Venerdì 19 Aprile 2024 - Anno XXII

Dharamsala, la little Lhasa dell’India

Arrivare a Dharamsala è quasi come uscire dall’India. A ragione viene chiamata Little Lhasa. Il caos delle città indiane è mitigato dalla pace buddista. È come se la presenza di Sua Santità il Dalai Lama, che vi si è rifugiato nel 1959, influisse sugli abitanti.
Qui vive la più importante comunità di esuli tibetani in India ed ha sede il parlamento tibetano in esilio. I più vecchi, settantenni rugosi che non abbandonano i vestiti tradizionali, hanno vissuto l’occupazione cinese del Tibet in prima persona. I più giovani, coloro che nascono e crescono in India, non hanno mai visto la terra dei loro padri.
Passeggiando a Dharamsala difficilmente si vedono i colorati sari delle donne indiane, ma l’attenzione viene catturata dal rosso dei vestiti dei monaci buddisti. Il tempo è scandito dai rintocchi delle campane del monastero che chiamano i religiosi in preghiera. E dal battito di mani mentre gli stessi monaci, la sera al tempio, dibattono sugli insegnamenti del buddismo.
Alzando gli occhi al cielo si vedono le colorate bandiere di preghiera che si stagliano contro il cielo. Sullo sfondo le nevi dei primi contrafforti himalayani ricordano agli esuli la loro patria.
Con un po’ di fortuna si può vedere il Dalai Lama e ricevere un po’ della sua pace interiore tramite il suo cenno di saluto. Oppure partecipare alle lezioni pubbliche che tiene quando non è in viaggio, sedendo a terra tra una moltitudine di monaci. Seguendo il sentiero attorno al tempio si cammina tra gli alberi sui quali sono appese centinaia di bandiere di preghiera. Lungo il tracciato i mantra sono scolpiti sulle rocce dipinte di bianco e sulle ruote di preghiera e ripetuti senza sosta dai monaci che le fanno girare. È facile, così, immergersi in una dimensione spirituale, meditativa e contemplativa.