Venerdì 29 Marzo 2024 - Anno XXII

Firenze, l’Officina dei Profumi

Il negozio

Eugenio Alphandery ha la battuta pronta e la cortesia brusca del fiorentino. Si muove sotto le volte affrescate di questa chiesa, sconsacrata da tempo, con la disinvoltura di chi ha passato qui buona parte della sua vita e in queste stanze si sente a casa

officina Eugenio Alphandery
Eugenio Alphandery

Del resto, all’Officina Profumo Farmaceutica di Santa Maria Novella veniva già da bambino, con la severa bisnonna che per tutto il tempo gli ripeteva di non toccare nulla e non far danni.
Poi, per uno di quegli strani scherzi che il destino a volte si diverte a giocare, capita che, mentre lavora altrove come ingegnere meccanico, i suoi vicini di casa gli chiedano se può dare un’occhiata a un vecchio macchinario che non vuole saperne di continuare a fare le sue brave pasticche.
Quei vicini sono gli Stefani, eredi diretti dell’ultimo frate a capo dell’Officina nel 1800. Alphandery ripara la macchina nel vecchio laboratorio, pieno di alambicchi e ricette tramandate, e non se ne va più.
Oggi è un vivace direttore pieno di progetti per il futuro, ma con i piedi ben saldi nel presente e radici profonde nel passato remoto di quella che è una delle più antiche attività sopravvissute a Firenze.
Non che fare a meno del passato sia possibile, tra le mura del negozio storico al numero 16 di Via della Scala a Firenze, a due passi da Piazza di Santa Maria Novella. Basta attraversare il vestibolo blu che precede la sala di vendita – anticamente la chiesa del convento – per rendersene conto: gli stucchi alle pareti, gli affreschi e poi le scansie, i pavimenti, gli antichi vasi, i ritratti dei frati erboristi prima e dei direttori laici poi: tutto racconta di una storia che è ancora presente e ci siede accanto.

Una “fonderia” per fabbricare “acque profumate”

Officina di Santa Maria Novella foto Léna Becker
Le essenze foto-Caroline-Léna-Becker

Le prime testimonianze dell’attività erboristica dei frati domenicani del convento di Santa Maria delle Vigne in Firenze risalgono al 1221, ma bisogna aspettare il 1612 perché l’Officina Farmaceutica nasca ufficialmente.
E’ stato il Granduca di Toscana a farsi promotore della sua creazione, forse in virtù di qualche medicamento particolarmente apprezzato dalla nobiltà fiorentina; concede inoltre a fra’ Marchissi – erborista erudito nei segreti dell’aromaterapia – di fregiare l’Officina del titolo di Fonderia di Sua Altezza Reale.
Di qui in poi la fama dell’Officina cresce, in Italia come all’estero e così quella dei suoi prodotti: l’Acqua anti isteria, “inventata” dallo stesso fra’ Marchissi; l’Acqua di rose, conosciuta fin dal 1300; l’Acqua della regina, creata per Caterina de’ Medici.

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officina Il museo, le maioliche -foto-Sailko
Il museo, le maioliche -foto-Sailko

Nel 1500 la nobildonna porta con sé alla corte di Francia l’esclusiva formulazione, che passa nel 1725 a Colonia per mano di tale Giovanni Paolo Feminis, il quale – producendola – ne cambia il nome nell’attuale e ben più conosciuto Acqua di Colonia.
Fra’ Tommaso Valori, intorno alla metà dell’Ottocento, ottiene la sconsacrazione della chiesa dedicata a San Niccolò: da buon “business man”, capisce che era necessario sfruttare la popolarità dei rimedi e dei prodotti dell’Officina e fa aprire un passaggio sulla strada, l’attuale entrata al negozio.
Con l’incameramento da parte del Comune dei beni di proprietà degli Ordini religiosi (soppressi per volere del neonato Stato italiano), l’Officina rischia di perdere le proprie tradizioni secolari.

Dai direttori religiosi a quelli laici

officina La sala di vendita -foto-Sailko
La sala di vendita -foto-Sailko

Fra’ Damiano Beni interviene appena in tempo e riesce a far in modo che sia il nipote – Cesare Augusto Stefani – ad ereditare attività e direzione dell’Officina. Siamo nel  1866 e l’ultimo frate direttore morirà di lì a tre anni.
Il suo ufficio veglia ancora sulla Sala dell’Erboristeria, riaperta nel 1996 dopo un intervallo di quarantasette anni: un’ampia vetrata si apre tra il soffitto a volta e la parete di fondo, a mostrare una severa scrivania di legno scuro.
Dal suo scranno, il frate direttore controllava il lavoro dei confratelli. Tutt’intorno le vetrine originali del 1612, in cui fanno bella mostra di sé strumenti d’epoca – mortai, alambicchi, piccole pese, barattoli di vetro – e una collezione di vasi di Montelupo.
L’antica sagrestia, invece, è per ora ancora chiusa al pubblico, ma è quasi pronta ad ospitare in via permanente una collezione di libri provenienti dalla Biblioteca dell’Officina: testi di erboristeria, aromaterapia e storia e tecniche dei profumi.
Le pareti affrescate da Mariotto di Nardo, probabilmente intorno al 1385, decorano quella che in origine era la tomba di famiglia degli Acciaiuoli, tra i protettori dell’Officina, il cui pavimento venne successivamente innalzato circa due metri e portato al livello attuale.

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L’Officina, atmosfere tra Medioevo e Rinascimento

Santa Maria Novella-foto-Sailko
Santa Maria Novella-foto-Sailko

Vale la pena chiedere di compiere una visita guidata: si avrà così la possibilità di vedere anche gli antichi strumenti usati nell’Officina, che presto saranno esposti in un vero e proprio Museo degli strumenti.
Da un pesante portone si sbuca proprio di fianco a Santa Maria Novella e la sorpresa è tale che quasi ci si aspetta di udire il fruscio di una veste, mentre un cappuccio indaffarato scantona l’angolo. E’ la stessa sensazione di tempo sospeso che si prova davanti all’enorme bruciatore che domina il cortile della Tisaneria, dove erano fatte asciugare le erbe esauste.
Seduti ai piccoli tavolini di ferro battuto, nel silenzio completo di questo angolo fuori dal tempo e dallo spazio, è divertente scorrere la lista dei prodotti in vendita, poco più in là: i nomi suggestivi riportano davvero a un parlar cortese, a una Firenze colta e misteriosa che palpita ancora sotto le suole delle migliaia di turisti che ogni giorno ne calpestano le vie. Basta saperla ascoltare.

Un occhio alla tradizione, un altro agli affari

officinaAffascinante è anche l’energia di Eugenio Alphandery, che mette mano a tutti i progetti del “concreto romantico” che dice di essere: un agriturismo e una Spa a San Giuliano, appena fuori Firenze, dove oggi c’è lo stabilimento in cui si lavorano materie prime rigorosamente di propria produzione e il sapone si presenta ancora incartato a mano, pezzo per pezzo.
Continue collaborazioni con le università, come quelle già instaurate e collaudate negli ultimi dieci, quindici anni.  Nuove mostre ad hoc e gemellaggi come quelli con la città di Kyoto, per cui è stato creato anche un nuovo profumo e negozi, oltre a quelli già esistenti: tra Italia ed estero sono già ventuno, tutti in franchising.
Altri prodotti, perché se è vero che è stato possibile recuperare con successo antiche ricette perfettamente attuali, è altrettanto vero che un’azienda per sopravvivere deve interpretare i tempi in cui vive. E l’Officina di Santa Maria Novella è proprio così che vuole essere: viva.

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