Giovedì 21 Novembre 2024 - Anno XXII

Honduras: così lontano, così sconosciuto

Honduras Cayos Cochinos (Cayo Privado) foto-Dennis García

“Honduras? Dove c’è l’Isola dei Famosi!”. L’associazione tra Paese e reality-TV oggi è automatica, nell’immaginario di qualunque italiano medio. Conosciuto poco e male per anni, lotta faticosamente per uscire da uno stato di perenne povertà

Honduras Bellezze marine
Honduras Bellezze marine

Il Paese centroamericano è sconosciuto ai più; la sua capitale, Tegucigalpa, ha un comico nome-scioglilingua che non evoca nulla. Non si conoscono honduregni famosi, artisti o campioni dello sport (se si eccettua l’interista Suazo) né specialità artigianali, gastronomiche o prodotti industriali che possano rappresentare all’estero l’Honduras (sei milioni di abitanti). L’ “Isola dei famosi”, palestra di riti selvaggi, ha avuto almeno il merito di ricordare l’esistenza del Paese centroamericano, tra i più poveri dell’America Latina. Molti turisti, sia chiaro, lo conoscono già: sull’isola di Roatan, in particolare, atterrano charter settimanali anche dall’Italia, i cui passeggeri sono assorbiti da alberghi e villaggi di standard internazionale, che non fanno leva su alcuna specificità del Paese. A Roatan, come nell’arcipelago di Cayo Cochino (dove si trova la celebre isoletta televisiva, piccola, “parabolata” e inaccessibile) il mare, le spiagge, la vegetazione, il sole, i cieli sono belli e caraibici; ma non hanno nulla di più o di diverso rispetto a tanti altri luoghi della stessa area.

Natura bella e la gemma di Copàn

Honduras Copan sculpture-foto Adalberto.H.Vega
Copàn vestigia Maya foto Adalberto.H.Vega

Di bellezze, intendiamoci, l’Honduras ne ha: più di tutto colpisce la varietà del paesaggio, che passa con facilità dalla spiaggia alla montagna, con il territorio ricoperto di una flora ricca e differente. Chi lo direbbe che l’albero nazionale dell’Honduras è il pino? Chi penserebbe di trovarsi a percorrere vallate alpine nel cuore del Centro America? La ricchezza senz’altro più importante è comunque un sito archeologico, quello di Copàn, a pochi chilometri dal confine con il Guatemala. É un’acropoli Maya, la più meridionale dell’area su cui insistette questa civiltà tra il mille prima e il mille dopo Cristo. Fu famoso come luogo di cultura scientifica e di scoperte astronomiche. Ci sono spettacolari piramidi, terrazze, scalinate, steli, bassorilievi, sculture; soprattutto gli sferisteri per il celebre gioco della palla che doveva passare attraverso anelli di pietra perpendicolari al terreno, nel quale i perdenti erano puniti con la morte. A confronto dei più famosi siti Maya situati nello Yucatan, in Messico, qui c’è una particolarità: le rovine non sono distese su un piano, ma in un susseguirsi di dislivelli che danno varietà anche paesaggistica, non solo archeologica, a un luogo di cui stupisce il contrasto tra l’austero silenzio e la vivacità delle antiche testimonianze di vita.

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Il Cristo Mirador, anch’esso “rassegnato”

Honduras Cristo del Picacho
Cristo del Picacho

Altro discorso, purtroppo, per le città, che riflettono lo stato del Paese, uno dei più “malmessi” dell’America latina. Tegucigalpa (un milione di abitanti) diciamolo francamente, è una delle capitali meno interessanti e più brutte del mondo. Non solo per “colpa” (ammesso che le città abbiano colpe) dell’uragano Mitch che l’ha devastata nel 1998, condannandola a una ricostruzione realizzata con mezzi scarsi e senza alcuna attenzione né architettonica né urbanistica. Il risultato è un confuso susseguirsi di case e casette prive di stile. Dal Cristo Mirador, che domina la città, posata su una specie di conca e circondata da rilievi montani, la visione è indistinta; spicca soltanto un colle centrale verde, destinato a parco, e di fronte la pista dell’aeroporto. Con fatica si individua la cattedrale, d’impronta coloniale, che sorge nel cuore di un reticolo di stradine che lasciano intuire che cosa potesse essere la città spagnola. Lo stesso Cristo, posto su un’altura, meta di visite panoramiche e di passeggiate, è un monumento rispettabile solo per il soggetto: niente a che vedere con la maestosità del Cristo a braccia aperte del Corcovado, a Rio de Janeiro, o alla serenità solenne del Cristo a braccia distese di Casablanca, a L’Avana. Questo ha le braccia semiaperte in un gesto di rassegnazione, l’aspetto sofferente; è costruito in un cemento armato grigio e sporco che il caldo sgretola, per di più posato su un’incongrua struttura traforata, priva di qualunque grazia.

