A guardare la facciata giallo-ocra del piccolo municipio di Loreto, proprio non ci si crede: “Capital historica de Las Californias”, recita orgogliosamente una scritta; anche se di “Californias” ce ne sono tante, a nord e a sud della “Linea”, il confine con il Messico.
La scritta, posta sulla testa di un poliziotto che sembra dormire in piedi sul balcone, si riferisce a diverse “Californias”.
Si va da quella a stelle e strisce di Los Angeles, che trasuda dollari e autostrade; a quella di Tijuana tutta “tequila, sexo y marijuana” cantata da Manu Chao; per finire a Los Cabos, dove i “gringos” si raccontano mirabolanti storie di pesca al marlin sorseggiando margaritas davanti a muraglie di condomini-alveare.
Baja California un nulla tra Stati Uniti e Messico
Il meglio si trova proprio in mezzo ai 1.694 chilometri della “Mexico 1”. La spina dorsale d’asfalto che taglia una sottile striscia di granito appesa al continente americano, la Baja California. Questo strano posto, che non è più Stati Uniti ma non è ancora Messico.
Chilometri che tagliano come un coltello pianure che sembrano puntaspilli irti di cactus; vecchie pompe di benzina e volti, gente che, paracadutata in questo nulla, passando si è fermata per sempre. E alla fine, quando meno te lo aspetti, l’ennesimo canyon si spalanca su una pianura segnata dal vecchio campanile spagnolo che sembra ancora proteggere Loreto, sonnolenta cittadina adagiata lungo lingue di mare color turchese che si insinuano tra un labirinto di isole e promontori.
Las Californias di Padre Juan Maria Salvatierra
La corsa all’oro della California, Hollywood, Silicon Valley, hanno le loro origini proprio qui. Padre Juan Maria Salvatierra, un gesuita testardo nato a Milano nel 1648, diede il via alla colonizzazione di quella che allora era ancora considerata un’isola.
Ci avevano provato in tanti a sbarcare nella misteriosa California e il primo era stato il solito Hernàn Cortés appena aveva sentito parlare di un regno “d’oro, perle e amazzoni”; ma dopo undici anni di tentativi e decine di navi perse, aveva dovuto accettare la dura realtà. L’oro non c’era, le amazzoni neppure e le perle bisognava conquistarsele in un clima infernale, la “calida fornax” da cui deriva il nome California. A Cortés restò solo la magra soddisfazione di dare il suo nome a quello che più propriamente avrebbe potuto chiamarsi “Mar del Desencanto”.
Così il 15 ottobre 1697, con un piccolo battello e sei soldati spagnoli, padre Salvatierra sbarcava a Bahia Concepciòn e pochi giorni dopo fondava la missione di Loreto Conchò, “testa e madre di tutte le missioni delle Californie”. Prete, capitano, guida e se necessario anche cuoco “L’apostolo della California”, che aveva ottenuto i pieni poteri per governare i nuovi insediamenti, si occupava di tutto, attribuiva cariche e fondava scuole.
In pochi anni aveva fondato sei missioni, compiendo importanti esplorazioni, anche se nel frattempo proprio quegli indios che voleva evangelizzare si erano rapidamente estinti, stroncati da epidemie e denutrizione.
Baja California: altre missioni verso nord
Due anni dopo la fondazione di Loreto un altro italiano, padre Piccolo, aveva fondato la seconda missione oltre la quinta di montagne rosse della “Sierra de la Giganta” che incombe su Loreto, San Francisco Javier. Ancora oggi, più che un villaggio, è un luogo immaginario perso lungo i tornanti dell’antico “Camino Real” che si srotola tra gli strapiombi della Sierra. Solo alla fine, quando pensi che sia solo un miraggio, il campanile della vecchia missione spunta tra le palme di un’oasi persa nel silenzio della montagna.
