Domenica 28 Aprile 2024 - Anno XXII

Orvieto, moderna città della “lentezza”

Orvieto

Un’isola rocciosa a metà strada tra Firenze e Roma, a un soffio dal casello autostradale e mezzo minuto in ascensore dal basso. Ecco Orvieto, sul masso tufaceo che sovrasta la piana del fiume Paglia e l’Umbria intera

Il Duomo
Il Duomo

Orvieto, non l’Umbria delle notissime Perugia, Assisi, Gubbio. Ma quella defilata e un po’ snobbata. Quella degli etruschi che ne scavarono la rupe alla ricerca dell’acqua che mancava alla sommità. Quella dove gli americani hanno buttato l’occhio e forse la tenteranno con offerte da capogiro per le sue case medievali; ma per ora è intatta. Bella come il sole, con attorno una campagna punteggiata di casali in pietra e aziende agrituristiche di qualità.

I turisti la visitano già, ma alla giapponese: diretti a una delle due città d’arte che la stringono ai lati. Escono dall’A1 per una toccata e fuga. Visita al duomo, al singolare pozzo di San Patrizio con le due scale elicoidali che non si incontrano mai, shopping lungo corso Cavour e via.

Nemmeno il tempo di assaggiare la gallina ubriaca o lo stufato di cinghiale. Coccolata soprattutto dai romani che sono a un tiro di schioppo, di milanesi non se ne incontrano molti; ma se avete il coraggio di rinunciare per una volta alle Maldive, allora osate, partite per Orvieto. Qualità della vita altissima e ritmi da città postindustriale. Mezzi meccanici di risalita che non inquinano; proposte interessanti per i bambini; produzioni alimentari di qualità; alta tecnologia e cura dell’ambiente.
E se fosse un esempio di sviluppo possibile?

Siamo etruschi
Orvieto pozzo di San Patrizio foto Flickr di Fabio Omero
Orvieto pozzo di San Patrizio foto Flickr di Fabio Omero

Che Orvieto sia stata eretta sul sito di un insediamento etrusco è noto. Meno forse che si trattasse di uno dei più importanti centri della confederazione etrusca. Tra il VI e la metà del III secolo a.C. era conosciuto col nome di Velzna.
“Siamo etruschi, un popolo chiuso, siamo una rocca”, osserva la nostra guida che ne sembra orgogliosa. Già, gli etruschi erano presenti sulla rupe dal VII secolo a.C. e hanno lasciato resti di grande interesse. Le rovine del cosiddetto tempio del Belvedere presso il pozzo di San Patrizio, le numerose testimonianze ipogee. E ancora i reperti nel Museo Archeologico e nel Museo Claudio Faina, entrambi in piazza Duomo. Ai ragazzi la guida propone un coinvolgente percorso interattivo per avvicinarli all’archeologia divertendoli.

Orvieto, necropoli del Crocifisso

Ai margini della città, l’area archeologica di Campo della Fiera. Qui sarebbe stato ubicato il più importante santuario della confederazione etrusca (Fanum Voltumnae). Molto scenografica la necropoli del Crocifisso del Tufo, una delle due città dei morti dell’etrusca Velzna, sulla pendice settentrionale della rupe. Che pare piuttosto una città dei vivi, caratterizzata da un preciso impianto urbanistico con assi viari ortogonali e tombe raggruppate in isolati, costruite con blocchi di tufo squadrati e disposti a secco e coperte con pseudo volte aggettanti. Tombe a camera, a pianta rettangolare la maggior parte, poche a fossa o a cassone, parecchie le piccole sepolture “a cassetta” destinate ai fanciulli.

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Alcuni nomi dei defunti si leggono ancora incisi in caratteri etruschi sugli architravi delle porte d’ingresso. L’insieme delle iscrizioni costituisce una delle più ricche testimonianze epigrafiche dell’Etruria che ha contribuito a ricostruire la composizione sociale della città distrutta dai romani nel 264 a.C. Per i più sportivi, una scalinata sale dalla necropoli alla città alta, sbucando alle spalle di piazza del Popolo, con un panorama di incredibile bellezza.

