima; intorno solo vallate e risaie, nessun segno di strade, automobili o mezzi simili. Avvicinandosi però emerge la realtà; la povertà è evidente.
“Vivono di riso e patate dolci – conferma Manuel – i medici non arrivano fin qui perché venire a piedi è troppo faticoso e non ci sono altri mezzi di trasporto”.
Contrasti che oggi sono ancora più laceranti in un Paese ormai da lungo tempo preda di un’endemica crisi economica come le Filippine, che il lungo periodo coloniale spagnolo prima e il breve colonialismo americano successivamente, (secondo un diffuso proverbio) ha fatto vivere “cinquecento anni in un convento e cinquant’anni a Hollywood”. Al punto che secondo alcuni questo percorso storico avrebbe portato le Filippine a vivere in acque “sbagliate”, paese prevalentemente cattolico in mezzo a un continente buddista, induista o musulmano, creando contraddizioni difficilmente risolvibili. Così oggi, con un livello di povertà che tocca almeno il sessanta per cento della popolazione, il governo filippino può essere spinto a forti compromessi pur di attirare capitali stranieri. Con effetti devastanti sull’armonioso ma fragile equilibrio di queste “architetture del riso” e un futuro così incerto che nemmeno le divinità Bulul saranno probabilmente in grado di proteggere.

Asia: prima nella produzione e nei consumi di riso
Piantagioni di riso foto di Caitriana Nicholson
Piantagioni di riso foto di Caitriana Nicholson

Secondo un’antica leggenda cinese, un giorno un genio, vedendo il suo popolo soffrire per la fame, disperato si strappò tutti i denti lanciandoli in aria e questi ricadendo a terra si trasformarono in chicchi di riso che salvarono dalla morte la popolazione. Ogni paese asiatico ha la sua leggenda sul riso che da più di settemila anni permette l’esistenza di intere nazioni. In Occidente invece il riso è entrato a far parte dell’alimentazione in tempi più recenti, portato in Sicilia dagli Arabi e in Francia dai soldati di Carlo Magno.
In ogni caso i consumi restano molto diversi, perché mentre in Oriente si va dai centocinquanta chili annui a testa degli abitanti del Sud Est asiatico agli ottanta dei giapponesi, gli italiani non hanno mai superato i sette chili pro-capite.
Anche nella produzione ci sono differenze abissali; la Cina produce 176.553.000 tonnellate e l’Italia, che è il maggior produttore europeo, arriva solo a 1.371.000 tonnellate.
Per conservare le migliaia di qualità esistenti nel mondo a Manila è nato l’IRRI, International Rice Research Institute, nei cui laboratori vengono studiate le differenti specie. Oggi il riso, che in Asia è ancora spesso seminato e raccolto a mano, ha forse un futuro “secco”. Ci sono infatti dei progetti di studio per coltivarlo come altre piante, su terreni asciutti.
In Asia, America Latina e Africa questo già avviene, però con risultati assai modesti. Da noi si prevedono rese migliori insieme a vantaggi ambientali con l’eliminazione dei prodotti chimici, utilizzati contro i parassiti acquatici.

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