Se si parla di Cucina (p.f. si eviti la parola Enogastronomia quantomeno per motivazioni economiche: questo neologismo è infatti abbinato a ristoranti che mai ti fanno da mangiare per meno di 100 euro) affermerei di possedere una certa praticaccia. Non posso invece definirmi esperto di mangiare&bere solo per aver scritto un dizionarietto spagnolo/italiano, una miniguida di posti dove mangiare in Spagna e ultimamente, per la rivista madrileña Gastronautas, financo un articolo (in maccheronico castellano, povero lo spagnolo che dovrà tradurlo) sulle abitudini mangerecce dei turisti italiani a sud dei Pirenei (che, ahiloro, solitamente si circoscrivono a Sangrìa, Gazpacho e Paella pronunciata tout court come scritta). Né penso serva, per autoassegnarmi la patacca di scrittore culinario oltre che di viaggi&turismo, una pluridecennale esperienza in ristoranti e differenti posti di nutrizione di tanti, per l’esattezza 113, Paesi a me noti. Però, come dicono a Torino, neh che aiuta, e non capisco pertanto come molti scribi di altre vicende umane – lo sport, la moda, la cronaca, il gossip –, mai andati oltre il proprio campanile possano improvvisamente divenire (ne conosco alcuni) maitres à penser della bonne chère.
Osservare … mentre cucina
Confesso infine che per sapere qualcosa in più di Cucina mi mancava (dettaglio mica da poco) la conoscenza diretta, il processo di lavorazione e preparazione de visu di quanto poi viene ammannito. Una curiosità, vedere “come fanno da mangiare in un ristorante”, risalente (e scherzo ma – a leggere di alcuni sopralluoghi dei Nas – non tanto) alla visione del film I Mostri, laddove, in una improbabile cucina estremamente sporca e disordinata, i cuochi Gassman e Tognazzi mentre litigano animatamente buttano in una pentola schifezze varie che servite a un tavolo di commensali creduloni non meno che snob diventano un piatto di eccezionali sapori e retrogusti.
Fallas, la più elegante Festa della Spagna
Se poi il viaggiatore (a imitazione dello scrivente) è pure aficionado all’architettura d’antan gli ordino di andare a godersi l’Art Deco, il Liberty e il Floreale del Cabanyal, e se invece l’aficiòn è taurina durante le Fallas (e nella Feria di luglio) può solo divertirsi emozionandosi (ma per favore non urli Olè!, un non spagnolo è sempre fuori tempo e si eccita a sproposito, né si vesta di giallo, nel mundillo taurino porta sfiga). Già, le Fallas, ma certe vicende, esperienze, visioni non vanno raccontate, descritte per il semplice motivo che l’interlocutore deve andare a vederle, viverle direttamente. E le Fallas sono per certo (lo dico da decenni, mica adesso per sdebitarmi della cena di Ricard) la Festa più elegante di Spagna.
Dopo cotanta elencazione credo di aver convenientemente dimostrato la mia pasiòn valenciana e se putacaso non bastasse posso sempre, a gentile richiesta, cantare Valencia, celeberrimo paso doble di Josè Padilla (durante le Fallas, era ricordato, non so adesso, sotto la casa che abitò, e io c’ero, perché quel grande Maestro compose pure Princesita, El Relicario e La Violetera di cui al film di Chaplin, ma non, come si dice e/o si crede, composta da lui).