Da rituale e forse un po’ distratto gesto quotidiano, il gesto di spezzare il pane si trasforma in narrazione di segreti della millenaria civiltà dei campi. Scandita nelle stagioni di semina, maturazione e trebbiatura. E poi macine, mulini, forni accesi: l’arte della panificazione ha origini antichissime e affascinanti.
Il pane degli antichi popoli
Qualche millennio prima della nascita di Cristo il pane era un impasto di cereali macinati grossolanamente, poi cotto su una griglia appoggiata su una pietra calda. Una tradizione ancora viva in molte popolazioni dell’Africa Orientale. Nel corso dei secoli l’uomo ha evoluto la sua conoscenza nella coltivazione e nell’utilizzo dei cereali. Poi c’è stati fino il grande evento della scoperta del lievito, attribuita alla cultura degli antichi Egizi che consideravano il pane cibo degli dèi. Tanto che Ramsete III, in trent’anni di regno, offrì ai templi ben sette milioni di sacchi di pagnotte.
Dall’Egitto in poi, l’arte della panificazione passò in tutte le culture del bacino del Mediterraneo. Infatti anche i Greci contribuirono al miglioramento della lavorazione del frumento, aggiungendo nuovi aromi e sapori. Non furono da meno i Romani, che introdussero l’uso di farine bianche e, primi in assoluto nella storia, istituirono i forni pubblici. Possiamo quindi affermare che “il pane è la civiltà di un popolo”, come scriveva Henry Miller nel suo romanzo autobiografico “Tropico del Cancro”.
Dalla “baguette” sotto braccio dei vicoli parigini, alla “bruschetta” delle trattorie toscane, alle scure fette di segale delle birrerie austriache. Senza trascurare i morbidi impasti dei toast all’inglese, il pane ha sempre caratterizzato il modo di vivere delle popolazioni.
Pane italiano: mille forme, bontà unica
Al mondo esistono più di duemila tipi di pane. Soltanto in Italia se ne contano più di trecentocinquanta varietà e quasi tutti hanno una storia da raccontare.
Esistono differenti lavorazioni da regione a regione, a volte addirittura da città a città.
Ingredienti e modalità di impasto, di cottura e di lievitazione, mutano a seconda delle condizioni climatiche del luogo, delle tradizioni culturali e politiche.
Attraversiamo, così, i territori italici intraprendendo un viaggio tra sentori di lievito e vapori di forni.
Nelle regioni del nord
In Trentino Alto Adige regna sovrano il pane di farina di orzo e di segale, rigorosamente fatto in casa, per accompagnare il piatto tipico protagonista della cucina trentina, i deliziosi canederli.
Scendendo in Lombardia troviamo due tipici pani: la caratteristica “michetta”, una piccola pagnotta di forma rotonda dalla crosta croccante e dorata, con l’interno svuotato, che si sposa perfettamente con il risotto “giallo” alla milanese. E la “micca” mantovana, un pane a pasta dura dalla superficie sottile e con l’interno ricco di soffice mollica.
Continuando a scendere per lo stivale arriviamo in Emilia-Romagna, dove possiamo assaporare la croccante “coppia” ferrarese, in dialetto “ciupéta”, un pane a pasta dura arricchito con strutto, caratteristico per la sua forma: una doppia coppia di cornetti sottili, in ricordo dei fastosi banchetti rinascimentali alla corte degli Estensi.
Passando alla riviera ligure troviamo le famose focacce morbide. La “fugassa”, in genovese, di solito è fatta con le patate bollite, che rendono l’impasto più soffice. Dopo la lievitazione la pasta è stesa a mano e poi aromatizzata con rosmarino, origano, cipolla oppure olive e, nelle rosticcerie della Liguria, si trova anche riempita di quagliata, un formaggio fresco simile allo stracchino.
L’altra “metà” della penisola
In Toscana, invece, il prodotto di panificazione tipico è la pagnotta senza sale dalla forma allungata. A lievitazione naturale, con una crosta consistente, è perfetta per la bruschetta all’aglio e pomodoro fresco. La spianata, fatta con acqua, farina e “pasta madre”, si gusta a Maiolo nelle Marche, dove a giugno si è tenuta la nona edizione della Festa del pane.
Passiamo ora all’Italia meridionale, in Puglia, dove, su ogni tavola che si rispetti, non manca mai il saporito e gustoso pane di Altamura, in forme che arrivano a pesare fino a due chili. Si tratta di una pagnotta tondeggiante di grano duro, cotta nei tradizionali forni a legna. Da non dimenticare, le “frisedde”, piccole ciambelle che a metà cottura sono divise in due parti uguali e poi biscottate, per ottenere una conservazione a lungo termine.
In Sicilia ci sono le “mafalde”, ciambelle arricchite, sulla crosta, di semi di sesamo.
In Sardegna il pane “carasau”, conosciuto anche come “carta da musica”, è ottenuto semplicemente da un impasto di farina di frumento e semola, senza lievito né acqua. Si lascia che la sfoglia lieviti gonfiandosi come una palla, poi si separano le due parti che si sono create. Infine, si impilano i pani, con un peso sopra, in modo che le diverse sfoglie non si arriccino.
Il carasau, come le frisedde pugliesi o le ciambelle della Valtellina, si conserva a lungo. E, come molti altri pani nati in tempi di povertà, un vecchio tozzo di pane bagnato, condito con olio, pomodoro ed erbe profumate, può rappresentare un lauto pasto. Il nostro viaggio si conclude qui: Tocca ora al lettore scegliere il pane più adatto ad essere abbinato ai piatti preferiti.
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