Un luogo solitario, immerso in un paesaggio di cactus dalle forme extraterrestri, dove l’interno spoglio della chiesa sembra ancora risuonare dei passi metallici dei conquistadores. Era l’inizio dell’antica strada delle missioni della California. Da qui le spedizioni si spingevano sempre più a nord, fondando un rosario di chiese sgranate attraverso deserti e catene di montagne. Un’opera che dopo la cacciata dei gesuiti dall’America Latina sarebbe stata continuata dai domenicani e dai francescani, fino ad arrivare a Sonoma, a nord di San Francisco.
Baja California: natura fantasmagorica
Dopo di loro ci sono passati in molti da queste parti, cercatori di perle, avventurieri d’ogni risma e hippies americani in cerca esotismo. Hanno lasciato tutti poche tracce: è la natura a dominare incontrastata la Baja con i suoi colori esagerati, il rosso ruggine delle montagne, i gialli e i verdi dei cactus. C’è anche il colore blu profondo del “Mar de Cortés” che proprio davanti a Loreto nasconde un’isola. È Coronado, l’isola dalle due anime. Quella aspra di leoni marini e rocce vulcaniche dalle forme impossibili che sembrano ricalcare le grandi onde; l’altra, una baia dai colori caraibici, di acqua verde smeraldo inquadrata da una mezzaluna di sabbia bianco accecante.
Un mare che poco più a nord si inventa quaranta chilometri di insenature e strisce di sabbia da capogiro. Bahia Concepciòn, una distesa blu macchiata dal verde dei cactus “saguaro”. Finisce nello sterminato palmeto di Mulegé, dominato dall’immancabile missione da dove la Mexico 1 prosegue verso nord, punteggiata da giganteschi trailers argentati made in Usa e dagli operai della “Patrulla Fibra Optica”, che arrancano nell’impossibile impresa di mantenere in efficienza il sistema di fibre ottiche che cabla tutta la penisola. In alto, appollaiati sui cactus, imperturbabili “zopilotes”, gli immancabili avvoltoi, sembrano aspettare il tuo prossimo colpo di sonno.
Rame “francese” nella Baja California
Dopo un paio d’ore compare un’allucinazione, una vecchia locomotiva circondata da case dagli squillanti colori caraibici.
Insieme a un’improbabile panetteria che sforna fantastiche “baguettes” e alla chiesetta in ferro progettata da Eiffel, proprio quello della torre, è tutto quello che rimane di una strana avventura coloniale. Qui c’era il rame, una montagna di rame, e così nel 1885 il dittatore Porfirio Diaz invitò una compagnia mineraria francese. Loro dovevano costruire una città e un porto e Don Porfirio metteva la manodopera, praticamente gratis, visto che si trattava di “indios yaquis” deportati. Dopo una sessantina d’anni il rame è finito e i francesi se ne sono andati, lasciando chiesa, locomotive e il profumo delle baguettes.
Il cuore della Baja è così, uno spazio infinito dove le montagne hanno il colore della ruggine e i cactus tutte le sfumature del giallo e del verde; un luogo di passaggio per molti, un luogo dove vivere per pochi. Magari all’ombra della vecchia missione di San Ignacio, che al calar della sera sembra una sagoma di cartapesta contro un cielo color carbone, in attesa di un temporale che probabilmente non arriverà mai.
Nel nome e nel lavoro di Padre Salvatierra
Qui i soliti gesuiti trasformarono una valle arida nel cuore del deserto Vizcaino in un’improbabile oasi sahariana, piantando ottantamila palme da dattero. Così, proprio il filo rosso dell’antico Camino Real, che riaffiora qua e là nei canyon più profondi o nei pressi delle antiche missioni, è la vera anima della Baja.
Perché per i gesuiti, fondare una missione, non significava solo tirar su le mura di una chiesa, significava soprattutto organizzare un insediamento umano e sperimentare nuove coltivazioni, dall’ulivo agli aranci, dalle fragole al grano.
Questa, più che un pugno di vecchie chiese spagnole calcinate dal sole, è la vera eredità di Salvatierra; la storia, quasi sconosciuta in Italia, del milanese che ha inventato Las Californias.
