Una regione squassata. Atterrita dal numero delle persone che non ci sono più, terrorizzata dalle scosse continue che per giorni hanno continuato a togliere il sonno, passando di città in città come un rastrellamento invisibile, pronto a colpire all’impazzata al minimo cedimento di nervi. Una regione che si sveglia sbriciolata, nella forza lavoro, nell’economia, nell’arte, nelle istituzioni. Che si guarda intorno e si scopre preda di malaffare, speculazioni, costruttori di morte. L’Aquila un posto d’Italia genuino, a volte ingenuo, che ha sempre fatto della sua qualità della vita una bandiera delle attività produttive, del turismo, che ora drizza le orecchie e rimane attonita di fronte al sentir parlare di infiltrazioni mafiose.
Dignità e orgoglio
Una regione di profumi, sapori, panorami. Una regione sincera che reagisce con dignità, orgoglio, magari sfrontatezza.
“Io non crollo” è scritto sulle magliette che indossano questi giorni a Coppito, sede dell’Università che intanto ha ripristinato il collegamento internet e che organizza le prime riunioni del corpo docenti, con la partecipazione massiccia degli studenti (www.univaq.it).
Una regione che fa della sua solidarietà silenziosa e sincera, a tutti i livelli, di tutti verso tutti, la vera forza incrollabile del suo essere, della sua essenza. Una regione che spesso, anche con tentazioni di lassismo, si lamentava che non se ne conoscesse nemmeno la collocazione geografica. L’Aquila si è spostata di quindici centimetri a causa del sisma. Dove si trova e dov’è l’Abruzzo ora lo sanno in tutto il mondo.
Bombe dalla profondità
L’Aquila è una città bombardata. Questa la metafora più usata per descrivere gli effetti del terremoto nel capoluogo abruzzese. Ma a vederla così conciata, così come il suo territorio intorno, sembra piuttosto che una forza inumana l’abbia colpita da sotto, percossa, come colpi di scopa dati sul soffitto per lamentarsi di un vicino rumoroso.
L’Aquila è sobbalzata, per poi ricadere su se stessa. Nelle ore immediatamente dopo la scossa, dopo l’attacco dell’orco – come la presidente della provincia dell’Aquila, Stefania Pezzopane, definisce il sisma in tutte le interviste rilasciate – avvicinarsi alla città dà l’idea della distruzione. Già dalla piana di Navelli – da dove viene lo zafferano traino della tradizione e dell’economia – si vedono le mura delle piccole chiese, sgretolate. Già prima era difficile aprirle a fedeli e turisti, chissà quanto dovranno attendere ora per tornare in vita. Più avanti, i crolli di abitazioni a ridosso di piccoli bar, crocevia di paese.
Colpita al centro, nel suo cuore
Porta Napoli, uno dei principali ingressi al centro della città, ha perso le ali laterali. Alle sue pietre si sommano i calcinacci del palazzo di lato. Passando con la macchina si è colpiti come da una tempesta di sabbia e quando il parabrezza si schiarisce comincia la visione di quello che rimane. Anche soccorritori e colleghi giornalisti arrivati da tutto il mondo non riescono a trattenere i commenti e lo sgomento. Il fatto è che guardandosi intorno non c’è una casa che non abbia crepe, fratture, crolli. E quelle che da fuori sembrano intatte, dentro sono vuote, è tutto crollato. In altre sembra che le pareti siano state tagliate via, segate e poi prese a spallate. Dentro, per assurdo, è tutto in ordine: il lampadario ha retto, hanno retto persino i quadri, le sedie, gli asciugamani nei bagni offerti ai teleobiettivi. Nella stessa zona di una casa è rimasto solo il tetto che ha schiacciato tutto. Lì vicino c’è il castello cinquecentesco, simbolo della città: ha avuto danni alla facciata e agli interni, ma il suo perimetro sembra compatto, come difeso dal fossato che lo circonda. Prima di prendere corso Federico II che porta al centro città, ci sono le case dette “sotto la Villa”. Una palazzina s’è sbriciolata e qui è morto un giocatore di rugby, lo sport aquilano per eccellenza.
La campana che non suona più
A Piazza Duomo la torre campanaria della Chiesa delle Anime Sante giace a terra. Deve aver fatto un rumore secco quando è caduta dall’alto. La cupola della stessa chiesa mostra al cielo le sue decorazioni e ogni ripresa televisiva, ogni scatto è già vecchio, tutto crolla in diretta. Dentro c’è un dolore forte, in mente il pensiero che tutto sia perduto. C’è un senso di vergogna. Il cervello martella: “Tutti questi morti e pensi a una cupola?”. Sì, perché è territorio, è arte, è vita, è senso di appartenenza. E se scompare questo, scompare tutto.
