Bisanzio, Costantinopoli, Istanbul: identico fascino
La sosta a Istanbul (che ovviamente, vista l’età e i sopralluoghi annoverati, già conoscevo) non mi dispiace. Anche perché è mio copyright l’ardita regoletta turistica (basata sull’antico detto Panta-Rei, tutto scorre) che ogni quarto di secolo una città già visitata e non più rivissuta (e a me accade per la metropoli sul Bosforo) si ri-vergina: è come se fosse nuova; in pratica, chi ci va, più che rivisitarla, la visita come fosse la prima volta. Oltretutto, tornando in un posto, risparmi soldi e tempo di lettura delle solite canoniche non meno che banali guide: sai già dove e cosa sono i siti da raggiungere, sono soltanto cambiati, diversi rispetto ad antan, fosse solo perché nel frattempo se non sono cambiati loro sei cambiato tu che li ispezioni; sei per certo diverso da allora e quindi vedi il mondo con un’altra ottica, cultura, esperienza, appetto a com’eri la volta precedente. Riecco Istanbul, dunque (e fortunatamente alloggiato a due minuti dalla piazza Taksim, centro nevralgico della metropoli quindi comoda “pole position” per girare e vedere) ed ecco pure veloci sensazioni e commenti telegrafici non meno che disordinati.
Caddesi, la via dello shopping “Europeo”
Se per Turchia (quella che vuole entrare in Europa) si intendesse la sempre affollata e indaffarata Istiqlal Caddesi, non vi sarebbero problemi per accettare anche i politici di Ankara tra quelli che a Bruxelles tengono appiccicati i vari pezzi del Vecchio Continente. La strada, adesso pedonalizzata, appare davvero assai più bella di quanto mi apparve nella mia precedente, lontana visita, e costituisce un valido biglietto da visita, almeno di Istanbul: diverte farvi lo “struscio”, esibisce bei negozi financo troppo chic e griffati, propone un ameno sferragliante tram turistico. Ma, dirà il perfido, appetto alle vetrine dell’elegante Caddesi c’è una arretrata Turchia contadina e pure qualche eccessivo rigurgito islamico. Epperò, gli risponderà l’ammiratore del Paese di Ataturk (che enorme lavoro fece il “Padre dei Turchi” nel rivoltare il Paese come un calzino, chapeau!) non è che certi angoli bucolici dell’Europa siano poi tanto ricchi ed evoluti, leggasi tanto differenti dalla campagna turca (e sorvoliamo sulla loro malavita).
Le magie paesaggistiche del Corno d’Oro
E quanto agli integralismi, meglio proseguire nella rivisitazione di Istanbul lasciando da parte le religioni. Come accaduto a Santa Sofia, trasformata da chiesa in moschea e infine (sempre lui, Kemal Ataturk) in museo. E avendovi scoperto – colmando una ancorché minima ma riconosciuta lacuna – in un angolo del piano superiore la tomba del doge Enrico Dandolo, invito la gentile aficiòn lettrice a documentarsi sulle indegne, squallide e mercantili porcherie perpetrate dai peraltro da me amati Veneziani, in occasione della IV Crociata: ne apprenderanno delle belle. Non rivisito il Caffè di Pierre Loti in fondo al Corno d’Oro, causa l’eccessivo cemento che lo circonda (il tempo stringe e per risparmiarlo occorre accettare quel che ti dicono i ciceroni) vado a percorrere la litorale che conduce al Mar Nero (e ancor più bello del viaggio terrestre con l’autobus dei trasporti urbani sarebbe il trasferimento in battello). Dai magnifici palazzi della opulenta Besiktas dei sultani, si procede per Ortakoy indi a Yenikoy (koy, villaggio) poi a Tarabya. Bei panorami, tanti yacht, i due ponti Asia-Europa, ville, ristoranti e club chic, posti da “sciur”; un altro angolo d’Europa, per certo meglio tenuto di lungomari e porti di… (censura). E con la riconferma che il Topkapi intriga davvero (chi non l’ha visto si affretti a fare un salto a Istanbul, andarci costa più o meno come pizza e birra in centro a Milano) si conclude la mia rimpatriata a Costantinopoli (pardon, son vecchio) Istanbul.