Quartiere La Cava, un angolo vivo di medioevo
Il Pozzo della Cava
Il Pozzo della Cava

La Cava era il quartiere popolare di Orvieto, che conserva la sua anima e ha aperto anche un sito. Dedicato ai monumenti, ma anche alle tradizioni per valorizzare il rione che gravita intorno a via della Cava, dove vivono anziani depositari del vecchio dialetto orvietano. Si celebrano le antiche feste e con qualche sforzo è stata riaperta la chiesetta della Madonna della Cava che apparteneva alla confraternita dei Fabbri e si è salvata dai restauri di inizio Novecento.
Il nome, la Cava, deriverebbe dall’origine della via tagliata artificialmente nel tufo nel VI secolo a.C., quando era usata appunto come cava: tuttora i suoi poderosi fianchi formano le pareti esterne delle case.

Di fronte alla chiesetta si accede al percorso ipogeo della Cava: il pozzo di trentasei metri di profondità, perfettamente circolare, scavato dagli etruschi e ripristinato per volere di papa Clemente VII – che per fronteggiare l’emergenza idrica in caso di assedi commissionò anche il pozzo di San Patrizio presso la fortezza Albornoz – una fornace di ceramica attiva dal Trecento al Cinquecento, alcuni butti dove sarebbero stati gettati nel Medioevo rifiuti inorganici, una cantina, resti di tombe e una cisterna etruschi.

“Il Medioevo qui è finito negli anni Sessanta del Novecento” attacca Marco Sciarra, animatore della Cava e proprietario, col padre, del pozzo, che al suo quartiere è legato come una tartaruga al guscio. Tanto è forte tra gli abitanti lo spirito di appartenenza alla comunità che ancora oggi si può ascoltare qualcuno che dice: “Vado a Orvieto”, memore di quando la Cava era un borgo in aperta campagna. Un mondo a sé la Cava, che si raggiunge entrando da Porta Maggiore, ingresso occidentale e più antico dell’urbe.

Come se Orvieto fosse “solo” il Duomo
La Cappella di San Brizio Duomo Orvieto
La Cappella di San Brizio Duomo Orvieto

“Orvieto è tutto un entrare e uscire dal tufo, è un groviera”, continua Marco Sciarra. “Se non fosse per le grotte che bucherellano il sottosuolo, il duomo sarebbe parso il più grosso errore di impatto ambientale: un blocco rigidissimo di basalto e travertino in una zona altamente sismica, oltre che un pugno in un occhio in una città di tufo marroncino. L’hanno costruito di pregio, con materiali provenienti da fuori, ma con la rupe non c’entra nulla”.

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Brilla al sole l’imponente facciata della cattedrale tutta mosaici, bassorilievi e bronzi, la cui costruzione si protrasse per oltre duecentocinquant’anni; all’interno uno dei capolavori del Rinascimento italiano, la cappella di San Brizio affrescata da Luca Signorelli.
Che Orvieto non si esaurisca nel suo stupefacente duomo appare palpabile dopo poche ore, nella città umbra. Più rappresentativa dello spirito orvietano è San Giovenale, la chiesa più antica che risale al 1004, defilata, discreta e bellissima.

Orvieto Chiesa di San Giovenale
Chiesa di San Giovenale

Ma soprattutto interessante risulta quello che si nasconde sottoterra: una città intera, un labirinto di cunicoli, scale, gallerie, nicchie, camminamenti e ambienti disposti su più livelli che costituiscono l’altra Orvieto, la città che non vede la luce del sole, dove dall’epoca etrusca fino almeno alla prima guerra mondiale si sono svolte le più disparate attività, come testimoniano i colombari, le cave di pozzolana, i frantoi, i pozzi, le cisterne, le cantine.
E oggi si insinuano ardite scale mobili, tapis roulant e un ascensore che dall’ex Campo della Fiera sbucano al centro del pianoro in via Ripa Medici, scoraggiando il traffico automobilistico nel centro storico (che si raggiunge anche con la funicolare dalla stazione ferroviaria).

Sopra tutto, una gastronomia di “qualità”
Orvieto Palazzo del Gusto
Orvieto Palazzo del Gusto

Acqua cotta, affettati misti di maiale allo stato brado, umbrichelli all’arrabbiata, gnocchi al tartufo, gallina ubriaca, cinghiale in umido, lumachella, accompagnati dalle più celebrate DOC, i rossi “Lago di Corbara” e “Rosso Orvietano” e l’“Orvieto classico”, bianco amabile: ecco cosa propone la buona cucina orvietana.
All’inizio di ottobre d’ogni anno la città celebra i sapori della tradizione, a confronto con altre realtà italiane; “Orvieto con gusto” della città sede inoltre delle Cittàslow (il movimento nato dall’esperienza di Slow Food), dove (quasi) tutti tornano dal lavoro per occuparsi dell’orto e le produzioni alimentari sono di qualità.

