… nella tradizione culturale e lavorativa
Accenno al lavoro ed eccomi alle prese con la New Entry di “Tipicità” (nel senso di ultima delle visite organizzate dall’Angelo Serri a conoscere gente che ha sfangato duramente), nella azienda (ha da poco compiuto 30 anni, “enhorabuena” augurano gli spagnoli) di Silvano Sassetti in quel di Monte San Pietrangeli (vedere per credere www.sassettisilvano.it). Ohèi, poche balle, il nostro imprenditore non sta mica lì tanto a contartela su, tirando fuori la erre moscia e buttando lì qualche magnanimo lombo rafforzato dal doppio cognome, no, saluta la stampa in visita e ipso facto ti informa che lui a 13 anni è andato a bottega partendo da zero, si è fatto un mazzo così, ha percorso senza stop per rivendicazioni sindacali né manifestazioni con ‘trombette perepè perepè’ il Golgota del lavoro e adesso eccolo lì, con una distinzione datagli dal fisico e dall’un tempo definito ‘nobile’ lavoro, a esibire gioielli di lussuose non meno che costose ed eleganti scarpe “alla pelle di” squalo, struzzo, anguilla, salmone” etc etc etc (robb de matt, ogni giorno si deve imparare almeno una cosa, e io quel giorno appagai l’esigenza già alle 11 del mattino).
Marchigiani “atipici”, si diceva, anzi ho scritto poco sopra. Lo sono nel lavoro.
Le differenze con Toscana e Romagna
Nell’adiacente Toscana, ad esempio, campano più di turismo (ricco, snob, agriturismi cari, terreni a peso d’oro nel Chiantishire), non abbondano le imprese personali nate dalla sudata trafila “alla Sassetti” secondo l’iter “partire dal nulla, imparare sudando, mettersi in proprio, avere successo / eccellere”.
“Sopra le Marche”, le Romagne contano ancora sulla terra (il cui prodotto, la frutta, è stato sfruttato industrialmente) e più a nord l’imprenditorialità è poi sempre prevalentemente sfociata in industria, a volte pure grande. Non parliamo poi del Sud, a poco più di un’ora d’auto da “Tipicità” un Sassetti locale avrebbe trascorso una vita seduto al bar della piazza del paese aspettando che lo Stato “facesse qualcosa per lui”, altro che inventare “atipicamente” le scarpe al salmone o all’anguilla da mettere in vetrina in St James Street o sulla Fifth Avenue.
Passione popolare per il teatro
E prendete la cultura. Sarà l’età (che mi rende più sensibile alle emozioni), sarà il rimorso per aver sciupato troppo tempo a vedere tivù generaliste, fatto sta che mi intenerisco ogni volta che il Serri mi porta a vedere un nuovo teatro (stavolta quello “della Fortuna”, a Monte San Vito, mini mini, solo 80 posti!!! A.D. 1757 www.montesanvito.pannet.it). Sono forse rincitrullito? Oppure sto solo valutando (il giusto) una incredibile realtà (“atipicamente” marchigiana) consistente in una regione straordinariamente lardellata di teatri (dov’altro nel Belpaese?), posti di cultura che se ci sono è perché la gente ci va, e per di più ci andava in un secolo (il XVIII, quasi tutti i teatri delle Marche risalgono a quell’epoca) in cui il locale Governo Chiesa combatteva i Lumi, le novità, la gente che si incontrava, parlava, diceva.
E in chiusura si parli di cose serie. Prima di tutto “facendo la reclàm” (stranamente gratis, non prezzolata: il primo piacere palatale l’ho comprato e l’altro l’ho solo assaggiato perché non in vendita) ai maccheroncini di Campofilone del Pastificio Casoni www.pastificiocasoni.it e al “muy rico” olio della gentile e dotta signora Petrini www.organicfood.it.