Giovedì 25 Aprile 2024 - Anno XXII

A spasso per la città. Come moderni Charlot

Gli sketch dei primi film comici americani hanno sdoganato la figura del “flâneur”, vagabondo e donchisciottesco clown che a passi ciondolanti si batte contro ottusi poliziotti. Una passeggiata singolare che sopravvive all’oblio dell’anonimato della città

Charlot inseguito da un poliziotto
Charlot inseguito da un poliziotto

“Andava per così dire a erborare sull’asfalto”

Walter Benjamin

 

Un altro autore che può aiutarci a comprendere meglio il nesso fra il camminare e il contesto urbano è Walter Benjamin, uno dei maggiori studiosi delle grandi città e dell’arte di perlustrarle a piedi. Particolarmente interessanti furono i suoi studi parigini. Benjamin lasciò un’ingente raccolta di citazioni e di note per un libro mai completato, Passagenwerk (Progetto per i passages di Parigi), che doveva ulteriormente approfondire il concetto del camminare e i temi a esso connessi: Parigi, le gallerie parigine e la figura del flâneur.

Cosa sia esattamente la figura del flâneur non è mai stato definito in modo adeguato, ma tra le tante versioni, che spaziano dal fannullone primordiale al poeta silente, un elemento rimane costante: l’immagine di un osservatore solitario che vaga per le vie di Parigi a cavallo fra il XIX e l’inizio del XX secolo.

Lo stesso Benjamin non definì mai chiaramente il flâneur e si limitò ad associarlo a una serie di cose: il tempo libero, le folle, l’alienazione o il distacco, l’osservazione, il camminare e, in particolare, il passeggio nelle arcades o gallerie.

Radiografia di un perfetto flâneur

Raffigurazione di un gentiluomo che perlustra a piedi la città
Raffigurazione di un gentiluomo che perlustra a piedi la città

Il flâneur nacque in qualche momento degli inizi del XIX secolo, quando la città era divenuta così grande e complessa da essere per la prima volta estranea ai suoi stessi abitanti. Il flâneur impersonificava una nuova tipologia umana, un individuo che in questa alienazione era di casa. “La folla è il suo dominio, come l’aria è dell’uccello, come l’acqua è del pesce”, scrive Baudelaire. “La sua passione e la sua professione è di sposare la folla. Per il perfetto curioso, per l’osservatore appassionato è un immenso godimento eleggere come domicilio la folla, l’ondeggiante, il movimento, il fuggitivo e l’infinito. Essere fuori di casa e ciò non pertanto sentirsi in casa propria”.

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Un tipo unico e singolare con l’unica pecca di non essere mai esistito se non come tipo ideale o figura letteraria, che, raccontato così in profondità fin nei minimi particolari, è diventato quasi realtà. In quegli anni, tutti fecero a gara nel fornire una qualche versione dei suoi modi di vita, ma mai nessuno materializzò l’idea accostando questo termine a una persona reale.

L’incursione nei film comici del primo Novecento

Stanlio e Ollio teste dure (1938)
Stanlio e Ollio teste dure (1938)

Tipi per certi versi simili al flâneur, ma ognuno con una propria singolarità, sono stati i personaggi culto dei film comici del primo Novecento. Charlie Chaplin, Buster Keaton, Stanlio e Ollio. Ognuno di loro nei propri sketch si muoveva – spesso a piedi – e ognuno di loro, a suo modo, faceva ridere. Nel mondo del cinema, negli anni che seguirono la Prima Guerra Mondiale, ci fu un innegabile nesso fra la comicità e questi personaggi pseudo-nomadi.

Oltre alla tradizione dei flâneur questi personaggi cinematografici, chi più chi meno, si rifacevano allo stile di vita degli hobo. Gli hobo sono dei lavoratori migranti: degli homeless disposti ad andare dovunque per cogliere l’opportunità di un lavoro, ma al tempo stesso non attaccati ad esso per un senso di irrequietudine che dopo pochi mesi li porterà a seguire un’altra opportunità in un altro luogo. Potremmo definire l’hobo come il bohémien dei ranghi del lavoro comune. In molti degli sketch di questi film è proprio il lavoro occasionale a offrire ai personaggi un spunto per le loro gag. Molto spesso è l’incompetenza a rendere tragicomica la situazione e a fare scaturire la risata.

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