Laboratori del gusto, serate golose, dibattiti, incontri in vari luoghi cittadini come il Palazzo del Gusto, centro di cultura e formazione eno-gastronomica nel convento rinascimentale di San Giovanni, che ospita la bellissima Enoteca Regionale dell’Umbria. Ma non è solo l’impegno nel recupero e nella salvaguardia dei valori del gusto a fare di Orvieto una città del buon vivere.

Come di “qualità”, è la vita
Orvieto La funicolare
La Funicolare

Tagliata fuori a suo tempo dallo sviluppo della grande industria, ha puntato sul recupero del proprio patrimonio monumentale, scoraggiando le lavorazioni inquinanti, i fast-food, le insegne vistose e persino il turismo di massa; investendo per contro sul risanamento della rupe, l’arredo urbano, il riuso abitativo del centro storico, le ristrutturazioni in linea con i dettami della bioarchitettura, ma anche sull’alta tecnologia al servizio della qualità della vita. Come nel caso della mobilità alternativa, con un occhio all’ambiente, privilegiando il rapporto tra città e territorio.

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Si va al lavoro in bicicletta, ma niente sonnolenza da provincia, tutt’altro. Una città viva con una programmazione culturale, un centro congressi, corsi universitari e master in archeologia, conservazione dei beni ambientali e architettonici, ingegneria informatica, telecomunicazioni e il progetto di una cittadella universitaria in piena regola. Tanto lo spazio non manca, con quel casermone (ex caserma Piave) che fino a un paio di anni fa ospitava fino a settemila soldati, ora da riutilizzare.

Ceramica o coccio?
Ceramica orvietana
Ceramica orvietana

Il Museo della Ceramica è solo un progetto, per ora. Ma avrebbe un gran senso in questo territorio che dall’epoca etrusca ha fatto della produzione ceramica un’arte, eccellendo nel Trecento, anche se oggi sono pochi i laboratori che riproducono manufatti medievali e rinascimentali (come L’Arpia, in corso Cavour 186, o Anna Spallaccia, vicolo de Dolci 2) o realizzano opere contemporanee originali (Mastropaolo, piazza Duomo 36).

“Il coccio di Ficulle, lo levi dal foco e ancora bulle”; borgo medievale protetto dalle mura a nord di Orvieto, Ficulle sforna terracotta di colorazione maculata verde e marrone: scolapasta, umidiere, stufarole, panate, pignatte, ziri, marmitte, brocche di uso domestico quotidiano (come nel laboratorio di Fabio Fattorini, in via Roma 40, davanti alla chiesa medievale di Santa Maria Vecchia).

Ospitalità e buona tavola
La pasta fatta a mano
La pasta fatta a mano

Agriturismo Tenuta di Corbara
Località Corbara, a meno di dieci chilometri da Orvieto, telefono 0763 304003
www.tenutadicorbara.it –  info@tenutadicorbara.it
Un’azienda agricola di mille e duecento ettari punteggiata da casali in pietra ristrutturati e suddivisi in ampi appartamenti, immersi nella strepitosa campagna e, al centro, il ristorante con piscina.

Itinerari escursionistici a piedi, a cavallo e in bicicletta, degustazioni, visita guidata all’area archeologica di Pagliano, porto romano alla confluenza tra il Tevere e il Paglia, dal quale ci sarebbe voluta appena un’ora via nave per Roma (il tempo che ci si impiega oggi da casello a casello dell’autostrada). Valido rapporto qualità-prezzo.

Ristorante Antico Bucchero – Via de’ Cartari 4, telefono 0763 341725. Lombrichelli al Bucchero (ovvero alle briciole di pane “sciapo”) pappardelle alla lepre, tagliatelle al ragù di coniglio, cinghiale stufato al vino, petto d’anatra al pepe verde, rollé di coniglio, budino al rosolio di mandorle, spuma al torrone.

Ristorante Antica Cantina – Piazza Monaldeschi 18-19, telefono  0763 344746. Affettati misti di maiale allo stato brado, crostini e bruschette, umbrichelli alla norcina, bistecca scottata, coscio di maialino aromatizzato.

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