Martedì 7 Maggio 2024 - Anno XXII

Kerala, la magia del Kathakali

Una rappresentazione antica a affascinante che si collega a rituali animistici indigeni e al teatro classico Sanscrito. Felice connubio fra danza e recitazione mimata, il Kathakali oppone da sempre le forze del bene a quelle del male

Reti da pesca, Fort Cochin, Kerala
Reti da pesca, Fort Cochin, Kerala

Dal giardino dello splendido hotel Malabar, sulla baia di Cochin, si assiste a un duplice spettacolo: la marea che monta – e l’onda di piena fa traballare le piccole imbarcazioni che l’incrociano – e il via vai incessante di nerissimi corvi.
L’India è il paese dei corvi, ce ne sono dappertutto. Qui, sulle coste del Kerala, sembrano più numerosi che altrove.
Comincia il tramonto che a queste latitudini (8° sopra l’equatore) dura ben poco; si passa da un cielo luminoso a uno scuro nel volgere di pochi minuti. Ed è col primo buio che arriva il taxi col mio accompagnatore. E’ domenica, ma la disponibilità di Manmàdhan Alappatt non conosce riposo. Dobbiamo trasferirci a Ernakulam, uno dei molti “borghi” che compongono il vasto agglomerato urbano di Cochin.
L’autista è un tipo grassoccio e tranquillo che si destreggia a meraviglia nel traffico incredibile e chiassoso della città. E’ difficile orientarsi, a Cochin; le terre basse e le acque si contendono lo spazio disponibile ed è altrettanto difficile, passando sopra i ponti che collegano gli isolotti alla terraferma, capire verso quale punto cardinale ci si stia muovendo. Ma poi, mi dico, che importanza ha tutto questo “voler capire”? Mi concentro allora sull’inglese velocissimo e agglutinato di Manmàdhan che scivola sull’onda di un cantilenante Malayalam, l’idioma ufficiale, con l’Hindi, di questa parte del sub-continente indiano. Pare che avvoltolino la lingua nella bocca, quando parlano; i suoni che ne escono danno davvero l’impressione di “rotolare”, a velocità vertiginosa, sulle labbra. 

Nel traffico di Cochin

I caratteristici tuk, i taxi a Chochin
I caratteristici tuk, i taxi a Chochin

L’autista non fa una piega. Pigiando più sul clacson che sui pedali (sport nazionale, in India) schiva con perizia autobus colmi all’inverosimile di gente, ciclisti allampanati, carretti della frutta, vacche, capre e semplici pedoni. Ogni tanto si passa sotto un arco di cartone e di fiori; resto di una processione, di una festa religiosa, spiega Manmàdhan.
Cochin nasce come Koo-Chi (piccola città) quando nel 1500 i cinesi sbarcano sulle coste del Malabar.
Sulle lagune, sui fiumi, sui canali, sulle baie stagnanti della zona, dette “backwaters” (acque interne), arrivano poi i portoghesi. Vasco da Gama trova qui la sua prima sepoltura, prima di essere traslato in Portogallo.
Dopo i cinesi, ecco tedeschi, olandesi, francesi. Dal XVIII secolo, il controllo della zona e dell’India intera viene assunto dagli inglesi. Nel 1750 Trivandrum, in lingua Malayalam “Thiruvananthapuram” (città del serpente sacro Anantha) per decisione del Raja Marthanda Varma, diviene capitale del Kerala.

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La vegetazione lussureggiante del Malabar
La vegetazione lussureggiante del Malabar

Città di origine dravidica Cochin, nel corso dei secoli, ha assorbito con disinvoltura minoranze indoeuropee, arabe, cinesi, malesi. Allo stesso modo ha permesso, con encomiabile spirito di tolleranza, la convivenza fra credi religiosi diversi. Basta guardarsi attorno.
C’è un quartiere ebraico, con relativa sinagoga, a Mattancherry. Ci sono chiese cattoliche, protestanti, templi indù e luoghi di preghiera per i musulmani. Tutto ciò in un vero e proprio paradiso tropicale. La costa del Malabar è famosa per la sua vegetazione lussureggiante, per i suoi altissimi alberi di cocco. Poi produce banane, manghi, tè, caffè.
Gli alberi del caucciù sono comuni, forse messi a dimora dai malesi. E poi le spezie: pepe, cardamomo, zenzero, coriandolo, curcuma, semi di papavero, noce moscata. Alcune di queste spezie, sapientemente miscelate, danno il curry, parola inglese che proviene da quella indiana  “kari” (salsa speziata).
Il naso, lasciato libero di fiutare, fa a gara con gli occhi. Il primo si inebria di profumi, di odori e, perché no, anche dell’afrore di un’umanità in perenne movimento. I secondi, roteando in continuazione, cercano di non perdere un solo fotogramma del grandioso film vivente che stimola le retine. Un ottimo allenamento, quello degli occhi, per lo spettacolo del Kathakali cui sono stato invitato. 

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