L’ingresso principale del Kew Gardens si apre in direzione del ponte che prende il nome da questi straordinari giardini. In mezzo, centoventun ettari di meraviglie, inserite nel 2003 nella lista dell’Unesco dei World Heritage Sites e tre secoli di storia; anno più, anno meno.
Regali passioni botaniche
Tutto ha inizio quando, nel 1718, i futuri re Giorgio II e la regina Carolina vanno a vivere in un palazzo sulle rive del Tamigi, dando al luogo un nuovo nome: Richmond Lodge.
Qualche decennio più tardi il figlio Federico, principe di Galles, sposa Augusta di Saxe-Gotha e si trasferisce con lei in un palazzo vicino a quello che oggi conosciamo come Kew Palace.
Entrambi appassionati di giardini e di botanica, si adoperano per immaginare luoghi verdi di piante rare, abbelliti da statue, voliere per uccelli esotici, fontane, giardini d’inverno, piccoli laghi e giochi d’acqua.
Nasce così il progetto originario, portato poi avanti dalla principessa Augusta, rimasta vedova, dei Giardini Botanici Reali di Kew.
Molte sono state le grandi menti coinvolte in questo straordinario progetto: l’allora giovane architetto Chambers, diventato poi famoso come architetto reale in Gran Bretagna e all’estero; Sir Banks che unisce i Kew Gardens ai giardini di Richmond e se ne prende cura e poi Sir Hooker che li riporta allo splendore e li trasforma nel luogo da fiaba che sono oggi.
Di quei secoli lontani restano tante memorie: il gruppo di alberi piantati non lontani dall’entrata principale nel 1762, per esempio, e ribattezzati “i vecchi leoni”; o le rovine dell’arco progettato da Chambers; spunta all’improvviso da una cortina di verde e ci si aspetterebbe di trovarvi anche le fanciulle passionali e un po’ scarmigliate dei romanzi di Jane Austen, mentre gli ellebori crescono come per caso lì intorno.
Meraviglie delle quattro stagioni
Chissà, forse il fascino profondo dei giardini del Kew Gardens risiede proprio nel loro essere senza tempo, mentre le stagioni si susseguono incuranti di ogni cosa che non sia il fiorire delle clematidi invernali (Clematis cirrhosa) o delle rose di natale, come vengono spesso chiamati gli ellebori (Helleborus niger). La primavera, si accende di oltre due milioni di croco bianchi e lilla, che tappezzano i prati tra l’entrata Victoria Gate e il Tempio di Re Guglielmo; di camelie rosa e color di fiamma; di narcisi dorati e magnolie color panna screziate di porpora.
Poche settimane di glorioso risveglio e si scivola verso l’estate che profuma di lavanda rosa e blu (Lavandola stoechas) di frangipani (Plumeria rubra) e peonie odorose, di ibischi e dei giganteschi gigli d’acqua che tanto sorpresero i visitatori ai tempi della Regina Vittoria.
Poi l’autunno, con il susseguirsi di colori che è come un ultimo canto prima del torpore invernale, quando ci si rifugia grati nei tanti edifici bellissimi che punteggiano il parco.
In effetti, qualunque sia la stagione in cui si decida di vistare i Kew Gardens, si deve solo scegliere quanto tempo dedicar loro e cosa visitare. Si può decidere di andarsene a zonzo per i viali e incappare in modo per così dire naturale in questo o quello, oppure cercare di seguire un tracciato, un sentiero, che porti almeno ad alcuni degli appuntamenti cui non si può davvero rinunciare.
Il mondo verde in un giardino
Uno di questi è senz’altro la Temperate House, simbolo dei Kew Gardens. Uno spettacolo di vetro e ferro verniciato di bianco iniziato nel 1860 completato con l’ala nord nel 1898. Rimasta a lungo la serra più grande al mondo, è ancora oggi la più imponente tra quelle sopravvissute in stile vittoriano. All’interno, microclimi ricreati alla perfezione, fanno sì che si passi con disinvoltura da una collezione di piante australiane e africane a una di limoni, da una pianta del te (Camelia sinensis) a una di chinino (Cinchona).
Più piccola, ma altrettanto affascinante, la Palm House, con il suo habitat tropicale e le piante di caffè, pepe, cocco e canna da zucchero.
Anche qui piccoli laghetti popolati da enormi e panciuti pesci rossi, scale a chiocciola che salgono verso un piccolo camminatoio che corre intorno alle strutture. Di lì, tutto cambia.
La Grande Pagoda
Fuori ci aspettano scoiattoli grassocci e per nulla timidi, uccelli, anatre e pettirossi curiosi. Ci aspettano la Princess of Wales Conservatory, con le orchidee aggrappate al nulla e le foglie di un ibrido di giglio d’acqua amazzonico (Victoria amazonica “Longwood Hybrid”) che arriva a misurare due metri di larghezza, le felci giganti e le piante carnivore. Ecco la Pagoda cinese e il Giardino zen, con i suoi delicati ghirigori di ghiaia. Ecco i roseti, il giardino di gigli, quello di fiori d’acqua, il giardino di bambù, quello roccioso con le cascate d’acqua che rimbalzano sulla pietra.
Ma è bello restare un poco lassù, distanti dal chiacchiericcio delle scolaresche che vengono portate qui in gita, nella luce chiara che inonda gli alberi. Improvvisamente così prossimi e misteriosi, così vivi.
Leggi anche: