Giovedì 28 Marzo 2024 - Anno XXII

Dalmacija sulle acque dello Jadranska More

Mare Adriatico. Con la motonave Dalmacija, della flotta croata Adriatic Cruises, alla scoperta della “storia” e delle “storie” di antiche terre e nuove nazioni. Tra le architetture di mirabili città e le bellezze naturali di una costa affascinante

Motonave Dalmacija
Motonave Dalmacija

Sabato. Venezia. Nel pomeriggio mi imbarco sulla “Dalmacija” per una settimana esplorativa lungo “l’altra sponda” dell’Adriatico. Parto con molta curiosità, anche perché i posti da vedere non sono soltanto intriganti, per storia e bellezze paesaggistiche, ma risultano pure tanti. Per chi ama viaggi “ricchi” di mete, vedere “tanto”, almeno in termini numerici, questa crociera è una goduria.

Grazie allo smembramento della titina Jugoslavia si approda infatti in Croazia, Montenegro e Bosnia Erzegovina, sommandosi così a cinque i Paesi visitati dalla “Dalmacija” (ai citati neostati vanno infatti aggiunti l’Albania e la Serenissima Repubblica di Venezia sede di partenza e arrivo della crociera).
Mancavo dalle crociere da circa una trentina d’anni, ma la sorpresa nel risalire su un albergo natante dopo tanto lasso di tempo non è poi così scioccante. Devo ciò alla non imberbe età della “Dalmacija”, che a mio modesto parere non costituirà un problema. Sarà che amo ciò che è un po’ fanè, le cose eleganti visitate dalla patina del tempo, il legno al posto della plastica, le lampade invece dei tubi al neon, le orchestre melodiche in confronto ai disc-jockeys, le musiche e non le urla della foresta, il bello invece del kitsch. Ma quel che conta sono le dimensioni umane della “Dalmacija” (5.500 tonnellate, 140 cabine, massimo 300 passeggeri con nave “a tappo”) e soprattutto quello che vado a vedere. A nanna.

Spalato e il suo “Palazzo” fuori misura

Dalmacija La bandiera croata
La bandiera croata

Domenica. Spalato. Si naviga sul bel Adriatico (a me caro: quanta storia, civiltà, cultura l’hanno attraversato nei millenni), mare forse meno dispensatore di bellezze sui litorali italiani che su quelli orientali. Basti citare le 1185 isole vantate dalla Croazia (solo una settantina quelle abitate) situate di fronte a una costa mossa da penisole e insenature, il tutto per la gradevolissima visione di panorami che solo da una nave puoi godere con completezza.
Chi entra nel porto di Spalato non può che meditare sulla megalomania di Diocleziano. Per il semplice motivo che la poco distante, romana Salona (si visitano i resti archeologici durante un’escursione interessante ma non esaltante) non aveva nulla a che vedere con l’attuale Spalato. Se non che poco prima del 300 d.c. l’imperatore pensò bene di costruirsi un mega Palazzo sul mare, a poca distanza dalla città natale, con il risultato che all’interno e intorno a quell’immane edificio (ovviamente dichiarato Patrimonio dell’Umanità) si sviluppò l’odierno capoluogo della Dalmazia.

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Spalato
Spalato

Le dimensioni del Palazzo spalatino risultano a dir poco inquietanti: costruito secondo i dettami dell’accampamento romano, il Cardo misura 180 metri, il Decumano 215, le mura contenevano 16 porte, tante le torri sovrastanti giardini pensili; dai previsti 1400 abitanti “imperiali” al servizio di Diocleziano, si arrivò ai 15.000 profughi ospitati durante le tante invasioni barbariche e ottomane succedutesi nei secoli nell’Europa balcanica. E’ il caso di dire “vedere per credere”.
Poco distante da Spalato, tenera e commovente la visita di Trogir, anzi la ex nostrana Traù, bella e deliziosa, civilissima, nobile “città degli angeli” (perché sempre presenti nelle tele di un buon pittore locale del Rinascimento).