Le Balene della Baja California
“L’unico luogo al mondo dove osservare da vicino le balene nel loro ambiente naturale”, recita uno slogan turistico della Baja.
La laguna “Ojo de Liebre”, a pochi chilometri da Guerrero Negro, è famosa per la presenza delle balene grigie. Ma questo non è l’unico posto della Baja dove osservare questi grandi mammiferi nell’intimità, da gennaio ad aprile. Bahia Magdalena, raggiungibile da Loreto, e la Laguna San Ignacio, a sessantun chilometri dall’omonimo paese, sono altre zone importanti, e meno turistiche, di riproduzione della balena grigia.
Dopo quasi un secolo di caccia spietata, solo un accordo internazionale salvò nel 1938 questi cetacei dall’estinzione. Oggi circa diciottomila balene scendono ogni anno dallo stretto di Bering per accoppiarsi e partorire nelle lagune calde e salate della Baja California, dopo un viaggio di oltre seimila chilometri, la più lunga migrazione di un mammifero e una gestazione di tredici mesi.
Il modo migliore per ammirare le balene mentre fanno capriole con i loro cuccioli è noleggiare una “panga”, la tipica lancia dei pescatori locali. Alcuni di loro hanno seguito corsi di addestramento negli USA per imparare ad avvicinare le balene senza disturbarle, in modo che siano gli animali stessi a compiere la “prima mossa”.
Il paradiso dei Cactus
Lo scenario naturale in cui si aggirava padre Salvatierra, era l’estremo lembo meridionale del deserto di Sonora, il più grande deserto americano, esteso per oltre duecentosessantamila chilometri quadrati, dall’Arizona alla Baja California. Uno dei più affascinanti ecosistemi del mondo, con un’estrema varietà di habitat: dalle foreste di conifere a zone di vegetazione tipicamente tropicali. Tra le oltre duemila specie vegetali spiccano i cactus, di ogni foggia e dimensione. I più famosi sono i “Cirio, Idria Columbus” per i botanici, simili a giganteschi tentacoli che si alzano verso il cielo; cactus che si riproducono solo in Baja California, in una zona di non oltre trecento chilometri tra la Sierra di San Pedro Martir e il vulcano Tres Virgines.
Alti fino a una ventina di metri, crescono in modo anomalo e possono passare anni prima che si produca un’altra ondata di nascite, per qualche concatenazione di cause a noi ancora sconosciuta.
Nella Baja oltre ai Cirio, c’è un’infinità di altre varietà di cactus, dai grandi Saguaro a candelabro agli Ocotillo dai lunghi rami sottili, alle Yucca, sormontate da una palla di spine, fino ai Cholla caratterizzati da lunghe e micidiali spine. Spesso i loro nomi sono intraducibili, perché queste piante crescono solo qui, in questo gigantesco giardino naturale dove la fantasia supera ogni immaginazione.
Come spostarsi e dove alloggiare
Spostarsi
Gli autobus sono diffusissimi e molto confortevoli; per noleggiare un’auto è necessaria
la patente italiana (e una carta di credito per non pagare cauzioni astronomiche).
Dove alloggiare
In Baja California gli hotel sono generalmente confortevoli ma piuttosto anonimi, con alcune piacevoli eccezioni.
La Posada de las Flores di Loreto, proprio sullo zocalo di fronte al municipio è stata progettata e costruita come una tipica hacienda coloniale messicana. Dalla piscina sul tetto si gode una vista spettacolare sull’antica missione, sulla vicina Sierra de la Giganta e sulle isole del Mar di Cortés.
A nord di Mulegé, a Punta Chivato, c’è un’altra Posada de las Flores, raggiungibile con una pista che si stacca dalla “Mexico 1”; un vero e proprio paradiso solitario affacciato sul mare.
Una soluzione più economica è lo storico Hotel Francés di Santa Rosalia che risale al 1886, tra le mura di legno si respira l’atmosfera dell’epopea delle miniere di rame.
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