Napoli ha circa duemila e cinquecento anni d’età, due millenni e mezzo, che si sono sovrapposti senza annullarsi completamente. E’ questa una delle sue unicità che si rivela come una porta lasciata socchiusa dalla storia per restituire ai contemporanei, nel limitato raggio del centro urbano, l’impianto urbanistico greco romano e l’architettura medievale, la città barocca e quella ottocentesca.
Un lungo tempo scritto nella memoria prima che nelle pietre; ed è un tempo che ha inizio con un mito, quello della sirena Partenope, lasciatasi morire sulle rive del mare per non aver saputo incantare il viaggiatore Ulisse. Un tempo che prosegue, di leggenda in leggenda, di secolo in secolo; camminando tra storia e fantasia, senso del sacro e rigurgiti pagani; oggi c’è un’altra Napoli misteriosa che si offre al visitatore, quella più segreta ma niente affatto invisibile. Napoli esoterica: una città lunare e sotterranea che convive con la solarità della superficie; città di maghi e di alchimisti, di reliquie sanguinanti e di teschi venerati, di presenze occulte e di fantasmi palesati dall’immaginazione popolare.
Virgilio, il Mago
Il tour tra le camere della Napoli misteriosa parte necessariamente dall’antichità e da un poeta: Publio Virgilio Marone, che a Napoli ha soggiornato lasciandovi fama di mago. A Mergellina, nel parco che si apre a qualche decina di metri dalla stazione ferroviaria, a ridosso di quella Cripta Neapolitana dove in età pre-cristiana si consumavano misteriosi riti priapici, un colombario d’età romana è considerato la sua tomba. La leggendaria sepoltura non smette di attrarre i visitatori, richiamati nel luogo anche da un altro sepolcro, questo sì confermato dalla storia: quello di Giacomo Leopardi. Ma le tracce virgiliane vanno ben oltre e basta proseguire sul lungomare per imbattersi nella leggenda di Virgilio mago, custodita dal tufo giallo di Castel dell’Ovo e dell’isolotto di Megaride. Qui si cela il segreto della sopravvivenza di Napoli. Si vuole che Virgilio vi interrasse un uovo chiuso in una gabbietta e che alla rottura dell’uovo sarebbe arrivata la distruzione della città.
Castel dell’Ovo. Nel nome, il destino della città
Sia chiaro che il vero mistero è lo stesso castello. Sorto sopra la villa del patrizio Lucullo, è stato nei secoli monastero, carcere, fortezza, caserma. Oggi è uno spazio riservato alla cultura, sede di mostre e conferenze, della sede dell’istituto italiano dei Castelli e di un delizioso museo di paleontologia gestito dal Club alpino italiano.
E’ evidente che l’uovo di Virgilio non può aver retto da solo le sorti una città flagellata da sempre dagli uomini e dalla natura. Occorreva un aiuto più potente, la mano di un santo. Il miracolo dello scioglimento del sangue di San Gennaro (o, più correttamente, il “prodigio”) è certo il mistero napoletano più chiacchierato al mondo. Per fede, o per curiosità, le date da appuntarsi per assistere alla liquefazione del sangue e alle colorite ritualità che s’accompagnano al suo verificarsi sono: il sabato precedente la prima domenica di maggio; il 19 settembre (ricorrenza del Santo) e il 16 di dicembre. E se nonostante decenni di speculazioni scientifiche il prodigio resta di fatto cosa misteriosa, c’è da dire che non è un unicum.
Nei secoli passati, nelle innumerevoli chiese e cappelle private disseminate entro le mura, le reliquie sanguinanti si contavano a decine, o a centinaia, secondo alcuni.
La proliferazione di tali “miracoli” ha spinto ricercatori a sostenere l’ipotesi di una potente scuola alchemica operante dal medioevo (o anche prima). I sanguinamenti, dunque, non sarebbero che il frutto di preparazioni di laboratorio.
Napoli Misteriosa Il Principe alchimista
Un alchimista su tutti ha lasciato il suo nome nella memoria cittadina: don Raimondo di Sangro, duca di Torremaggiore e principe di Sansevero, nato nel 1710 e morto nel 1771. Fu scienziato a tutto tondo in piena età dei lumi e al tempo stesso, personaggio capace di dare luogo alle più tenebrose leggende.
Di lui hanno scritto molto, esaltandone l’aspetto di studioso o più ancora quello di maestro esoterico, al quale, pare, anche Cagliostro fosse venuto a rendere omaggio.
Per comprendere il motivo di tanta oscura fama può essere sufficiente lasciarsi guidare dall’emozione di una visita nella cappella dei Sansevero, nella buia viuzza De Sanctis, che sale dalla piazza San Domenico Maggiore. Nell’ipogeo, le due “macchine anatomiche” realizzate dal Principe raccontano dei suoi approfonditi studi sul sistema cardiocircolatorio. Due scheletri, quello di un uomo e quello di una donna in stato interessante, mostrano integralmente il complicato reticolo di vene e arterie che attraversano il corpo umano. Si tratta di una stupefacente ricostruzione in cera, ma in virtù della fama di don Raimondo, memoria popolare racconta che avesse trovato il segreto per metallizzare il sangue e l’avesse sperimentato su due suoi servi, ammazzandoli.
La Cappella dei “misteri”
Ben altri misteri si aprono al piano superiore; il Cristo velato, scolpito nel 1753 da Giuseppe Sanmartino è un capolavoro di virtuosismo dell’ultimo barocco napoletano, tanto che lo stesso Antonio Canova dichiarò che avrebbe dato dieci anni della sua vita pur di esserne l’autore. Eppure l’incredibile efficacia della velatura che ricopre il corpo di Cristo morto, fa comprendere come sia stato più facile credere che il Principe avesse, tra le altre “diavolerie”, inventato la maniera per marmorizzare i tessuti. Simboli alchemici, massonici, templari e rosacrociani, inquietanti sculture dense di significati esoterici, pitture dai colori insolitamente vividi (che si vogliono di origine animale) rendono la piccola cappella un vero e proprio concentrato di misteri. E tra i numerosi prodigi attribuiti al Principe di Sansevero, ci sono anche l’invenzione di una lampada perpetua e di una carrozza anfibia.
Nel cuore di Napoli
Siamo in pieno centro antico e qui, lungo i decumani che ripercorrono esattamente gli stessi tracciati della città greco-romana, leggende e segni occulti s’inseguono copiosamente. E sono troppi per poterli approfondire tutti.
A volte questi segni sono scritti nelle stesse architetture; come in piazza del Gesù, sulla facciata della chiesa dedicata all’Immacolata e nota col nome di Gesù Nuovo.
Il quattrocentesco bugnato a cristallo, citato per la sua bellezza da tutti i libri di storia dell’arte, sarebbe opera di “costruttori ermetici” che vi inserirono misteriosi codici; una sorta di ideogrammi ritmicamente cadenzati, la cui chiave di lettura è ovviamente occulta. Superata la piazza, Spaccanapoli (Via Benedetto Croce) ci porta verso altri luoghi della Napoli misteriosa; una sosta nella chiesa gotica di San Domenico Maggiore, per incontrare i misteriosi sarcofagi dei re Aragonesi; una davanti alla statua del Nilo, nell’omonima piazzetta, altro nume tutelare della città (è detto Il corpo di Napoli) che sorge dove nell’antichità era collocato un tempio dedicato al culto lunare di Iside; poi un passaggio sul decumano principale (Via Tribunali) ma non senza essersi fermati per una sosta nella chiesa di San Gregorio Armeno, nell’omonima via (quella nota per i presepi) dove le suore custodiscono le reliquie di santa Patrizia, patrona della città e “autrice” di una liquefazione che avviene il 25 agosto.
Napoli misteriosa: ossa e teschi del Quartiere Sanità
In via Tribunali, il volto più struggente della Napoli misteriosa si svela nell’ipogeo della seicentesca chiesa del Purgatorio ad Arco che custodisce i resti della anime “pezzentelle”, sino a pochi anni fa adottate dalla pietà popolare.
Tra i macabri resti che si aprono nelle nicchie collocate sulle pareti, il teschio di Lucia (Luciella) una giovane morta prima del matrimonio, adorna di fiori e di una corona. Le ossa chiamate a mettere in contatto i vivi col regno dell’aldilà e a procurare aiuti e protezione in cambio di preghiere e messe, sono ancora più numerose nel camposanto delle Fontanelle, nel quartiere Sanità, dove sono visibili oltre quarantamila resti. L’ossario ricavato durante la pestilenza del 1656 da preesistenti cave di tufo, si trasformò presto in luogo di culto, tant’è che nella metà dell’Ottocento un gruppo di popolane mise ordine tra quei mucchi di resti, disponendoli a ridosso delle pareti tufacee secondo precisi schemi.
Diversi i teschi con una storia e un nome trasmessi dalla leggenda: il “monaco” (o’ capa e Pascale) capace di comunicare i numeri vincenti del lotto; la più celebre testa del “capitano” o quella di “donna Concetta”, la testa che suda.
Per visitare il sito, da tempo oggetto di restauri, occorrerà attendere il mese di maggio, rivolgendosi all’Associazione Napoli Sotterranea.
Notizie utili: Associazione Napoli Sotterranea, telefono 081 296944
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