Venerdì 11 Luglio 2025 - Anno XXIII

Gujarat: Leoni asiatici, templi e notti da Nababbi

A zonzo nelle città e cittadine del Gujarat, fra templi dalle scalinate altissime, musei con auto di lusso, alberghi ex palazzi preziosi di Maharajà ricchissimi. Con la speranza, delusa, di incontrare il famoso “Leone Asiatico”

Gujarat

Giunto al quinto giorno il viaggio nel Gujarat prosegue piacevolmente dopo aver lasciato alle spalle i due quasi millenari templi di Patan e Modhera, gli Asini selvatici nel Little (piccolo) Rann (deserto) of Kutch, l’infinita distesa di sale nel Rann più grande (popolato da antiche tribù esperte in un ancestrale artigianato) e nel capoluogo del Kutch, Bhuj, bei palazzi (uno fu il set di un importante film di Bollywood), purtroppo colpiti dal drammatico terremoto del 2001(7,9 della scala Richter, uno sfacelo che devastò financo la morfologia del territorio).

Tracce coloniali e dimore “da” Maharajà
Gujarat: Leoni asiatici, templi e notti da Nababbi

Arrivati al punto più nord-occidentale della spedizione (un centinaio di chilometri di deserto e si entra nel Pakistan) si punta a sud-est, nella zona del Gujarat più popolata e ricca (non certo di soldi ma di possibilità di sfamarsi: la terra è generosa, abbondano cereali, frutti, ortaggi, si trova sempre qualcosa da accompagnare al Chapati, versione indiana della gloriosa, romagnola Piadina). Circa 250 chilometri da Bhuj a Gondal, stop a Rajkot, capitale di un opulento principato, poi sede di importanti uffici amministrativi coloniali (nel museo voluto a fine ‘800 dal colonnello John Watson in stile che più vittoriano non si può, potrebbe mai mancare la statua della Queen? Certo che no) e infine temporanea residenza di Gandhi (visita della casa, tanti indiani in posa per foto ricordo). A Gondal (100.000 abitanti) ex capitale di uno staterello (1000 chilometri quadrati) governato dai Rajput Jadeia (riporta una guida: casta di guerrieri hindu un tempo dominatori dell’India nord-occidentale), le ricchezze non fecero certamente difetto. Una prova? Due. Prima di essere alloggiato in un deluxe Palace che nel XIX secolo ospitò potenti e vip in deferente visita al Maharajà Bhagwat Singhji (e adesso accettano pure me, cosa non fanno i ricchi per campare) vengo invitato a visitare l’adiacente garage-museo della Real Casa e mi imbatto in una cinquantina dei modelli più costosi delle case automobilistiche mondiali.

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La preziosa “pancia” dell’Aga Khan
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E visitando al Naulakha Palace il museo con memorabilia di usi e costumi nell’India islamica, scopro la veridicità di quella che ai miei tempi si riteneva una balla (che “l’Aga Khan valeva tant’oro quanto pesava”, e chissà che solo per questo minimo dettaglio Rita Hayworth si maritò col figlio dell’Aga, Karim, quello della Costa Smeralda). Ammiro infatti la bilancia certificante (ultima celebrazione,1934) la pesantezza del locale Maharajà con contestuale trasformazione di carne e ossa in più concreti chili d’argento: che nella citata performance fu graziosamente ceduto ai poveri (si spera Harijan, i ben noti “intoccabili”, fanalino di coda nella classifica Hindu delle caste). Il tempo di constatare che ormai gli unici Maharajà rimasti al mondo sono i pedatori del Calcio (ma forse Messi e Ronaldo valgono più dell’oro che pesano) e si arriva a Junagadh. Un’altra delle città ‘medie’ (circa 200.000 ab., non pochi, ma siamo in India) che rendono valido un tour nel multietnico Gujarat (nei frangenti della spartizione il Nawab-nababbo di Juanagadh avrebbe annesso il suo ministato al Pakistan, ma la maggioranza hindu disse no e lo cacciò).

