Scilla stasera è arrabbiata. Piove forte e le strade sono pozzanghere in piena.
Azzurre le barche nel porto minuscolo non sembrano più, ma nere; e le case grigie tutte attaccate l’una all’altra, in questa darsena deserta. Basse le costruzioni e basso il cielo, che cade adesso ancora più vicino. I lampi e il torrente che avvolge me che passo, e mi muovo fradicia ma sempre più leggera.
La mia vita era un disastro, fino a mezz’ora fa. Un peso di polvere soffocante che mi faceva male e tutto non trovava soluzione. Io fallita in ogni scelta, che avevo perso anche una forma di speranza blanda che mi scagionasse da tutti questi sbagli.
Poi stamattina ho preso l’aereo per venire qui a fare un lavoro mal pagato e indesiderato, che assomiglia un po’ a quello che vorrei fare, ma è un parente lontano, che forse sarebbe opportuno smettere di frequentare.
La meta. Un pretesto
Atterro a Reggio Calabria in una pista di fulmini lampi e tormenta e l’ala del velivolo tocca terra facendo scintille. Pensavo di morire e per questo non ho respirato, come tutti i passeggeri intorno. Ci siamo fermati sudati come se l’aeroplano l’avessimo trattenuto a forza di braccia e non con la mente soltanto.
Mi aspettava una signora con l’ombrello, ma ormai non c’era niente da riparare. Mi ha portato qui.
Salgo alla fortezza, con improvvise fontane di pioggia che sgorgano da quasi ogni pietra.
Il luogo suggerisce una vista che spazia lontanissimo, ma vedo solo il temporale.
Un mio limite, non vedere oltre per via di impedimenti temporanei. Mi ha compresso nei passi e nei pensieri, ma solo fino a oggi.
Scilla e il ristorante sul mare
Sotto, una baia di sabbia che si inarca aperta agli scogli, dolcissima. Alle sue spalle i muri grigi dai piedi sommersi. Ci torno come so, scivolando con scarpe inadatte. Passo ancora tra le case e le barche di un paese di pescatori che certo non sarà più da anni un paese di pescatori.
Che stanchezza questi posti poetici fatti per appagare occhi annoiati che non sanno più distinguere il vero dall’artefatto, gli artefatti costruiti in forma di vero. Però per una volta mi voglio fidare di questa apparenza che non pare finta, e se non è così oggi, facciamo pure che non mi interessa.
Un ristorante sul mare, di cui non guardo il nome. Un’insalata di piovra calda, riconciliante. Una bottiglia di vino buono che si chiama Critone, come il filosofo greco. Critone, come il dialogo di Platone in cui tutti se la raccontano, mezzo bicchiere in una sala dove c’è silenzio. Vuol dire che diventerò saggia, almeno per un po’?
Il sole. Domani
Questa Scilla doveva essere la mia nemesi, il mostro dal quale volontariamente volevo farmi divorare per smetterla, e invece mi sta traghettando verso la salvezza.
Speravo che sarei stata tranquilla, in una calma senza sole e senza pioggia. Però la pioggia finisce adesso e la notte si apre, per cui domani ci sarà il sole.
Com’è questo posto con il sole? Immagino meraviglioso, con le case azzurre e il cielo azzurro e il mare pure, ma non resterò a vedere, perché adesso devo andare.
Non attraverserò più un posto senza pensare di lasciare una traccia, né senza farmi tracciare.
Non con la volontà di modificare e imprimere il mio passaggio con piedi pesanti, ma con quella di provare a esistere con intenzione. Ho pensato a lungo di arrendermi e lasciar perdere, di ritirarmi nel mondo dei sogni infranti. Scilla mi tira indietro con potenza dal mio proposito e adesso ho voglia di finire il pesce, di gustare il vino, di uscire a passeggiare. Non si può trovare la pace sottraendosi alla vita.
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