Ambiziosa e affascinante è la mostra che rende omaggio a Piero della Francesca, artista principe dell’arte rinascimentale. Fino al 22 luglio sono state riunite al Museo nazionale d’arte medievale e moderna di Arezzo un centinaio di opere, alcune ricondotte in città per l’occasione, oltre a lavori di artisti che lo influenzarono o che attinsero alla sua lezione. Parliamo di Domenico Veneziano, Fra Carnevale, Pisanello, Leon Battista Alberti, Bono da Ferrara, Jacopo Bellini, Luca Signorelli, Rogier Van der Weyden, Pietro Perugino, Melozzo da Forlì, Lorenzo da Viterbo, Antoniazzo Romano.
La mostra, però, non si esaurisce al museo che affronta la presenza di Piero nelle corti a partire da Ferrara a Rimini a Roma, Perugia, Firenze e Urbino. Si tratta invece di un percorso con tappa in San Francesco ad Arezzo, nella sua casa di Sansepolcro e a Monterchi.
“È una mostra concepita per presentare uno dei più grossi restauri del
secolo scorso, il restauro della Leggenda della Vera Croce in San
Francesco di Arezzo, durato 16 anni e che ha riguardato uno dei
capolavori della pittura europea”, racconta a Mondointasca Carlo
Bertelli, curatore della mostra e autore di monografie dedicate
all’artista, insieme a Giangiacomo Martines e Antonio Paolucci.
“L’idea che è venuta a tutti noi – spiega – è quella di affrontare il tema delle corti, perché in questo modo si sottolinea un’ambivalenza di Piero: il suo radicamento nel territorio (infatti il programma della mostra è stato chiamato Terre di Piero) e nello stesso tempo la sua presenza nelle corti e la grande influenza che esercitò nell’arte italiana”.
Nel tempo trascorso dal restauro (cioè dal 1992) ad oggi, sono state fatte parecchie scoperte. “Oggi sappiamo che Piero era nel 1450 ad Ancona – riferisce Bertelli – ed è stato anche a Modena, a Bologna, anche se in queste ultime due città non abbiamo tracce del suo lavoro. Questo ci spiega come mai Piero così precocemente abbia influito sulla pittura modenese e bolognese, prima di essere a Ferrara e divenire una figura principe nella prima fase della pittura ferrarese”.
Il problema principale nell’immaginare una mostra del genere era
l’assenza di tracce, di ciò che Piero fece quando era a Roma e fu sotto
Nicolò V e Pio II dal 1455 al 1459, e quando era a Ferrara dove ciò che
fece venne distrutto, e ad Ancona. Solo a Rimini è rimasto un affresco
e nient’altro.
“Quindi – sostiene Bertelli – era difficile fare una mostra di riflessi. Inoltre, un altro problema era quello di sapere dove Piero avesse imparato. Non di sicuro a San Sepolcro, che era una comunità molto modesta. Effettivamente doveva aver imparato a Firenze. Una grande fortuna per l’esposizione è stato ritrovare un dipinto della giovinezza di Piero – adesso in America, ma che abbiamo esposto – che risale al 1435, cioè quattro anni prima della documentazione della sua presenza a Firenze. Attraverso questo dato possiamo ipotizzare che la personalità di Piero si configura molto presto. Inoltre, abbiamo motivo di credere che la data di nascita più probabile sia il 1412. E se si pensa che morì nel 1492 si può osservare che Piero ha avuto una vita lunga: ben 80 anni in cui ha sempre lavorato, come pittore o, come negli ultimi tempi, in qualità di teorico”.
In mostra, infatti, vi è un codice di Archimede “Il trattato sulle spirali”, scoperto recentemente, scritto a mano da Piero. “Significa – rivela il critico – che Piero conosceva il latino ed era in grado non solo di copiare il trattato ma anche di illustrarlo; era capace di capire il problema, individuare i diagrammi e le misure precise corrispondenti ai teoremi di Archimede”. In mostra vi è anche la tavola del 1435, di grande interesse non solo sul fronte ma anche su retro “dove – racconta Bertelli – c’è un progetto di tarsia prospettica. Questo ci indica che Piero nel ’35 a Firenze è tra gli iniziatori della nuova fase di ricerca prospettica attraverso le tarsie.