Si trovano dappertutto. Nel fondovalle come sulle cime più disperatamente alte; nei molti trenini della zona come sulle cabinovie (che qui chiamano “gondole”); sulle teleferiche, sulle seggiovie. Naturalmente, quando arrivano nell’albergo prenotato direttamente dal Giappone, lo trasformano, all’ora della colazione o dei pasti, in una piccolissima Tokyo, o Nagoya, o Kyoto; a scelta.
Grindelwald, una presenza turistica consolidata
Per metterli a loro agio, quest’angolo di Oberland Bernese ha quasi cambiato pelle. Le scritte con ideogrammi affiancano quelle delle solite lingue turistiche: tedesco, inglese, francese, più spagnolo che italiano ecc.; persino le banche hanno l’insegna nella lingua dei Samurai.
I tratti grafici per noi misteriosi si trovano ovunque: nei menù dei ristoranti, nelle offerte di attività sportive e ricreative, nei programmi dettagliati delle molte possibili escursioni. I giapponesi si sono inoltre organizzati in proprio aprendo un ufficio turistico a Grindelwald, per soddisfare le richieste d’assistenza dei loro connazionali. Deve essere un lavoro di assoluto impegno, questo, perché sono ben cinquecentomila ogni anno quelli che lasciano, per periodi brevissimi – sette, dieci giorni di norma – le lontane isole del Pacifico per approdare nel cuore dell’Europa, nella regione della Jungfrau.
Vacanze “concentrate”
Per Grindelwald il turismo giapponese occupa in assoluto il primo posto. E’ una meta irrinunciabile delle loro vacanze. Con quale spirito di sacrificio interpretino questo viaggio, è presto detto. Ci sono giapponesi e coreani che partono da Tokyo o da Seoul atterrando a Zurigo (undici, dodici ore di volo) alle sette del mattino. Da qui, si fiondano direttamente a Grindelwald, sul trenino che porta allo Jungfraujoch, la stazione ferroviaria piů alta d’Europa, con i suoi 3.454 metri sul livello del mare. Pranzo con specialità giapponesi, invio di cartoline con annullo postale ad hoc, ridiscesa e trasferimento in pullman o in treno fino a Berna. Visitina alla capitale e via a Losanna, in tempo per salire sul TGV per Parigi. Nella capitale francese, riescono finalnente a dormire in un letto.
Gli itinerari sono sempre gli stessi, anno dopo anno, con alcune varianti: la Germania e la Via Romantica, Vienna, Parigi, Londra; in alternativa, Venezia, Firenze e Roma.
Scalatori con gli occhi a mandorla
Ma come è nato l’amore dei giapponesi per le montagne della Svizzera centrale? Tutto ha inizio nel 1921, quando il giapponese Yuko Maki, in compagnia di tre famose guide di Grindelwald, riesce a conquistare la Mittellegigrat, la cima nord-orientale dell’Eiger, già oggetto in precedenza di svariati assalti tutti andati a vuoto. Per la gioia del successo conseguito, lo scalatore nipponico fa costruire, a beneficio dell’associazione delle guide alpine del luogo, il rifugio Mittellegihutte.
Altro grande successo nel 1969. Dal 15 luglio al 15 agosto, sei alpinisti venuti dal lontano oriente inaugurano la “direttissima giapponese” e sempre sull’Eiger, ritenuta a ragione la vetta più difficile dell’intero complesso montuoso dell’Oberland Bernese, due loro compatrioti, dal 3 al 9 marzo del 1978, inaugurano la via normale invernale in solitaria. Ovvio che ciò abbia creato un interesse notevole in Giappone, interesse che nel corso degli anni si è sempre più accentuato, sconfinando nella definitiva popolarità quando, nel 1968, l’Imperatore Hirohito in persona visita la regione della Jungfrau, rendendo omaggio alle imprese sportive dei suoi scalatori.
Grindelwald gemellaggi svizzero-giapponesi
Occorreva altro per scatenare un vero e proprio “pellegrinaggio” dal Giappone alla Svizzera? La prova che non si tratti di semplice infatuazione ma di vero amore, risiede nelle cifre delle presenze e nelle iniziative che nel tempo hanno arricchito questo particolare rapporto fra elvetici e nipponici. Ad esempio. Otsu, una cittadina prossima a Kyoto, affacciata sulle rive del lago Biwa (grande più o meno come il nostro Garda), è collegata con gli altri centri rivieraschi da un battello battezzato “Interlaken”, il centro svizzero compreso fra i laghi di Thun e di Brienz. A loro volta gli svizzeri hanno chiamato “Otsu” uno dei treni che uniscono Grindelwald allo Jungfraujoch. Sono parimenti intensi i legami culturali e sportivi fra i due Paesi. Tra questi ultimi, la maratona in salita da Interlaken ai 2.320 metri d’altitudine dell’Eigergletscher, attraverso Lauterbrunnen, Wengen e Kleine Scheidegg, come dire un dislivello di quasi 1.800 metri che mette a dura prova articolazioni e coronarie. In Giappone, la stessa maratona, sempre in salita, viene corsa sulle pendici del famoso vulcano Fuji. Il premio? Chi vince la gara svizzera partecipa “gratis” a quella giapponese e viceversa!
