Lunedì 6 Maggio 2024 - Anno XXII

Valle del Turano, nel Lazio di una volta

Piccoli paesi si affacciano sul lago. Il silenzio interrotto solo dal rintocco della campana. E la vista che spazia fino ad abbracciare San Pietro nelle giornate di tramontana. In tavola tartufi, castagne e persico reale. Per un soggiorno di relax

Collalto Sabino. Paese dai ritmi lenti

La vista che si gode dal paese
La vista che si gode dal paese

Percorrendo il lago verso sud si raggiunge l’altro paesino tra i borghi più belli d’Italia: Collalto Sabino. Anche questo è arroccato sulla sommità del colle, come recita il nome. Non c’è da stupirsi se si considerano le scorrerie saracene del IX secolo che costrinsero un po’ tutti gli abitanti della Valle a ritirarsi sui rilievi montuosi. L’auto resta fuori dalle mura, si procede a piedi in salita lungo strette vie lastricate. L’aria è fresca e fina nonostante il caldo estivo. Merito dell’altitudine; Collalto è situato a 1.000 metri sul livello del mare. Pochissimi gli abitanti (circa 500) e un centro storico molto ben conservato.

Il silenzio, i tempi quasi dilatati, alcune signore che separano i fiori colorati per coprire i violetti in occasione della piccola infiorata che si fa per tradizione il giorno del Corpus Domini: tutto questo è Collalto, un paese dai ritmi lenti. Deliziosa la piazzetta della Podesteria con la fontana ottagonale e i piccoli edifici in pietra con i balconcini e i gerani fioriti che trasmettono una sensazione di cura e attenzione.

La Marsica a un passo dal Castello baronale

Le torri merlate del castello di Collalto Sabino
Le torri merlate del castello di Collalto Sabino

Curioso il piccolo e accurato giardino di proprietà di una famiglia locale di origini nobili, i Latini. Si tratta dell’unico caso di giardino all’italiana a 1.000 metri di altitudine, con le siepi potate a forma di piccole piramidi che si stagliano sullo sfondo delle montagne. Ogni prima domenica di settembre nella cappelletta privata dedicata alla Madonna della Speranza, la famiglia organizza una festa offrendo ai compaesani un piatto di minestra con le fave, una tradizione che rimanda a quella delle regalie che i nobili casati prestavano di tanto in tanto al resto della comunità.

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Dominano il borgo i torrioni merlati del castello quattrocentesco, dall’aspetto austero e massiccio. Salendo sul punto più alto si apre un panorama che regala una vista a 360° su tutto il territorio. Si vede il Terminillo e l’Abruzzo è a un passo, con la cima del Gran Sasso e il verde della Maiella. L’occhio arriva ad abbracciare una trentina di piccoli paesi sottostanti. Una posizione privilegiata su una porzione di terra strategica in età medievale: il castello si trovava infatti al confine tra lo Stato della Chiesa e il Regno di Napoli.

Il lago del Turano nei ricordi degli anziani

L'alta diga di calcestruzzo che contiene il lago
L’alta diga di calcestruzzo che contiene il lago

L’aspetto più suggestivo della Valle è senz’altro quello legato al lago su cui si affaccia anche il grazioso paesino rivierasco Colle di Tora e in alto i vicini comuni di Ascrea e Paganico. Dalle loro terrazze panoramiche, all’ora del tramonto, la vista è da cartolina ma la pace e i colori tenui del paesaggio lacustre, in realtà, alla gente del posto richiamano una storia di dolore.

Come si accennava, il lago non è un prodotto della natura. L’invaso è stato realizzato negli anni Trenta, sotto il Fascismo. Tra il 1936 e il 1940 furono eretti due sbarramenti sui fiumi Salto e Turano collegati da una galleria sotterranea di circa nove chilometri. Un’opera imponente per quei tempi con una alta diga di calcestruzzo che si può attraversare a piedi o in macchina. L’acqua dei fiumi convogliata ha finito per ricoprire una vasta area della piana, allagando campi coltivati e casolari per fornire energia non ai paesini nei dintorni, ma alla centrale idroelettrica di Cotilia più a nord e alle altre centrali nei pressi di Terni.

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Si racconta di alcuni contadini della Valle che su piccoli barchini raggiungevano quelli che fino a poco tempo prima erano i loro orti per raccogliere le ultime pannocchie e i grappoli d’uva superstiti. In pratica si è trattato di un intervento radicale e imposto con decisione, che ha dato lavoro per anni alla gente del posto ma che una volta chiusi i cantieri ha finito per ripercuotersi sugli equilibri economici e sociali locali, sconvolgendoli: quasi 500 ettari sono stati espropriati per pochissime lire costringendo molti abitanti a lasciare la propria terra.

Le conseguenze sono ancora visibili passeggiando per questi borghi abitati ormai da poche centinaia di anime, quasi tutte con i capelli bianchi. Non mancano esempi virtuosi, giovani che hanno scelto di restare, rinunciando al richiamo delle grandi città, magari avviando attività in loco come ristoranti e bed&breakfast.

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