Venerdì 19 Aprile 2024 - Anno XXII

Transilvania Graffiti

Romania foto-Jiří-Bernard

Passando a volo d’uccello sulla sconfinata campagna rumena, landa argillosa che pare refrattaria a qualunque addomesticamento, dopo la violenza subita in oltre mezzo secolo di comunismo. Eppure una speranza c’è. Si chiama Italia. Ma la alimentano anche i tanti giovani rumeni che hanno deciso di restare

Nuova e vecchia generazione a confronto (Foto: Romania.it)
Nuova e vecchia generazione a confronto (Foto: Romania.it)

La migliore metafora per descrivere la desolazione in cui oltre mezzo secolo di comunismo ha lasciato certe zone della Romania è quella offerta dalla condizione del suolo. Della campagna, cioè. A volte non sembra semplicemente abbandonata, ma peggio: raschiata, abrasa, umiliata. Un passaggio di falce e martello e via, tabula rasa di tutto: di vita, di colture, di gente, di animali, di macchine, di prospettive. In certe zone della Romania di oggi la terra non è semplicemente res nullius, come potrebbe sembrare a giudicare dal suo stato derelitto: ha dei proprietari, invece. Ma sono proprietari che, nella grande maggioranza dei casi, non sanno che farsene di quel terreno. Un terreno martoriato, azzerato, irto di pezzi di filo di ferro che paiono le spine d’acciaio, relitti non riciclabili di un’epoca difficile da dimenticare. E sbriciolato, per non far torto a nessuno, in strisce lunghe e sottili che risultano impossibili da coltivare.

Arida terra amara

Romania Campagna rumena
Campagna rumena

Qui, nelle sconfinate pianure argillose del Banato, ad esempio, la sensazione è che qualcosa sia stato cavato a forza: il senso, l’assetto geologico, le partizioni agronomiche e catastali, la funzionalità, la redditività, gli accessi. La gente stessa. Una campagna inerte. Non è solo una questione di paesaggio, ma di pelle.

Né giovano a lenirla le vaste aree coltivate che affiorano qua e là, quasi lo fossero obtorto collo. A chi può giovare del resto un pugno di terra improduttivo, irraggiungibile, isolato fisicamente dalla mancanza di infrastrutture, senza la disponibilità di mezzi meccanici e di capitali? A nessuno.

E allora ecco la ragione di certi villaggi semideserti. Una rassegnata economia di sopravvivenza che galleggia ai margini delle città. Difficile insomma parlare di agricoltura nel senso a noi familiare, anche se ovviamente qualche attività agricola c’è: ma a prima vista pare se ne siano smarrite le radici, il know how, le tradizioni, la continuità, la progettualità. Insomma gli elementi fondamentali del mondo rurale.

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Guasti del socialismo reale

Romania TransilvaniaOsservata da un punto di vista agronomico, spesso la Romania somiglia a un luogo in cui vivono contadini che non sanno più fare i contadini. Gente emarginata, relegata dal destino all’estrema periferia di una società che vorrebbe disperatamente agganciare il treno del consumismo. Il socialismo reale ha prima privato le vecchie generazioni della proprietà, poi della dignità, poi del senso di responsabilità e infine, infierendo, della capacità di lavorare. Qui ci sono braccia robuste, intendiamoci. Spesso pure volenterose, perfino indefesse. Ma, per ammissione dei romeni stessi, non sempre dotate della necessaria coscienza e cultura del lavoro. Restando in queste condizioni la campagna, fatalmente, tenderebbe a dissolversi: i mezzi non ci sono, le risorse nemmeno, la terra neppure. Quella che c’è è polverizzata tra troppi padroni, impoverita da un uso dissennato o da un abbandono durato troppo a lungo.

Transilvania, una linfa giovanile

La speranza riposta nei giovani (Foto: Romerican.com)
La speranza riposta nei giovani (Foto: Romerican.com)

Per fortuna, però, ci sono i giovani. Non tutti i giovani, è ovvio. Ma tanti, comunque. Molti più di quanto nel lontano-vicino occidente si potrebbe pensare. Laureati o semplici diplomati. A volte anche poco scolarizzati, ma tutti determinati a cercare il riscatto del loro paese. Come? Innanzitutto non partendo, non andando a cercare fortuna altrove. Mica è poco. E poi rinunciando al posto in fabbrica e dedicandosi alla terra. Vita dura, sotto tutti i punti di vista. Eppure non è un miracolo, né lo sembra. E’ solo l’altra faccia della Romania. E il suo futuro.

E anche grazie a loro se le poche grandi aziende presenti sul territorio, quasi sempre frutto di investimenti stranieri che hanno faticosamente riaccorpato le piccole proprietà, riescono oggi a galleggiare e a progredire in un contesto apparentemente così inospitale.

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Nuove speranze

Romania Foto Falco-Pixabay
Foto Falco-Pixabay

Dapprima, come se fossero appena posate sopra alla terra, faticano ad affondare le radici. Ogni cosa appare precaria. Quasi che il suolo tentasse di respingere ciò che si tenta di fare. I campi ora trasformati in macchia inselvatichita, ora infestati dalle canne palustri che proliferano sui fondi impaludati, fradici d’acqua. Boschi abbandonati da decenni e trasformati in legnatico occasionale, da rapina. Qualche macchina agricola all’orizzonte, sparuti operai. Appezzamenti semideserti coltivati passivamente. Una rete di strade nata forse per collegare luoghi di produzione ma non certo le comunità. Si è perduto il tessuto sociale, l’antropizzazione del mondo rurale.

Poi però scatta qualcosa. Le sirene della catena di montaggio e dei telefonini cessano di cantare. Il giovanotto di campagna preferisce rinunciare a fare il tornitore e si tiene stretto il posto di trattorista. La ragioniera si sciroppa trenta chilometri di sterrato per far tardi nell’azienda che sta per nascere. L’impiegata si impegna a fondo per sconfiggere la burocrazia e il pregiudizio dei datori di lavoro stranieri. All’inizio pensavo fossero solo felici eccezioni.

Un futuro da ricostruire

Cheile Turzii-foto Cristian Bortes
Cheile Turzii-foto Cristian Bortes

Scavando, ho scoperto invece che è una realtà in crescita. Imprese che, alla legittima volontà di guadagno (e talvolta di speculazione, mica è proibito) affiancano la volontà di reinstillare nella gente una parvenza di cultura agricola. Obbiettivo difficile, ma non impossibile. Faticoso da raggiungere. Bisognoso di pazienza e di progettualità. Gocce di una mentalità diversa (e, diciamolo con una punta di orgoglio,anche un po’ italiana) lasciate cadere a fecondare un’umanità rivelatasi, a sorpresa, tutt’altro che arida.

Gli effetti? Già ci sono, ma ne parleremo domani.

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Intanto, dal finestrino, il basso profilo delle colline annuncia il passaggio dal Banato alla Transilvania, mentre all’orizzonte si elevano le prime alture dei Pre Carpazi. Le uniche capaci di superare in altezza le gigantesche ciminiere sparse disordinatamente a fondo valle. E alle quali i giovani rumeni guardano con una speranza di riscatto, fatta ora di rabbia e ora di determinazione. (1-continua)

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