Recuperare ciò che è possibile
A Piazza Duomo c’è una tendopoli militare al posto del mercato che di solito la anima. Alcuni studenti, prima che la zona venga interdetta, riescono a portare via qualcosa da casa. Nella furia di fare presto, hanno infilato tutto in bustoni di plastica che si rompono col peso. Le molliche della favola di Pollicino sono pezzi di vita e pietre tutt’intorno. Poi le suole degli scarponi cominciano a gracchiare, districandosi tra macerie, calcinacci, travi, parapetti esplosi, soffitti sfondati, macchine coperte da pietre. E nel centro storico dell’Aquila non servono più parole. Come quando si arriva alla Basilica di Collemaggio: la Porta Santa laterale semiaperta lascia intravedere il disastro che c’è dentro.
La non-casa dello studente
A L’aquila c’era un Ospedale che le prime indagini dicono non fosse proprio fatto bene. Così la Casa dello studente. Davanti ci sono state per giorni squadre di soccorso e telecamere. E a un paio di metri di distanza i genitori che attendevano di conoscere la sorte dei loro figli. Nel caos, c’è una signora con cappotto rosso, arrivata già con la chiave del portone in mano, sfoderata come una spada per difendersi dal dolore. Abitava lì, a due passi dagli studenti, voleva rientrare a casa a prendere un paio di cose. Ma i Vigili del Fuoco l’hanno dovuta far allontanare per pericolo di crolli.
Bianco, rosa e blu
Sarebbe un bel periodo per fare escursioni e passeggiate da queste parti. Ci sono le fioriture degli alberi, rosa e bianco. Ci sono i prati, la neve che dalle montagne comincia a sciogliersi e che per ora fa da sfondo a paesi che non ci sono più, come la frazione di Onna. Dalle pareti rocciose, però, non scendono solo corsi d’acqua gelida. La scossa ha causato frane, come quella che a Fossa minaccia il paese ora anche senza più il ponte. Per raggiungerlo c’è solo uno sterrato. Sono decine le frazioni colpite, migliaia gli sfollati ospitati nei campi allestiti dalla Protezione civile. Il blu delle tende punteggia un intero territorio, dai campi più grandi come quello di Piazza d’Armi ai più piccoli, fatti anche di una sola tenda di fronte a case inagibili.
Il territorio ferito va oltre L’Aquila e i suoi comuni
Si gira per Santo Stefano di Sessanio, uno dei Borghi più belli d’Italia, dove non c’è più la Torre medicea che svettava con i suoi diciotto metri. “Abbiamo ricevuto messaggi di solidarietà da tutta Italia – spiega il sindaco, Elisabetta Leone -. Grazie a dio non abbiamo avuto vittime, ma il centro del borgo è distrutto. La Città di Firenze vorrebbe adottarci per aiutarci nella ricostruzione, la lana che si vendeva a Firenze veniva da Santo Stefano”. L’elenco dei paesi è lungo: Bazzano, Paganica, Poggio Picenze, Villa S. Angelo, San Dementrio dei Vestini, Fileto, Pescomaggiore, Monticchio, S. Gregorio, Casentino, S. Pio delle Camere, Camarda, Tempera, Ocra. Tutti con le loro ferite, i morti e i danni al patrimonio artistico (che col passare dei giorni si registrano anche in chiese e palazzi di altre città abruzzesi, dal duomo di Teramo all’abbazia di San Clemente a Casauria in provincia di Pescara, fino a tutte le chiese di Penne, inagibili. Come pure il Museo dell’olio di Loreto Aprutino). E poi ci sono le altre migliaia di persone ospitate negli alberghi e nei campeggi sulla costa, da quella teramana a quella pescarese. Anime vaganti, in cerca di una parola, di condivisione. Come quella offerta dagli psicologi dell’associazione Pea-Psicologi dell’emergenza abruzzesi che offrono gratuitamente il loro supporto ai terremotati. Hanno una tenda verde a Piazza d’Armi e girano per i paesi e le località che hanno accolto gli aquilani costretti a lasciare la loro città. Tutti hanno un terrore che li accomuna, una richiesta: “Non ci abbandonate, ricordatevi di noi, continuate ad aiutarci, anche a telecamere spente”.
(17/4/09)
Il servizio dell’inviato di Mondointasca Alessandro Ricci è stato documentato dalle immagini scattate da Valentina D’Ascanio dal 6 al 13 aprile.
Disperata speranza!”
Abbiamo ricevuto messaggi di solidarietà da tutta Italia – ha spiegato il sindaco di Santo Stefano di Sessanio, Elisabetta Leone – grazie a Dio non abbiamo avuto vittime, ma il centro del borgo è distrutto”