Venerdì 4 Ottobre 2024 - Anno XXII

Rif marocchino, paradiso naturale e “artificiale”

Rif

I monti fra Tétouan e El-Hoceïma sono una cassaforte di tesori naturali (un parco lungo la costa) e di ricordi storici (Ketama, patria dello sceicco ribelle). L’interno del Rif è una sorta di enclave extra-territoriale, regno dei traffici della Cannabis

RIF Panorama sui monti tra Tétouan e El-Hoceïma
Panorama sui monti tra Tétouan e El-Hoceïma

“A” come Abdelkrim, “B” come Bab Taza, “C” come Chaouen, “D” come D-Dc. Spiegazione: Abdelkrim era un prode sceicco che combatté tre guerre (contro gli spagnoli, contro i francesi e contro l’hashish) e le perse tutte; Bab Taza è un valico a quasi mille e settecento metri di altezza, che se avesse qualche mucca in più e non fosse nel Maghreb potrebbe stare in Svizzera; Chaouen è un delizioso villaggio di montagna che sembra vicino al cielo e invece è a un passo dall’inferno; il D-Dc, infine, è l’unico motoscafo d’alto mare che fa da status-symbol per gente d’alta quota. Potete continuare così lettera per lettera, volendo; ma alla “R” dovete fermarvi: perché riassume tutte le precedenti.

“R” come Rif

Tétouan
Tétouan

La catena montuosa che corre lungo il Mediterraneo è la regione più vicina, la meno conosciuta, la più boscosa, la meno araba, la più maledetta di tutto il Marocco. Dimenticate i romantici giardini di Marrakech; dimenticate anche gli intriganti vicoli di Fès e gli ariosi panorami sahariani dell’estremo Sud: nei duecento e ottanta  chilometri che vanno da Tétouan a El-Hoceïma, le due città che fanno da capolinea della catena, si stende tutt’altro Marocco, testimone di una storia ribelle che spesso è stata solo sua e specchio di brucianti problemi contemporanei, che solo suoi non sono affatto.
Quanto il Rif sia anomalo, lo si vede già a Tétouan, da due dettagli. Il primo: molti edifici hanno balconi aperti su strade e piazze, come usa nel mondo latino ma non in quello arabo, dove la casa è una monade sigillata in sé stessa, attenta a evitare sguardi indiscreti e contatti con l’esterno. Il secondo: le finestre hanno imposte azzurre come in tutto il Mediterraneo, non tende e gelosie come nel “Marocco vero”. Più che nel Maghreb, spesso a Tétouan sembra di essere in Andalusia. Che in fondo dista solo un tratto di mare.

Tétouan, mosche e profughi

Rif Via del centro a Tétouan
Via del centro a Tétouan

“L’azzurro sugli infissi serve a tener lontane le mosche, che odiano questo colore” spiegano gli abitanti. Balle: le mosche ci sono in mezzo mondo, le imposte color mare no; e comunque per respingere gli insetti non basta un repellente cromatico, né a Tétouan, né altrove. La verità è un’altra: più o meno cinque secoli fa, quando la “reconquista” spagnola cacciò dall’Andalusia musulmani ed ebrei, gran parte dei profughi si stabilì proprio tra Rif e paraggi, portando con sé usi della patria perduta: le imposte azzurre, i balconi e un genere musicale che ancor oggi è detto “andaluso”, anche se è tipico del Nord-Marocco.
Non è tutto: i profughi in arrivo dalla Spagna, dove all’epoca correva ancora sangue visigoto, portarono sul Rif anche un Dna con qualche gene allogeno, che mescolandosi a quello degli autoctoni berberi produsse curiosi effetti sui discendenti. Tuttora, da queste parti, è frequente incontrare uomini biondi o con occhi chiari, che accentuano l’effetto-Svizzera suggerito dal paesaggio alpestre. E tuttora sui monti l’idioma corrente non è affatto l’arabo, ma un dialetto berbero infarcito qua e là di vocaboli spagnoli, che forse non risalgono al periodo coloniale, ma molto più in là nel tempo.

Marocco mediterraneo, natura ancora intatta

Rif El-Hoceïma
El-Hoceïma

Molto diverso da Tétouan e l’altro capolinea del Rif. Infatti , il porto più moderno che il Marocco possiede sul Mediterraneo, ha alle spalle una storia troppo breve per ricordarsi della “reconquista”: fu fondata solo ottanta anni fa. E i suoi primi abitanti, benché in arrivo dall’Europa come gli altri, non erano senzapatria in fuga, ma armatissimi soldati spagnoli che volevano tenere a bada i montanari della zona, fieri “ribelli” che obbedivano solo al loro sceicco: quell’Abdelkrim di cui si diceva, che aveva fatto del Rif uno Stato sovrano e che è tuttora venerato come un Garibaldi.
Per andare da Tétouan e El-Hoceïma il percorso logico sarebbe lungo il mare, ma là non c’è strada: spesso i monti precipitano direttamente fra le onde con scogliere inaccessibili, trapunte di nidi di gabbiani, berte e falchi pescatori; ma a volte la costa si ritrae in tranquille baiette, rifugio di foche monache, dove si arriva solo lungo piste che calano dalle valli retrostanti.

