Un amore finito sulla Grande Muraglia
Diversi, dopo Long, furono i “performer” che si cimentarono in “happening” o opere d’arte basate sul camminare. Ma di tutte le performance legate al camminare, la più drammatica, ambiziosa ed estrema fu “Great Wall Walk” (Camminata della Grande Muraglia) realizzata nel 1988 da Marina Abramovic e da Ulay, entrambi artisti performativi radicali dell’Est comunista. Intendevano camminare l’uno verso l’altra dalle estremità opposte dei quattromila chilometri della Grande Muraglia cinese, incontrarsi e sposarsi. Anni dopo, quando erano finalmente riusciti a superare gli ostacoli burocratici frapposti dal governo cinese, il loro rapporto era talmente cambiato che la camminata si trasformò nella fine della loro collaborazione e della loro relazione sentimentale. Nel 1988 camminarono per tre mesi l’uno verso l’altra, si abbracciarono al centro e se ne andarono ciascuno per la propria strada.
Questi movimenti artistici, che hanno caratterizzato il Novecento, hanno richiamato l’attenzione sugli aspetti più semplici dell’atto del camminare: il modo in cui il camminare rurale misura il corpo e la terra, l’uno nei confronti dell’altra; il modo in cui il camminare urbano produce incontri sociali imprevedibili. E sui più complessi: il modo in cui il camminare modella il mondo mappandolo, il modo in cui il camminare parte da una cultura esistente per reinventarla. Nel momento in cui il camminare quotidiano era in agonia e stava scomparendo, come spesso accade, è stata l’arte a rivitalizzarlo come pratica fondamentale per la cultura umana.
(07/06/10)
Erranze urbane notturne, per una città diversa
Negli anni Cinquanta i lettristi avevano cominciato a mettere a punto una teoria fondata sulla pratica dell’erranza urbana. I giovani scrittori che si davano appuntamento nelle notti parigine cominciarono a scrivere e a pubblicare delle singolari guide turistiche e formulari d’uso della città. Spesso erano delle vere e proprie guide che insegnavano a perdersi nelle città, per provare il senso dell’esotico, anche a due passi da casa propria. Così l’altrove è ovunque, l’esotico è sempre a portata di mano; è sufficiente perdersi ed esplorare la propria città.
Alla città inconscia e onirica surrealista si sostituisce, con i lettristi e i situazionisti, una città ludica e spontanea. Secondo i situazionisti bisognava salvaguardare l’utilizzo del tempo libero non produttivo che altrimenti sarebbe stato convogliato nel sistema di consumo capitalista, attraverso la creazione di bisogni indotti. Bisognava evitare che il tempo dello svago si trasformasse sempre più in tempo del consumo passivo; il tempo libero doveva essere un tempo da dedicare al gioco.
Il primo passo da fare era cercare di comprendere i desideri latenti della gente, provocarli, risvegliarli e sostituirli a quelli imposti dalla cultura dominante. Così facendo, l’uso del tempo e dello spazio sarebbero sfuggiti alle regole del sistema e si sarebbero costruiti nuovi spazi di libertà. In questa concezione la città è un gioco da utilizzare a proprio piacimento, uno spazio da vivere collettivamente, dove sperimentare comportamenti alternativi, dove perdere il tempo utile per trasformarlo in tempo ludico. Bisognava contestare il concetto di circolazione come supplemento del lavoro, per passare al concetto di circolazione come piacere e come avventura.
Con Long, ecco i “cammini onirici”
L’artista contemporaneo che più si dedica all’esplorazione del camminare come medium artistico fu l’inglese Richard Long. Gran parte della sua produzione successiva si poteva ritrovare nel suo precoce “A Line Made by Walking” (Una linea realizzata camminando) del 1967. La fotografia in bianco e nero rappresenta un sentiero erboso che corre diritto dal centro fino agli alberi all’estremità più lontana del prato. Camminare divenne il medium principale di Long. Da allora le sue mostre d’arte consistettero in opere su carta che documentavano le sue camminate, fotografie di ulteriori segni nel paesaggio, realizzati nel corso di quelle camminate e altre sculture realizzate in interni che documentavano le sue attività all’aria aperta.
Sotto vari aspetti le opere di Long somigliano a resoconti di viaggio, ma invece di raccontarci come l’artista si era sentito, che cosa aveva mangiato e altri dettagli del genere, i brevi testi e le immagini non abitate lasciano la maggior parte del viaggio alla fantasia dell’osservatore. Questo è uno degli elementi che distingue tale genere di arte contemporanea, che chiede all’osservatore di fare un bel po’ di lavoro per interpretare l’ambiguità e per immaginare il non visto. Questo genere di arte non ci dà né una camminata né la rappresentazione di una camminata, ma soltanto l’idea di una camminata e l’evocazione del luogo in cui essa si è svolta.