Sabato 20 Aprile 2024 - Anno XXII

Parasole o parapioggia?

Nell’Ottocento e nel Novecento, era uno dei mestieri “porta-a-porta” più diffusi.
Gli ombrellai, quasi una confraternita dal gergo particolare, visitavano città
e paesi riparando e vendendo ombrelli. A Gignese, il loro museo

Un ombrellaio al lavoro agli inizi del Novecento
Un ombrellaio al lavoro agli inizi del Novecento

Al grido di “ombrellé, ombrellaiooo!”, giravano le città col carrettino carico di attrezzi per riparare gli ombrelli. Tornavano al paese una volta all’anno, il primo gennaio, per reclutare un ragazzino che li seguisse come apprendista cui lasciare, in seguito, il mestiere.
Chi faceva fortuna apriva una bottega; chi sfondava, una fabbrica.
Erano gli ombrellai del Vergante, la fascia montana del Verbano posta tra Arona e Baveno, ai quali Iginio Ambrosini, appartenente a un’antica famiglia di ombrellai, una cinquantina di anni fa ha dedicato un museo: l’unico al mondo riservato all’ombrello e al parasole. A Gignese, a settecento metri d’altitudine, fra Stresa e la cima del Mottarone.

Ombrelli d’antan

Interno del museo
Interno del museo

Un ombrello in fibra di cocco con manico intagliato a becco d’aquila; un ombrellino estivo della Belle Epoque con la cupola ricamata a punto sfilato a giorno; bastoni da passeggio anche per signore, impugnature in corno, avorio, porcellana, madreperla, osso, bambù, ebano.
Al pianterreno del museo è tracciata l’evoluzione delle mode che hanno caratterizzato questi accessori. Oltre mille pezzi conservati (di cui circa centocinquanta esposti) tra ombrelli, parasoli e impugnature: dai primi, ricercati parasoli del 1850, piccolissimi con il manico pieghevole in avorio, argento, madreperla e la cupola in seta, raso o pizzo che proteggevano dai raggi invadenti signore d’alto rango, la cui carnagione doveva rimanere bianchissima, a quelli più funzionali di fine Ottocento con cupole di ampie proporzioni.

Piccoli capolavori d’artigianato

Alle corse, 1920
Alle corse, 1920

Dai parapioggia dell’ultimo quarto del XIX secolo con i modelli per la donna emancipata, agli esemplari esotici diffusi dalla fine dell’Ottocento, quando il gusto per l’arte dell’Estremo Oriente imperversava, e ancora i piccoli modelli degli anni Venti del secolo scorso, decorati da disegni geometrici in bianco e nero.
Moderni capolavori sono poi quei frivoli e coloratissimi parasoli realizzati in panno Lenci, con nastri plissettati e bottoni, in uso solo in spiaggia, quando l’abbronzatura femminile era ormai diventata di moda: anni 1920-35.
Al primo piano del museo ci si trova faccia a faccia con le riproduzioni di una cucina e di una bottega di ombrellai; fotografie di antichi negozi, stampe, pubblicità, caricature, fatture e un tabellone che illustra il gergo che avevano elaborato i venditori ambulanti dei pratici arnesi: l’ “altarusc dal lusciat”, il linguaggio dell’ombrellaio.
Ogni anno arrivano in dono al museo nuovi accessori provenienti da tutto il mondo e la collezione cresce.

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