Nelle famose “Bocche” di Cattaro

Trogir
Trogir

Lunedì. Cattaro. Sto per vivere una giornata davvero importante, densa di sensazioni non solo turistiche, spazianti dall’estetica alla gastronomia, dalla politica all’economia, dalla storia al folclore. Una giornata che gli Yankees definirebbero Kotor-Day, prologo e gran finale nelle Bocche di Cattaro, un termine geografico che mi intrigò fin da piccolo (cosa c’era mai dentro quel dedalo d’acqua dominato da incombenti e cupe montagne?).
Dopo un paio d’ore di navigazione nel fiordo si arriva a Cattaro con l’occhio appagato da panorami inconsueti, villaggi rivieraschi con gli abitanti che si sbracciano nei saluti, due minuscoli isolotti decorati da una elegante chiesa barocca (la Vergine di Skrpjela) e un santuario (San Giorgio). Ai piedi di un dirupo sovrastato da una robusta fortezza da cui si dipartono quattro chilometri e mezzo di una minimuraglia cinese assai ben preservata (essere dichiarati Patrimonio dell’Umanità spinge quantomeno a non distruggere panorami e monumenti) Cattaro incanta per un glorioso quanto poco noto passato.
Superfluo informare che anche in questo recondito angolo del Montenegro la presenza di Venezia è immanente. Verso la Serenissima procedevano, dal medio oriente, i resti di San Trifone, se non ché il santo, mediante ininterrotti uragani impedenti il proseguimento del viaggio (che belle le leggende!) convinse gli abitanti di Cattaro che preferiva restare dov’era. E fu così che oggi ammiriamo la bella cattedrale, appunto dedicata a un santo dal nome singolare, come singolare è il nome di una delle più belle piazze di Cattaro, detta della “Farina e del Latte”, circondata da palazzi e ricche case di mercanti con “sotoporteghi” e cortili.

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Cettigne, la città di Elena di Savoia

Cettigne, il palazzo presidenziale
Cettigne, il palazzo presidenziale

Ci si addentra nel neostato (primo dei due pezzi perduti recentemente dalla Serbia, il Montenegro eppoi il Kosovo) con il bus che si arrampica infilando un rosario di venticinque serpentine tipo Stelvio, volute dal re Nicola I Petrovic per rendere un filino meno isolata la capitale Cettigne. Mediante una molto impervia ma percorribile strada (chissà a quei tempi) pensò il sovrano, sarebbe anche potuto passare da quelle parti  qualche pretendente la mano di una delle nove principessine da lui procreate (più tre maschi). E difatti ecco apparire a Cettigne l’allora nostrano principe Vittorio Emanuele III. E fu così che Jelena (peraltro ben educata alla corte dello Zar di Russia, talché si rivelò ottima sovrana) divenne la nostrana regina Elena.
E’ sera, tra luci di strade e case così vicine – quasi si percorresse un viale cittadino – la “Dalmacija” lascia il fiordo, esce dalle Bocche di Cattaro.

Durazzo, “nuova vita” in Albania

Tirana
Tirana

Martedi. Durazzo. Nel cosiddetto Paese delle Aquile c’ero già stato, molto brevemente, all’epoca di Enver Hoxha, il deciso e truce dittatore amico dei Cinesi e quindi acerrimo nemico del Papa e di Breznev (ricordate, quello dell’Urss con le sopracciglia che ricordavano “Cime Tempestose”?).
Meno impaurita della precedente, questa mia escursione albanese si svolge invece all’insegna della sorpresa, nello scoprire situazioni impensate, nello smentire fosche previsioni di trovare un Paese paracriminale come da luoghi comuni peraltro un tempo veritieri. Altro che gommoni di disperati approdanti sulle coste pugliesi a tentar fortuna! In viaggio da Durazzo e Tirana, circa quarantacinque chilometri, non si contano i cantieri all’opera, le stazioni di servizio per auto, il novanta per cento Mercedes, molti i Suv; market e supermarket invitanti a “strafugnarsi” nel consumismo. Gli Albanesi stanno conoscendo (almeno nelle due importanti città, nell’interno è probabilmente più grigia) quella fortuna che erano venuti a cercare nello Stivale (e difatti di gommoni non ne arrivano più).

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