Hanno fatto il giro del mondo “‘O surdato ‘nnammurato”, “Reginella”, “Te voglio bene assaje”. Parole e melodie che tornano a casa loro, a Napoli, nelle sale del nuovo Museo Casa della canzone napoletana, nel quartiere periferico di Chiaiano. L’istituzione si chiama “Enne“, come la consonante iniziale di Napoli, e vuole essere uno spazio duplice nelle sue funzioni: un museo, appunto, che ripercorre la storia della canzone partenopea dalle sue origini alle moderne interpretazioni, e insieme un laboratorio gratuito di chitarra, mandolino, liuteria e canto con tanto di auditorium per “avviare” alla musica i giovani artisti e appassionati, dagli otto anni in su. In effetti, Enne è stato ideato proprio per loro, i ragazzi napoletani ma non solo, racconta il direttore artistico Peppe Napolitano, storico e rigoroso interprete a capo dell’Associazione “Teatro stabile della canzone napoletana” che si è incaricata della realizzazione della casa museo.
Risvegliare le energie musicali della città
“La memoria di questo grande patrimonio musicale, dello stile di canto autentico, legato all’identità della città, sta degenerando e disperdendosi soprattutto tra le nuove generazioni che conoscono più i suoi aspetti dilettantistici”, dice il neo-direttore, “il rischio è che tra dieci o quindici anni per ascoltare quelle storiche melodie si debba acquistare un cd”. La canzone napoletana che ha in mente Peppe Napolitano è quella che ha appreso dal suo maestro Sergio Bruni, secondo uno stile rigoroso, depurato dall’aspetto più folcloristico e stereotipato anche da un punto di vista interpretativo.
Enne, ci racconta il direttore, è il punto di arrivo di un progetto avviato e sognato proprio da Bruni vent’anni fa e intrapreso anche dallo stesso Napolitano con la sua associazione: mettere in piedi un centro, una scuola che perpetui questo stile canoro, “senza fare, in fondo, nulla di straordinario, semplicemente liberare le energie musicali di Napoli togliendo la polvere a un patrimonio che è lì, ma è come se fosse dormiente”.
Siamo tutti napoletani
Lo spirito che anima il progetto, spega Napolitano, segue proprio questa direzione: abbandona l’approccio campanilistico per aprirsi alla sperimentazione e alla ricerca, in un laboratorio di idee al quale parteciperanno interpreti come Moni Ovadia, Raiz, Enzo Avitabile, I virtuosi di San Martino (all’incirca l’equivalente de “I Gufi” del Nord Italia), Mario Tronco dell’Orchestra di Piazza Vittorio. Alla presentazione del museo insieme alle autorità comunali c’era anche Ovadia: “Siamo tutti napoletani – ha detto l’attore -. Noi tutti siamo al servizio della canzone e io, che sono figlio del popolo, figlio di profughi bulgari che con i napoletani è cresciuto nella Milano degli anni Cinquanta, oggi mi sento più ricco. Peppe Napolitano è “pazzo” nell’aver pensato di realizzare un simile progetto. Ma era necessario. La canzone napoletana è il paradigma del mondo, e nonostante abbia una radice territoriale è un bene universale”.
(2/12/09)
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