Scalinate fino al cielo
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‘Highlights’, attrazioni locali: nel policromo mausoleo (Mahabat Maqmara) di metà ‘800, un gran bel mixage di architettura indo-euro-islamica; all’Uparkot Fort si arriva in salita per poi scendere in due plurisecolari pozzi a gradini eppoi l’attività fisica prosegue con il giro della possente muraglia; a Girnar Hill, distante 10.000 (pure irregolari) gradini di pietra, vorrà recarsi, ad ammirare natura e misticismo, chi non ha già previsto (solo 7200 gradini) la scarpinata all’ancor più importante santuario Giainista di Palitana (vedi avanti). Dopo un elefante (di probabile ‘impiego turistico’) avvistato in una strada di Ahmedabad, alcuni cammelli (ad ‘uso agricolo’) in campagna e gli entusiasmanti Asini Selvatici rincorsi nel Ranno of Kutch, i miei contatti con la zoologia del Gujarat proseguono nel Sasan Gir National Park alla (possibile) scoperta del Panthera Leo Persica o Leone Asiatico (da non confondersi con il Panthera Leo Leo alias Leone Africano).

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Un Leone (asiatico) con voglia di “privacy”
Gujarat: Leoni asiatici, templi e notti da Nababbi

Un tempo comune dalla Siria all’India orientale, riconoscibile per la criniera meno folta ma più espansa, il leone detto anche del Thar sarebbe scomparso (ne erano rimasti 12) se all’inizio del secolo scorso l’ecologo (ma in precedenza ne aveva accoppati parecchi) Nawab/nababbo di Junagadh non avesse istituito questo Parco. All’attuale anagrafe si contano 440 leoni e leonesse, tutti assai restii a farsi vedere (voglia di privacy, prole a cui pensare, problemi di prede, sempre più rare, e il leone asiatico mangia solo carne fresca, mica l’africano che assente la carne fresca non disdegna le carogne). Foto, quindi niente – meglio gli Asini del Rann dei Leoni del Gir – ricorro alla fantasia (non erano ubicati in India quei salgariani racconti di cacce dall’elefante e tigri zompanti?) non senza dubitare sui safari turistici rompenti le balle agli animali (non è forse meglio andarli a vedere in un – comodo e spazioso – zoo, o in subordine ammirarli mediante belle foto in 3D?).

Templi e scale, di fronte al Mare Arabico
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Dalla natura alla fede, al tempio hindu di Somnath, una sosta dovuta per diversi motivi: la millenaria storia (è stato ricostruito almeno sette volte) del ‘complesso’ monumento, così come lo è tutta l’architettura hindu; il lingam (simbolo fallico) di Shiva, oggetto di enorme culto non solo locale; la bella posizione su una spiaggia, da cui, finalmente, il primo sguardo sul Mar Arabico. Dalle acque di questa parte dell’oceano Indiano approdarono i portoghesi a Diu – raggiunta dopo lo stop a Somnath – una delle tre località coloniali lusitane in India (tanto importante da dedicarvi tutta la prossima puntata).

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La notte noble and snob di Gondal è rivissuta a Bhavnagar al ‘Nilambag Palace’, 1859, qui invece del museo delle regie vetture è esposta una carrozza del treno usato per le gite del Maharajà. Oltre la augusta dimora, di due Museums più che il Gandhi Smriti si consiglia di soffermarsi al Burton, solo una vecchia e polverosa biblioteca di arredamento assai coloniale, ma quanto profumo di British Empire. E da Bhavnagar il minibus mi porta a Palitana, una sorta di Capo Canaveral perché di lì comincia l’ascesa dei pellegrini Giainisti ai non so quanti veneratissimi templi costruiti in più di dieci secoli sull’altura di Shatrunjaya. La distanza (ovviamente coperta cunt i scarp de tènis, perché da giovine zompai fino alla Capanna Margherita, Monte Rosa, eppoi quei 50 euro di trasporto in portantina, quando mai! )? Non so quanti metri né il dislivello, mi basta il numero dei gradini eliminati in circa quattro ore tra un banfone e l’altro: 3.500, ovvio idem al ritorno, da cui ‘circa’ 7.000, quando si dice l’acido lattico. Da Bhavnagar ad Ahmedabad, con breve sosta a Lothal (scavi e museo di 4.000 anni fa, prima che quei conquistadores degli Ariani approdassero in India dalla Persia a creare quella tanto chiacchierata razza (detta anche Caucasica) celebrata dal dottor Goebbels (oltretutto nella vicenda degli Arya era già compresa pure la svastika). Fine della gita nel Gujarat, India occidentale (sul Mare Arabico e ai confini col Pakistan). (19/04/2012)

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