Un villaggio nel cuore del Rif
Un villaggio nel cuore del Rif

Un settore di questa costa, il massiccio del Bokkoyas, è stata dichiarata parco nazionale. È giusto: per i naturalisti la costa del Rif è un paradiso che in tutto il Mediterraneo ha solo due rivali: le Calanques di Marsiglia e il Golfo di Orosei in Sardegna.
Per gli abitanti di El-Hoceïma, però, quelle falesie senza strada sono una condanna. Per raggiungere la città da Tétouan, infatti, occorre deviare nell’entroterra, con un percorso tortuoso che attraversa il cuore del Rif, superando diversi valichi e passando prima da Chaouen, il villaggio “vicino al cielo” di cui si diceva, già “terra promessa” di profughi ebrei andalusi, e poi da Ketama, l’ex-capitale dello sceicco Abdelkrim. La strada non è maltenuta, tutt’altro: anzi, fino a Chaouen è regolarmente percorsa da decine di pullman turistici. I problemi cominciano poco dopo e non riguardano la viabilità.

Il regno della Cannabis
Rif Piantagioni haschisch Rif
Rif piantagioni haschisch

Il problema del Rif è una parola di tre lettere, quasi identica: “kif”, nome locale della cannabis. Che intorno a Ketama è coltivata in modo massiccio, sotto la regìa di veri e propri clan mafiosi. Grazie al
denaro che ricavano dal kif, questi clan controllano il territorio come e più dello Stato, che per quieto vivere si è rassegnato a considerare Ketama e paraggi una zona franca, dove la polizia non esiste e se c’è non si fa vedere. Così chi passa nel centro della catena, per avere il “visto di transito”, è di fatto obbligato a comprare pani di hashish in dosi industriali. Chi si rifiuta viene bloccato, inseguito; a volte aggredito. In queste valli il kif esiste da sempre, tollerato da tutti, compresi i colonialisti europei: l’unico che cercò di estirparlo fu Abdelkrim, ma inutilmente. Per questo negli Anni Sessanta Ketama era meta fissa dei “figli dei fiori”, come Amsterdam e Katmandu. Allora però la cannabis era un fenomeno limitato, un “prodotto dell’orto” con cui le famiglie contadine arrotondavano i loro magri bilanci. Negli ultimi decenni invece le coltivazioni di canapa hanno assunto dimensioni senza precedenti, in crescita continua: secondo stime dell’Onu e dell’Unione Europea coprivano venticinquemila ettari nell’Ottantacinque, sessantamila nel Novantatre, settantamila nel Novantacinque, centotrentamila nel 2003.

Un fiume di soldi. Ma non per tutti

Rif La costa
La costa

Risultato: oggi il Marocco è il primo Paese esportatore di hashish del mondo, capace di totalizzare da solo il 42% della produzione globale. Nel biennio 2003-04 da questi monti sono partite settemila e quattrocento tonnellate di “pani”. Le dosi taglia XL, vendute dai pusher agli automobilisti di passaggio sono solo briciole del traffico: il grosso parte per l’Europa via mare. Così le tranquille baiette della costa, predilette dalle foche monache, sono diventate basi abituali di potenti motoscafi che si incaricano del trasporto: sono i D-Dc di cui si diceva, capaci di una velocità doppia rispetto ai guardacoste spagnoli.
Tutto ciò porta sul Rif montagne di denaro (dodici miliardi di dollari l’anno, secondo stime Onu) ma non per tutti: ventisette abitanti su cento continuano a vivere sotto la soglia di povertà. Buona parte degli altri (66%) invece, traggono dal kif una ricchezza mai vista prima, ostentata con status-symbol diversi, secondo il livello. L’obiettivo di un di un grosso trafficante è comprare un D-Dc (che può costare fino a quasi un milione di euro); quello di un pusher è possedere una Mercedes; quello di un coltivatore marginale è riuscire a circolare col tradizionale asinello nel traffico crescente di auto di lusso.

Turismo possibile. Anzi, probabile

Rif L'azzurro di Chaouen
L’azzurro di Chaouen

In questo quadro, parlare di turismo sul Rif riesce arduo, almeno nella zona centrale della catena: i clan che gestiscono la “kif connection” non hanno interesse a investire nel settore; per giunta l’assedio ossessivo dei pusher crea una sensazione di perenne insicurezza, magari più psicologica che reale, in grado comunque di azzerare qualunque campagna promozionale. Eppure qualcuno ci ha provato: a Ketama sono in funzione addirittura alcuni impianti di risalita per sciatori, tanto che anni fa l’ “Office du tourisme” di El-Hoceïma tentava di lanciare originali pacchetti monti-mare. Un’idea folle? No, perché qualche carta da giocare il Rif l’avrebbe.

Rif Spezie e mercanzie a Chaouen
Spezie e mercanzie a Chaouen

Sopra Kethama svetta il Tidirhine, un monte di 2.450 metri da cui si vede mezzo Marocco. Sul suo versante nord si estendono boschi di querce, cedri e abeti, dove gli amanti del trekking troverebbero infiniti itinerari nel verde. E in agosto, ai piedi della montagna, si tiene una festa (“moussem”) dove il proverbiale folclore marocchino esplode in un turbinio di colori. La costa, poi, è un vero paradiso per “birdwatchers”.
E Targuist, al capo orientale del Rif, evoca l’affascinante epopea di Abdelkrim: lo sfortunato sceicco anti-kif si arrese ai francesi proprio lì, tra filari di ulivi plurisecolari.
Del resto, che il turismo sia possibile anche sul Rif lo dimostra Chaouen: l’ex-rifugio degli ebrei fuggiaschi, che si trova fuori dalla zona dei clan per pochi chilometri, è frequentatissimo. Tétouan anche. El-Hoceïma lo sarà (inshallah), quando sarà completata una strada che sta avanzando lentamente sulla costa. Quel giorno però da Ketama non passerà più nessuno. E il Rif sarà abbandonato ai clan del kif. Una scelta inevitabile?

Info: www.visitmorocco.com/it

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