Il bizzarro titolo “spaghetti in Seminario” (un filino di ermetismo non guasta mai) non spaventi il lettore. Costituisce solo l’intestazione del racconto di una mia gita a Cuba con soggiorno a La Habana (ahimè troppo breve, sei giorni). E canonico pellegrinaggio alla mecca “balnear-divertimentale” cubana, Varadero (sosta ahimè troppo lunga, un giorno) quantomeno non buttato via in spiaggia, bensì trascorso all’accogliente bar dell’hotel simpaticamente All Inclusive.
Motivazioni della trasferta? Beh, con un po’ di audacia le definirei “professionali”. In effetti nella capitale caraibica ho partecipato a un incontro il Seminario tra la stampa turistica locale e quella straniera. Più prosaicamente, però, la gita era riconducibile alla mia dichiarata non meno che antica aficiòn per tutto ciò che è o è stato iberico, ivi comprese le ex colonie spagnole. Fu per questo motivo che un bel giorno, stufo di ritornare per l’ennesima volta in borghi e città a sud dei Pirenei, decisi di viaggiare nella ‘Spagna che fu’. Quell’immenso impero sul quale “non tramontava mai il sole” (e invece tramontò, per la cronaca nel 1898, quando gli Yanquis-Gringos-Usa si cuccarono quel che dell’impero restava: le Filippine, Guam, Puerto Rico e Cuba).
Conquistatori e conquistati
Cominciai così a girare il centro-sud America, incurante delle infinite distanze in quelle terre fregate ai poveri Indios dai vituperati Conquistadores. I vari Cortès, i fratelli Pizarro, Almagro, Cabeza de Vaca – nome curioso – De Soto, Orellana e & C. Ma è la Storia, bellezza, anche se non capisco (ma senza rancore) perché fa tanto chic maledire i suesposti spagnoli (quasi tutti extremeños, una miseria a gogò li obbligava a buscarse la vida) finiti fin sulle Ande a cercar di che campare.
Al contrario sono invece definiti apportatori di civiltà i romani venuti sotto le Alpi a rompere le balle ai miei avi Insubri. Ma quanto agli scherzi, combinati dalle umane vicende – nonché quelli eventuali-virtuali, che ‘hai visto mai’ – rinvio gli interessati a “La storia fatta con i se”, di Peter Cowley, Bur, lettura leggera, amena e divertente.
Cuba de mi alma
Eccomi dunque partire per Cuba, la “ex” che più fa venire il magone agli spagnoli (un tempo si diceva “gli è rimasta sul gozzo”). Ma perché? Semplice: le colonie del centro e sud America, divennero indipendenti quasi due secoli fa, lontano nel tempo; idem per la ‘colombiana’ Hispaniola oggi Republica Dominicana (Santo Domingo), mentre Puerto Rico contò sempre pochino; e Guam e le Filippine (nonostante quel nome evocante Filippo II) son sempre state così lontane.
Cuba invece no, è sempre stata lì. Di fronte, dall’altra parte del Charco (la ‘pozzanghera’ che sarebbe poi l’oceano Atlantico), un El Dorado per certo meno ricco ma più concreto e raggiungibile di quello buscato dai Conquistadores. Quanti asturiani e galiziani, generazioni, vi sono andati a cercar fortuna. Al punto che a Cuba per gallegos-galiziani, si intendono gli spagnoli. Originaria della Galizia è pure la famiglia di Fidel Castro. E nella musica spagnola dell’’800 abbondarono le Habaneras (ritmo-danza de La Habana, la più nota nella Carmen di Bizet).
Associazioni di “penna” dapperutto
Tante sono state le mie gite south of the border (degli States, cantava Frank Sinatra) da farmi pensare che quasi quasi sono ormai di casa tra il Rio Bravo (frontiera Mexico-Usa, e se si parla di lingua a New York è più parlato lo spanglish dell’inglese) e la argentino-cilena Tierra del Fuego (e un paio di volte ho pure proseguito la gita fino in Antartide). E non basta: nel sud America mi sono pure ritrovato arruolato nella Vision. Che (ma niente paura) nonostante il misterioso nome non ha niente a che vedere con la Spectre (quella di 007). Trattasi invece, più semplicemente, di una mite Asociaciòn de Periodistas Latinos de Turismo (invitati al Seminario) creata da un simpatico lasarùn uruguayo, Julio Debali.
Sì lo so, si parla di una (ennesima) Asociaciòn di giornalisti della quale (pensa bene il lettore) probabilmente non se ne sentiva il bisogno. È però altrettanto vero che le tantissime, solo io appartengo a ben quattro confraternite di scribi di Viaggi & Turismo, di danni ne fanno pochini. Dopo la quasi totale scomparsa dei famtrips la loro attività (si fa per dire) istituzionale si circoscrive infatti a quelle poche inoffensive sbafature di tramezzini e spumantini che son rimaste (salvo talvolta, ma sempre più raramente, se proprio la va ben, scapparci la cena). E tutto finisce lì, nel senso che sovente il giornalista manco fa seguito con due righe (in Italia, mentre nel caso dei periodistas spagnoli è ben messo in chiaro che chi non si impegna a scrivere, eppoi scrive, col cavolo che è invitato ad altre sbafate).
In Seminario spaghetti per tutti, con grana “Fidel”
Tornato a Cuba (vi ero già stato vent’anni fa per una Fiera del Turismo e in quell’occasione mi toccò pure lavorare, ancorché non molto) sarà mia gioia raccontare quanto visto e fatto. In primis la rica spaghettata – di cui all’ermetico titolo “spaghetti in Seminario” – ammannita per una quarantina di periodistas Seminaristi e insaporita da un parmigiano grattato di marca Fidel (ma cosa c’entro io con l’Esselunga che battezza la sua merce con nomi imbarazzanti … chi va a cuocer spaghi a Cuba)?
Parlerò poi di puros (sigari), ron (rhum) e altre cosine fors’anche frivole (e, in politica, mettendola un filino scherzosamente), perché non ne posso più di spread, busòne e gente che ‘si prende sul serio’, e crede di esserlo solo perché indossa giacca e cravatta. (prima puntata)
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