In vetta alla Jungfrau
Rimane il fascino davvero unico della vista superba che si gode, una volta raggiunta la vetta rocciosa che ospita l’Osservatorio Astronomico, sull’immenso catino di neve e di ghiaccio che si allarga ai piedi dell’Eiger (3.970 metri), del Monch (4.099) e della Jungfrau (4.158).
Ma lo spettacolo è due volte interessante se si osserva la gran folla di turisti che dilaga sul bianco della conca, punteggiandolo di cento colori. Non sono poche le scarpette da passeggio o da tennis. Non sono rari i vestiti leggeri e le braghette corte. Per poi scivolare, in qualche caso, in tenute invernali da far invidia alle spedizioni himalayane. Sul ghiacciaio della Jungfrau staziona un elicottero per chi ha da spendere e vuole provare emozioni forti, sfiorando in volo la terribile parete dell’Eiger, sulla quale si aprono finestroni di cristallo per chi compie il tragitto in treno (due stazioncine intermedie) e guarda giù, se non soffre di vertigini. Sempre sul ghiacciaio c’è chi ciabatta con gli sci ai piedi o prende le slitte guidate dai cani huskies, chiamandoli tutti Armaduk. Poi c’è il “fai-da-te” dei giapponesi, che divertono i piccoli sedendosi su un foglio di plastica e lanciandosi, gambe al vento, giù per il pendio. E quando il sole non c’è, o peggio, quando le nuvole basse, la pioggia, la neve, fanno sparire questa meraviglia della natura? Nessun problema.
Souvenir e sculture di ghiaccio
C’è l’interno della montagna, sforacchiata come un gruviera (svizzero), da cento gallerie e passaggi, e c’è il complesso “Top of Europe”, tutto vetri, legni e cemento, sospeso sul bordo del ghiacciaio. Ristoranti, bar, terrazze, sale per conferenze, ufficio postale, e tantissimi negozi: zeppi di coltellini svizzeri, di mucchine di legno, di campanacci d’ogni misura, di bandierine giapponesi, di T-shirt e di maglioni completi di ideogrammi. Non manca un fantastico labirinto scavato nel ghiacciaio. Passaggi e cunicoli che mettono freddo solo a guardarli; ogni tanto sfociano in spazi più ampi, quasi delle piccole piazze, nelle quali campeggiano sculture di tutti i generi. Potevano mancare un enorme Budda, una gentile geisha? I turisti del Sol Levante, specie le donne, emettono gridolini di sorpresa e di gioia e si danno di gomito, soddisfatti.
Il treno nella roccia, orgoglio svizzero
Un nastro inciso in sei lingue (comprese l’italiana e la giapponese), accompagna il fiume umano di visitatori nel tragitto che il trenino compie nelle viscere della montagna. Il tunnel scavato nella roccia è lungo poco più di sette chilometri e va dallo Jungfraujoch alla stazione di Eigergletscher (2.320 metri d’altitudine). E’ stato inaugurato, dopo sedici anni di duro lavoro, il 1° agosto del 1912. Da solo, costituisce l’ottanta per cento dell’intero tragitto d’alta montagna. Il tronco che lo segue per giungere alla stazione di Kleine Scheidegg (2.061 metri), quasi tutto allo scoperto e costruito in soli due anni, era entrato in esercizio il 19 settembre del 1898. Le stazioni intermedie dispongono di binari d’incrocio; quasi sempre, da un treno all’altro in sosta, è un tripudio di saluti giapponesi. Chissà se questi turisti, giunti da un così lontano Paese, al di là della primitiva impresa di Yuko Maki, sanno a chi si deve l’idea – un po’ pazza, ammettiamolo – di progettare una ferrovia elicoidale nel ventre dell’Eiger. Adolf Guyer-Zeller è nome sconosciuto ai più. L’idea risale all’agosto del 1893, pochi anni dopo che la regione di Interlaken si era aperta al turismo internazionale d’élite, in modo particolare alla clientela anglo-americana. Altri tempi; di grandi alberghi lussuosi, di passeggiate in carrozza, di tazze di tè sorseggiate a fil di labbra, di romantici rendez-vous. Mai avrebbe immaginato, l’ingegnere svizzero, che un secolo più tardi una moltitudine di omini gialli avrebbe approfittato del buio del suo tunnel per pisolare, esausta, prima di ritornare a valle. Il pensiero e le residue energie già rivolti agli spostamenti successivi.
Da affrontare in giornata, s’intende.
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