Fast food e parcheggi, nuovo “look” di Tegucigalpa

Tegucigalpa La Cattedrale
Tegucigalpa La Cattedrale

Alla Cattedrale si arriva attraverso piccole strade affollate su cui prospettano edifici moderni, malconci, sporchi. Le bancarelle del mercato, fitte fitte, anziché allegria mettono un po’ di sgomento: i prodotti e le merci sono poveri e insignificanti, riflesso di una vita quotidiana modesta e di un benessere faticoso. In Honduras un impiegato guadagna in media cento dollari al mese, un direttore di banca arriva al massimo a mille. Il Paese è chiaramente colonizzato dagli Stati Uniti, che espongono le loro grandi catene di fast food, da Mc Donald’s a Pizza Hut, con insegne gigantesche e parcheggi. Nella piazza della cattedrale, tra gli alberi, ciondola un colorito assembramento di gente, con facce più o meno affidabili: una donna che vende dello zucchero filato rosa, ogni porzione avvolta nel cellophane, una ragazza che offre schede telefoniche, un uomo di mezza età che arringa una piccola folla col sermone di una setta, qualche storpio, qualche cieco, stampelle qua e là, gente affaticata in riposo sulle panchine, mentre da un fiero monumento equestre vigila un eroe locale. Una capitale è una capitale: eppure non c’è una via dello shopping, non una vetrina del lusso. Casomai qualche drappello di soldati in tuta mimetica e moschetto imbracciato. Gli acquisti si fanno nei nuovi templi del consumismo: nei centri commerciali, anche questi d’importazione. Tutti più o meno uguali, tutti di stampo americano, regni dell’aria condizionata, delle scale mobili, dei percorsi obbligati.

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Ricchi arabi e stranieri nella città “industriale”

San Pedro Sula la Cattedrale foto Micah MacAllen
San Pedro Sula la Cattedrale foto Micah MacAllen

San Pedro Sula, seconda città con cinquecentomila abitanti, è la “Milano” dell’Honduras, la città industriale, che si contrappone alla capitale per un’aura di efficienza e di dinamicità. Qui, per esempio, i servizi idrici sono gestiti da un’azienda a partecipazione italiana, segno di circuiti d’interesse internazionali. Il centro è una piazza quadrata e alberata e la mappa è un susseguirsi di quadrati tutti uguali, un reticolo di strade regolari e prive di fantasia: come New York, ma senza né i grattacieli, né Central Park, né un barlume di ricchezza. Nella piazza centrale un’altra Cattedrale ottocentesca, spoglia, con la facciata a due campanili: le chiese di questo Paese, d’impianto spagnolo, sono tutte uguali. Di fronte, un palazzo del municipio nel quale si intuisce qualche lontano apparentamento con lo stile Decò.

Honduras Municipio di San Pedro Sula
Municipio di San Pedro Sula

A San Pedro Sula, dove passano uomini d’affari di tutto il mondo, l’industria più evoluta è quella del tessile-abbigliamento e la qualità dei suoi prodotti è rinomata. Anche imprese italiane di marca fanno fabbricare qui jeans, camicie, maglie, cravatte; la bravura della manodopera e il risultato del suo lavoro riescono, per ora almeno, a far fronte alla concorrenza dell’offerta cinese.
Strano destino quello di questi Paesi, poveri e privi di reali vocazioni, ma meno a buon mercato della Cina: dipendono dalle commesse straniere e quando queste troveranno conveniente trasferirsi altrove, qui le fabbriche chiuderanno e libereranno disoccupazione. C’è anche una ricchezza che non si vede, a San Pedro Sula: è fuori dalla città, dove vivono i ricchi industriali arabi, emigrati qui all’inizio del Novecento, che hanno accumulato ricchezze da far impallidire tanti miliardari europei e americani, con ville gigantesche, parchi, servitù. Ma nessuno li vede, pochi li conoscono, si muovono felpati e fanno vita a sé.

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Così scorre la vita, in Honduras

Venditrice di zucchero filato
Venditrice di zucchero filato

In città è sconsigliato camminare oltre gli isolati più centrali; nessuno si sente di dire esplicitamente che è una città pericolosa, ma perché rischiare? Basta un telefonino, un orologio per attirare degli sguardi sospetti. Nei supermercati si vendono spaghetti di improbabili marche italiane e sacchetti di ghiaccio da portare a casa; nelle vie si susseguono un impressionante numero di negozi di scarpe, scarpe e ancora scarpe. Il vero cuore della città e degli incontri è un albergo, il Gran Hotel Sula, con stanze che evocano i tempi di Al Capone e un bar aperto ventiquattrore, che di notte avvolge gli avventori in un’atmosfera metafisica di vecchia America, quasi si entrasse in un quadro di Hopper.

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