Operai: vecchi e nuovi americani. Donne comprese
Era un lavoro generazionale quello del macello; un vero destino segnato fin dalla nascita. I suoi protagonisti, solo in minima parte americani. I pionieri dello Union Stock Yard furono, infatti, tedeschi e irlandesi.
A partire dal 1890, si aggiunsero polacchi e lituani, seguiti a ruota dagli abitanti delle piantagioni di cotone, afro-americani che provenivano dal Texas e dall’Arkansas.
Ogni comunità svolgeva dei compiti ben precisi: i messicani seguivano il processo di conservazione delle celle frigorifere, mentre i lavoratori di colore erano dediti al macabro rituale del dissanguamento.
All’interno di questo sistema se ne affiancava un altro: quello femminile. Anche le donne calcavano le scene di questo inferno, svolgendo magari mansioni meno impegnative, non esenti però dal percorrere gli stessi corridoi di sangue e di morte. Circa il venti per cento della forza lavoro impiegata era femminile. Tagliavano il bacon, affumicavano le salsicce e preparavano le confezioni guadagnando dieci centesimi all’ora meno dei loro mariti.
Finirono per ribellarsi, promuovendo una serie di scioperi, indetti a raffica dal 1921 e per molti anni a seguire, sino alla chiusura della fabbrica, avvenuta cinquant’anni dopo.
Lo “yard” venne raso al suolo nel giro di pochi mesi. Tutto fu cancellato di quella fabbrica di sangue perché tutto andava rimosso, tranne una cosa: la porta d’ingresso. Graziata dalla furia del martello pneumatico, assurse ad icona di un’epoca.
Quella porta d’accesso all’inferno che diede lavoro e offrì speranze a generazioni di immigrati e che regalò a Chicago, per quasi un secolo, la fama di “Hog Butcher for the World”.