Poche braccia, tanta fede e lavoro
“La Chiesa Cattolica è presente a Gibuti sin dal 1885, con un insediamento a Obok, verso il confine eritreo; due anni dopo viene inaugurata la prima scuola cattolica”, esordisce Padre Bertin. “Qui siamo in quattro-cinque sacerdoti e i fedeli sono rappresentati da circa ottomila persone; solo i francesi della base militare sono quasi tremila, alcuni con la famiglia al seguito. Altri cattolici provengono dalle più diverse parti dell’Africa: da Berbera, da Mogadiscio, dall’Ogaden etiopico. Quelli con passaporto italiano non arrivano alle duecento unità e i convertiti e battezzati gibutini sono pochissimi, ma ci sono”. Chiedo a Padre Bertin quali siano le condizioni di “lavoro”, in un paese quasi totalmente musulmano. “Non facili, certo, anche se a Gibuti l’Islam è vissuto e praticato senza eccessi. In qualche occasione non è esente da forme di vero e proprio fanatismo e i rari casi di intolleranza sono dovuti a gruppi fondamentalisti estranei al territorio. Nel paese operano una cinquantina di missionari e il compito principale è quello di divulgare, soprattutto fra i giovani, i ‘valori’ del vivere civile e religioso, del rispetto reciproco, della cooperazione attiva. Abbiamo scuole cattoliche in tutto il paese e variamo progetti mirati per togliere dai pericoli della strada i ragazzi, oltre a far sentire alta la nostra voce per porre termine alla pratica delle mutilazioni femminili. Tra i progetti che seguiamo, con investimenti a lungo termine, c’è quello di combattere la siccità, vera piaga per chi coltiva i campi. Insomma: vi sono gruppi islamici ricettivi per tutto questo; in qualche caso si rischia una ‘battaglia’, mai la guerra! Confidando, sempre, nell’aiuto del Signore!”.
La dolorosa “spina” somala
So di toccare un tasto dolente e insieme vivo, per Padre Bertin. Ma gli chiedo di parlarmi delle sue esperienze, che continuano nel tempo, in Somalia. “Questo si che è un Paese difficile; persino da raggiungere! Quando mi reco a Mogadiscio, debbo fare con l’aereo il giro del Corno d’Africa, con molti scali! Dopo l’assassinio di Mons. Colombo avvenuto il 9 luglio del 1989 per mano di alcuni sicari, forse sgherri di Siad Barre, mi è stata affidata la carica di Amministratore Apostolico. La situazione dei pochissimi cattolici della capitale è quasi insostenibile. Le funzioni religiose si svolgono nelle abitazioni dei fedeli, lontane da occhi spioni; addirittura la Via Crucis si sviluppa tra cucina e salotto, quasi sempre con la partecipazione delle quattro (si, quattro!) Suore della Consolata, vera anima della minuscola comunità cattolica. Le suore sono onnipresenti e attivissime: opere caritative, sanitarie, scolastiche, a favore delle madri e dei numerosi bambini. La popolazione le ha prese a benvolere, non così le autorità civili e religiose musulmane. C’è poi la Caritas, diretta da Davide Bernocchi, uno di Rescaldina, che dà una mano per tentare di superare le difficoltà; inoltre la Radio Vaticana è presente con un programma in lingua somala e da Nairobi alcuni fratelli francescani coordinano le attività pro-Somalia. Gli estremismi religiosi e le forti influenze tribali condizionano la vita di molti. Il mio modesto appoggio e aiuto concreto contribuisce, seppur in parte, ad alleviare gli immancabili momenti di sconforto e di paura”.
La giornata tipo di Padre Bertin
“Quando non debbo assentarmi dalla Diocesi, mi sveglio alle cinque e mezzo e recito le preghiere del mattino con i miei confratelli francescani. Alle sette sono in ufficio e mi dedico alla lettura, ricevo persone, controllo le attività scolastiche e mi occupo della campagna promossa per la raccolta di fondi per il restauro della cattedrale, danneggiata dai frequenti terremoti. La somma necessaria si aggira sui duecentotrentamila Euro; mi aspetto un ragionevole ‘ritorno’ dai fedeli, anche perché la Chiesa affronta sforzi enormi a favore della collettività. Oltre alle scuole, ci occupiamo anche di adozioni a distanza. Un grande aiuto arriva dai miei collaboratori e collaboratrici, fra i quali desidero citare, con enorme affetto, due anziani religiosi: Padre Valentino Mastaglia e Padre Ilarino da Lovere, che per meglio ‘agire’ fra i suoi amici di Gibuti indossa spesso magliette sgargianti e un berrettino musulmano! Vivere qui non è il paradiso, ma non ho motivi per essere scontento. Anche perché lavoriamo fianco a fianco, sempre. Specie dopo le grandi piogge estive, quando la chiesa si riempie di fango e tutti, me compreso, si danno da fare per ripulirla; è la casa del Signore, di Colui che ha scelto me per i suoi disegni. Nelle situazioni dure e di pericolo, il suo appoggio non viene mai meno”.
Chi è Mons. Giorgio Bertin
Il Rev.do Padre Giorgio Bertin, O.F.M., è nato il 28 dicembre 1946 a Galzignano (Padova). Entrato nell’Ordine dei Frati Minori nella Provincia di San Carlo Borromeo il 10 settembre 1967, ha compiuto il normale curriculum di studi ginnasiali e liceali a Milano, conseguendo successivamente il Baccalaureato in Teologia.La professione solenne è del 1972 e l’ordinazione sacerdotale risale al 7 giugno 1975. Dopo l’ordinazione, queste le mansioni svolte: studi al Pontificio Ateneo Antoniano di Roma, dove ha conseguito la Licenza in Teologia Spirituale; Diploma in lingua e cultura araba presso l’Istituto Italiano per il Medio Oriente e quindi un Brevetto d’Arabo Letterario presso l’Istituto di Studi Islamici, oltre ad ulteriori gradi accademici in studi arabi (1975-1977). Queste le tappe della missione in Somalia: parroco della Cattedrale di Mogadiscio (1978-1983), direttore della Caritas e Vicario generale (1984-1989), amministratore diocesano (1989-1991). Dal 1991, dopo l’assassinio di Mons. Salvatore Colombo, Vescovo di Mogadiscio, è stato nominato Amministratore Apostolico della medesima diocesi. Il 16 marzo del 2001 il Santo Padre Giovanni Paolo II ha ricevuto in udienza Padre Bertin e il 4 aprile dello stesso anno lo ha nominato Vescovo di Gibuti.